Il Burnout esprime un forte disagio emotivo nel luogo di lavoro, per cui si rende necessaria una corretta valutazione e gestione del rischio psicosociale in tutte le sue sfumature. L’impiego di idonee misure di prevenzione è salvaguardia della salute e della sicurezza della forza lavoro.
Nell'articolo
Burnout: significato
Il termine burnout indica il lavoratore “bruciato”, “fuso” e descrive il quadro sintomatologico individuale conseguente a condizioni di stress occupazionale prolungato caratterizzato da progressivo ritiro dalla vita relazionale organizzativa, distacco e disaffezione.
Alcuni autori identificano il burnout con lo stress lavorativo specifico delle helping professions, altri affermano che il burnout si discosta dallo stress per la depersonalizzazione, cui esso dà luogo, che è caratterizzata da un atteggiamento di indifferenza, malevolenza e di cinismo verso i destinatari della propria attività lavorativa.
Il burnout può anche essere inteso come una strategia particolare adottata dagli operatori per contrastare la condizione di stress lavorativo determinata da uno squilibrio tra richieste/esigenze lavorative e risorse disponibili. Comunque esso va inteso come un processo multifattoriale che riguarda sia i soggetti che la sfera organizzativa e sociale nella quale operano.
Che cos’è il burnout?
Il concetto di burnout è stato introdotto per indicare una serie di fenomeni di affaticamento, logoramento e improduttività lavorativa registrati nei lavoratori inseriti in attività professionali a carattere sociale. Questa sindrome è stata osservata per la prima volta negli Stati Uniti in persone che svolgevano diverse professioni d’aiuto: infermieri, medici, insegnanti, assistenti sociali, poliziotti, operatori di ospedali psichiatrici, operatori per l’infanzia.
Nell’undicesima revisione dell’International Classification of Diseases (ICD-11), il burnout viene descritto quale fenomeno occupazionale a sé stante, inserito nel capitolo “Fattori che influenzano lo stato di salute o il contatto con i servizi sanitari”. La notizia ha suscitato deduzioni fin troppo avventate, in cui si esaltava il riconoscimento della sindrome come malattia professionale, con tutti i seguiti sui lavoratori che ne soffrono.
Burnout definizioni
Attualmente non esiste una definizione universalmente condivisa del termine burnout.
Freudenberger è stato il primo studioso a usare il termine “burnout” per indicare un complesso di sintomi, quali logoramento, esaurimento e depressione riscontrati in operatori sociali americani.
Successivamente Cherniss con “burnout syndrome” definiva la risposta individuale ad una situazione lavorativa percepita come stressante e nella quale l’individuo non dispone di risorse e di strategie comportamentali o cognitive adeguate a fronteggiarla.
Secondo Maslach, il burnout è un insieme di manifestazioni psicologiche e comportamentali che può insorgere in operatori che lavorano a contatto con la gente e che possono essere raggruppate in tre componenti: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale.
Quali sono i sintomi di burnout?
Il soggetto colpito da burnout manifesta:
- sintomi aspecifici (irrequietezza, senso di stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia)
- sintomi somatici (tachicardia, cefalee, nausea ecc.)
- sintomi psicologici (depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia e risentimento, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, indifferenza, negativismo, isolamento, sensazione di immobilismo, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti).
Tale situazione di disagio molto spesso induce il soggetto ad abuso di alcool o di farmaci.
Gli effetti negativi del burnout non coinvolgono solo il singolo lavoratore ma anche l’utenza, a cui viene offerto un servizio inadeguato ed un trattamento meno umano.
Quali sono le 4 fasi del burnout?
L’insorgenza della sindrome di burnout, soprattutto negli operatori sanitari, si verifica attraverso quattro fasi:
- Entusiasmo idealistico
- Stagnazione
- Frustrazione
- Apatia
Entusiasmo idealistico
La prima fase (entusiasmo idealistico) è caratterizzata dalle motivazioni che hanno indotto gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale: ovvero motivazioni consapevoli (migliorare il mondo e se stessi, sicurezza di impiego, svolgere un lavoro meno manuale e di maggiore prestigio) e motivazioni inconsce (desiderio di approfondire la conoscenza di sé e di esercitare una forma di potere o di controllo sugli altri); tali motivazioni sono spesso accompagnate da aspettative di “onnipotenza”, di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato, di apprezzamento, di miglioramento del proprio status e altre ancora.
Stagnazione
Nella seconda fase (stagnazione) l’operatore continua a lavorare ma si accorge che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. Si passa così da un super investimento iniziale a un graduale disimpegno.
