La sicurezza del lavoro portuale nell’era del gigantismo navale

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Felice Magarelli torna a parlare di sicurezza nei porti dopo alcune considerazioni sulle malattie professionali ed eventi stressogeni del comparto navale, e sulle possibili cause di sinistri sulle navi traghetto e più in generale sulle principali ragioni dell’effettivo alto grado di incidenza infortunistica del settore marittimo.
La nuova riflessione a noi consegnata, riguarda il diffuso fenomeno del gigantismo navale e le problematiche di safety che esso porta con sé al momento della movimentazione dei contenitori.


Da circa un ventennio, il comparto del trasporto marittimo sta attraversando una fase di profonda trasformazione. Una delle motivazioni principali di tale cambiamento è da ricondurre senz’altro al fenomeno del gigantismo navale, ormai massicciamente presente in quasi tutte le tipologie di naviglio.
La maggior parte delle infrastrutture portuali esistenti, risulta incompatibile con le dimensioni spropositate di alcune imbarcazioni, come ad esempio avviene nel caso delle moderne portacontainer. Ciò nonostante, la rincorsa alle mega-ships non accenna ad arrestarsi, esercitando una fortissima pressione sugli scali che affannosamente tentano di assecondare in termini di adeguamento degli spazi (allungamento banchine, ampliamento piazzali, approfondimento fondali, ecc.), le richieste dei grossi vettori internazionali.

Il presunto vantaggio economico legato alle cosiddette economie di scala, risulta essere uno dei fattori prevalenti per l’utilizzo di questi colossi galleggianti. Tralasciando gli aspetti relativi alla crescita esponenziale della capacità di trasporto, vorrei rapidamente approcciare l’argomento sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro, con specifico riferimento al tema della sicurezza.
L’accresciuta dimensione delle navi unitamente all’aggregazione delle società armatoriali, ha comportato l’inevitabile riduzione del numero dei servizi e il conseguente incremento dei picchi di attività. Le mega-carriers infatti, concentrano grandi volumi di merce in brevi periodi, inducendo i porti a dotarsi di strutture idonee, in grado di fornire in qualsiasi momento, maestranze appositamente formate e qualificate per far fronte alle esigenze imposte da questo modello di traffico.

All’interno di questa cornice si inserisce pertanto la questione afferente la safety. I grandi numeri evidenziano la necessità che i contenitori vengano correttamente stivati ed affrancati, operazioni non semplici malgrado l’ausilio della tecnologia, anche in considerazione dei tempi sempre più ristretti previsti dal mercato.
In questo contesto, la presenza di una logica basata esclusivamente sulla mera quantità e velocità di esecuzione, potrebbe provocare incidenti, che nel caso di materiali pericolosi o infiammabili, assumerebbero contorni drammatici.
Alla luce di queste osservazioni, ritengo strategicamente sbagliato occuparsi solo delle dinamiche della produzione (economie di scala) e troppo poco delle condizioni (spesso difficili) in cui il lavoro si estrinseca.
A parere di chi scrive, in un settore come quello portuale, in continua evoluzione, bisognerebbe invece riaffermare un sistema di valori in cui la sicurezza costituisca presupposto essenziale dal quale partire, per dar vita finalmente a modelli sociali ed economici davvero vincenti.

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Redazione InSic

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