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I materiali da demolizione e nozione di rifiuto speciale

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La Cassazione Penale, sez. III, con la sentenza n. 17380 del 27 aprile 2015 (disponibile in integrale sulla nostra Banca Dati Sicuromnia), ha rigettato il ricorso dell’imputato, accusato di aver accantonato i materiali da demolizione senza autorizzazione (art. 256, c. 1, lett. a) del D.Lgs. n. 152 del 2006), ritenendo che i materiali provenienti da escavazione o demolizione, vanno qualificati come rifiuti speciali a meno che non si dimostri che siano destinati all’integrale riutilizzo e senza la compromissione della qualità ambientale.


Il fatto

Il tribunale di Vigevano ha dichiarato l’imputato, colpevole del reato di cui all’art. 256, c. 1, lett. a) del D.Lgs. n. 152 del 2006, per aver accantonato i materiali da demolizione senza avere l’autorizzazione e senza provare di averli riutilizzati.

Il condannato ha proposto ricorso sostenendo che il giudice avesse basato il proprio convincimento soltanto sulla base di una testimonianza della controparte e senza aver considerato la qualità e la tipologia del rifiuto oggetto di stoccaggio e successivo smaltimento, dato che il materiale rinvenuto era costituito da ghiaia e sabbia (non classificabile come rifiuto).
A questo proposito, la difesa ha sollevato la mancata applicazione delle disposizioni del D.M. n. 161 del 2012, in materia di riutilizzo di terre e rocce da scavo, le quali sono qualificate come sottoprodotti.


La decisione della Cassazione Penale

La Cassazione Penale ha ritenuto inammissibile il ricorso dell’imputato.

Per quanto concerne il vizio di motivazione, la Corte ha affermato che il Tribunale ha espresso il proprio giudizio non solo sulla base delle prove dichiarative, come sostenuto dalla difesa, ma anche sulla base di prove documentali, tra le quali anche le fotografie, e che pertanto, non ci fosse alcuna carenza di motivazione.

In merito alla natura dei rifiuti, invece, la Cassazione ha ritenuto che la difesa volesse qualificarli come sabbia mista a ghiaia sulla base delle indicazioni dei propri testimoni, anziché classificarli come materiale proveniente da precedenti demolizioni come cemento e calcestruzzo.

La Corte, inoltre, ha ritenuto inapplicabile la disciplina sulle terre e rocce da scavo perché esclusa dall’applicazione della disciplina sui rifiuti (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 186), a meno che l’imputato non provi la loro riutilizzazione secondo un progetto ambientalmente compatibile (Sez. 3 12.6.2008 n. 37280).

Sul punto, gli ermellini hanno ricordato i precedenti in giurisprudenza che affermano che “tutti i materiali provenienti da escavazione o demolizione, vanno qualificati come rifiuti speciali e non materie prime secondarie o sottoprodotti in assenza della dimostrazione che detti materiali siano destinati, sin dalla loro produzione all’integrale riutilizzo per la riedificazione senza trasformazioni preliminari o compromissione della qualità ambientale” (ex multis Sez. 3 19.1.2012 n. 7374; 17.1.2012 n. 17823; 4.12.2007 n. 14323; idem 2.10.2014 n. 3202).

Sull’inapplicabilità del regime previsto dall’art. 186 del D.Lgs. n. 152 del 2006, per l’emissione del D.I. n. 161/2012, la Corte ha ritenuto che l’abrogazione dell’art. 186 opera soltanto a decorrere dall’entrata in vigore del Decreto Interministeriale in materia di sottoprodotti, e che, pertanto, la disciplina dell’art. 186 si applichi ai casi commessi nella vigenza della normativa precedente, in tema di terre e rocce da scavo.
Così ha concluso per ritenere che non si può qualificare come sottoprodotto un materiale, sulla base di disposizioni amministrative inesistenti al momento della loro produzione (Sez. 3 4.7.2012 n. 33577).

Per tutte queste ragioni, la Cassazione Penale ha respinto il ricorso.


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