Autorizzazioni paesaggistiche: esclusa la competenza della Corte di Giustizia UE

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Nella sentenza del 6 marzo 2014 la Corte di Giustizia esclude dalla sua competenza una controversia in materia di diritto del paesaggio in quanto le disposizioni nazionali violate non sono in attuazione del diritto dell’UE


La Corte di Giustizia, con sentenza del 6 marzo 2014 (causa C-206/13) -segnalata dal Dipartimento delle Politiche comunitarie nell’elenco delle sentenze della Corte riguardanti i giudizi di cui l’Italia sia stata parte o che abbiano rilevanti conseguenze per l’ordinamento italiano- ha riscontrato la propria incompetenza a decidere su una controversia relativa al rilascio di una autorizzazione paesaggistica, in quanto le disposizioni del decreto legislativo n. 42/2004 (richiamato dal giudice di rinvio e) rilevanti nella controversia principale non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Tali disposizioni non costituiscono infatti attuazione di norme del diritto dell’Unione.

Il caso di specie

Il proprietario di un immobile situato in zona paesaggisticamente vincolata aveva realizzato modifiche non preventivamente autorizzate e aveva chiesto al Comune di Trabia la concessione edilizia in sanatoria, da concedersi previo nullaosta della Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Palermo.
La Soprintendenza ha adottato un’ordinanza-ingiunzione che ha imposto la rimessione in pristino dello stato dei luoghi mediante la dismissione di tutte le opere abusivamente eseguite: le opere in questione non erano risultate ammissibili a seguito dell’accertamento della compatibilità paesaggistica di cui agli articoli 167 e 181 del decreto legislativo n. 42/2004 in quanto avevano comportato un aumento di volume.

Il proprietario ha quindi fatto ricorso contro la suddetta ordinanza-ingiunzione dinanzi al TAR di Palermo il quale, a sua volta, sostiene che nel diritto dell’Unione la materia della tutela del paesaggio non è autonoma né concettualmente distinta rispetto alla materia della tutela dell’ambiente, bensì è parte di essa e l’ambiente è materia di competenza dell’Unione europea, ai sensi degli articoli 3, paragrafo 3, TUE, e 21, paragrafo 2, lettera f), TUE, nonché degli articoli 4, paragrafo 2, lettera e), TFUE, 11 TFUE, 114 TFUE e 191 TFUE
Inoltre, per il giudice del rinvio, il sistema della tutela paesaggistica implica per le attività private vincoli che non sono necessariamente di inedificabilità assoluta. Ne conseguirebbe che non ogni attività edificatoria, anche se comportante aumento di volumetria, risulta sempre e comunque lesiva dei valori tutelati dalla normativa in questione.

Pertanto, un accertamento che includa la possibilità di sanatoria dietro pagamento di una sanzione pecuniaria potrebbe essere effettuato in concreto se il decreto legislativo n. 42/2004 non prevedesse la rigida, astratta e presuntiva esclusione delle opere comportanti «creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati».

Il rinvio alla Corte

Il giudice del rinvio si domanda dunque se l’articolo 167 del decreto legislativo n. 42/2004, nell’escludere in modo presuntivo una categoria di opere da qualsivoglia accertamento di compatibilità paesaggistica assoggettandole alla sanzione demolitoria, possa configurare una ingiustificata e sproporzionata lesione del diritto di proprietà garantito dall’articolo 17 della Carta dei diritti dell’Unione europea, ove questa fosse interpretata nel senso che le limitazioni al diritto di proprietà possano essere imposte solo a seguito di un accertamento della effettiva, e non solo astratta, esistenza di un interesse contrapposto.

Secondo la Corte

La Corte di Giustizia ricostruisce il procedimento riconoscendo come esso riguardi un’ordinanza-ingiunzione che impone ad un privato la dismissione delle opere realizzate in violazione di norme in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio: tale procedimento presenterebbe un collegamento con il diritto dell’Unione in materia di ambiente, in quanto la tutela del paesaggio, che costituisce lo scopo della normativa nazionale in questione, sarebbe parte della tutela dell’ambiente (di cui il Giudice del rinvio richiama diverse norme europee).
Tuttavia, la Corte sottolinea come né le disposizioni dei trattati UE e FUE richiamati dal giudice del rinvio, né la normativa relativa alla Convenzione di Aarhus, né le direttive 2003/4 e 2011/92 impongono agli Stati membri obblighi specifici di tutela del paesaggio, come fa invece il diritto italiano.
Pertanto “Nessun elemento permette di concludere che le disposizioni del decreto legislativo n. 42/2004 rilevanti nella controversia principale rientrino nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Tali disposizioni non costituiscono infatti attuazione di norme del diritto dell’Unione”.
E la Corte rimarca che obiettivo della tutela dei diritti fondamentali nel diritto dell’Unione, è quello di vigilare a che tali diritti non siano violati negli ambiti di attività dell’Unione, che ciò avvenga in conseguenza dell’attività dell’Unione o in conseguenza dell’attuazione del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri, ma, dall’ordinanza di rinvio non emerge l’esistenza di un simile rischio nella controversia.
E quanto al richiamo effettuato dal giudice di rinvio, alla violazione del principio europeo di proporzionalità, da parte della normativa italiana contestata, la Corte indica che, siccome il giudice del rinvio non ha dimostrato, provando l’esistenza di un collegamento sufficiente, che l’articolo 167, comma 4, lettera a), del decreto legislativo n. 42/2004 rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione o costituisce attuazione del medesimo, neppure la competenza della Corte ad interpretare il principio di proporzionalità risulta di conseguenza dimostrata.

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Redazione InSic

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