Frustrazione
La fase più critica del burnout è la terza (frustrazione). Il pensiero dominante dell’operatore è di non essere più in grado di aiutare alcuno, con profonda sensazione di inutilità e di non rispondenza del servizio ai reali bisogni dell’utenza; come fattori di frustrazione aggiuntivi intervengono lo scarso apprezzamento sia da parte dei superiori che da parte degli utenti, nonché la convinzione di una inadeguata formazione per il tipo di lavoro svolto. Il soggetto frustrato può assumere atteggiamenti aggressivi (verso sè stesso o verso gli altri) e spesso mette in atto comportamenti di fuga (quali allontanamenti ingiustificati dal reparto, pause prolungate, frequenti assenze per malattia.
Apatia
Il graduale disimpegno emozionale conseguente alla frustrazione, con passaggio dalla empatia alla apatia, costituisce la quarta fase, durante la quale spesso si assiste a una vera e propria morte professionale.
Chi colpisce il burnout?
Il fenomeno è stato per lungo tempo collegato quasi esclusivamente alle professioni d’aiuto. Studi più recenti hanno portato ad una ridefinizione del burnout quale sindrome che può colpire il singolo in relazione ad ogni tipo di organizzazione del lavoro.
Per l’insorgenza del burnout possono avere importanza fattori socio-organizzativi quali le aspettative connesse al ruolo, le relazioni interpersonali, le caratteristiche dell’ambiente di lavoro, l’organizzazione stessa del lavoro.
Inoltre sono state oggetto di studio le relazioni tra variabili anagrafiche (sesso, età, stato civile) e insorgenza del burnout. Tra queste l’età è quella che ha dato luogo a maggiori discussioni tra i diversi autori che si sono occupati dell’argomento. Alcuni sostengono che l’età avanzata costituisca uno dei principali fattori di rischio di burnout mentre altri ritiene invece che i sintomi di burnout sono più frequenti nei giovani, le cui aspettative sono deluse e stroncate dalla rigidità delle organizzazioni lavorative.
Fattori di rischio di Burnout
La maggior parte degli antecedenti del burnout sono fattori psicosociali di stress. Tradizionalmente, si usa suddividerli in:
- fattori ambientali (di contenuto o di contesto lavorativo)
- fattori individuali (disposizioni personali), sottolineando la stretta vicinanza dei due costrutti.
Ad esempio, è dimostrato che il burnout può associarsi al job strain, cioè alla situazione di elevate richieste e scarse risorse, nonché con alcuni tratti di personalità. Anche le manifestazioni cliniche del burnout sono per molti versi assimilabili a quelle legate allo stress da lavoro, soprattutto in riferimento alla dimensione affettiva di esaurimento emotivo della sindrome.
Esistono più di 100 manifestazioni, raggruppabili in 5 categorie principali:
- affettiva
- cognitiva
- fisica
- comportamentale
- motivazionale.
Ansia e mancanza di resistenza rappresentano le caratteristiche di personalità prominenti; disturbi psicosomatici e insoddisfazione lavorativa costituiscono le più evidenti conseguenze.
Burnout e fattori di rischio sul lavoro
I fattori di rischio psicosociale del burnout possono essere suddivisi in due macrocategorie, che afferiscono:
- all’area dell’organizzazione del lavoro (che comprende il carico di lavoro, il controllo, il riconoscimento, l’integrazione sociale, l’equità e i valori)
- ai cosiddetti client-related stressors, fattori stressogeni relativi al contatto continuo e ravvicinato con l’utente/ cliente.
Come si previene il burnout
Ai fini di prevenire le condizioni individuali di sviluppo della sindrome di burnout, è necessario:
- valutare e gestire il rischio stress lavoro-correlato,
- occuparsi delle condizioni di organizzazione del lavoro che lo favoriscono.
Tutto quello che devi sapere sul burnout
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Che differenza c’è tra burnout e stress lavoro correlato?
Il burnout si differenzia dallo stress da lavoro per la sua particolare connotazione relazionale. Ricordiamo che lo stress lavoro-correlato (o, più correttamente, lo stato patologico che ad esso consegue) è definito come una risposta psicofisica negativa che si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano le capacità del lavoratore di fronteggiarle. È ben noto che l’esistenza di fattori di stress non corrisponde obbligatoriamente alla comparsa di uno stato di sofferenza.
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Il burnout è una malattia professionale?
Come precisato nella stessa ICD-11, la sindrome deve essere distinta tanto dalle malattie professionali derivanti dai tradizionali fattori di rischio occupazionali (polveri, agenti tossici in agricoltura o in industria, vibrazioni, rischio ergonomico) quanto dai problemi associati a condizioni lavorative comprese nel cosiddetto rischio psicosociale (come lo stress lavoro-correlato, il cambio di lavoro, la minaccia di perdita di lavoro o la disoccupazione).
Per approfondire
- Il Burnout è una sindrome legata al lavoro: arriva il riconoscimento dell’OMS
- Stress lavoro-correlato: legge e professionalità coinvolte per la sicurezza sul lavoro
- Rischi organizzativi sul lavoro: definizione ed esempi
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