Cassazione: imprese familiari e gestione del rischio

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La Corte di Cassazione Penale, sez. IV, con la sentenza n. 38346 del 21 settembre 2015, ha annullato con rinvio, la decisione della corte d’Appello che aveva assolto il componente di un’impresa familiare, ritenuto in primo grado il responsabile di un infortunio, perché non qualificabile come datore di lavoro dell’infortunato.
Secondo gli Ermellini, la corte d’appello avrebbe dovuto soffermarsi sull’obbligo di redazione del POS in caso di impresa familiare e sulla titolarità dei poteri decisionali e di spesa, ai fini dell’individuazione del responsabile dell’infortunio.

Il fatto
In primo grado, il datore di lavoro di un’impresa familiare veniva ritenuto il responsabile dell’infortunio di un componente dell’impresa che era precipitato al suolo mentre stava riparando le lastre di un capannone, per il cedimento di una lastra.
La causa dell’imputabilità era quella di non aver dotato l’infortunato di idonei dispositivi di sicurezza individuali, ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. 81/2008, e di non aver predisposto il POS (Piano Operativo di Sicurezza), ai sensi dell’art. 96 dello stesso decreto.

In appello, la Corte ha assolto l’imputato ritenendo che non lo si potesse qualificare come datore di lavoro, in quanto i collaboratori dell’impresa familiare non sono ritenuti lavoratori subordinati.

Per questo motivo il Procuratore Generale della Repubblica ha presentato ricorso per Cassazione per la violazione dell’art. 96 del Testo Unico sulla Sicurezza.
Il ricorrente ha posto la questione relativa all’applicazione della normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro ai familiari collaboratori dell’impresa. L’art. 21 stabilisce che non si applica nel caso in cui l’attività sia svolta all’interno della sede abituale; ma l’art. 96 prevede che quando l’attività sia svolta fuori dalla sede abituale, ad esempio in cantieri dove si effettuano lavori edili, il datore di lavoro è il titolare dell’impresa familiare. Pertanto, i beneficiari della tutela derivante dal POS sono i lavoratori subordinati dell’impresa familiare ed i componenti della stessa.
Sarebbe il POS a imporre ai collaboratori familiari l’obbligo di munirsi di idonee attrezzature da lavoro e dei dispositivi di protezione appropriati.
Ne consegue che, secondo il Procuratore, l’imputato è da considerarsi il titolare dell’impresa familiare, il quale era tenuto a redigere il POS e pertanto, va considerato il responsabile dell’infortunio.

La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione Penale ha ritenuto fondato il ricorso del Procuratore della Repubblica.
Tale decisione è stata il frutto di una ricognizione del quadro normativo vigente all’epoca del fatto.
All’impresa familiare, di cui all’art. 3, comma 12, del D.Lgs. 81/2008, si applicano le disposizioni dell’art. 21 dello stesso decreto, che prevede, per i componenti dell’impresa familiare, l’uso di attrezzature di lavoro idonee ( di cui al Titolo 3) e di dispositivi di protezione individuale; oltre a dover beneficiare dell’assicurazione sanitaria (art. 41), e a partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro incentrati sui rischi propri delle attività svolte (art. 37).
L’art. 60 prevede, per eventuali violazioni sull’inosservanza degli obblighi concernenti le attrezzature ed i dispositivi individuali di protezione, la sanzione amministrativa l’obbligo di dotarsi di tessera di riconoscimento.
L’art. 96 impone una serie di obblighi in capo ai datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, tra cui quello di redigere il POS di cui all’art. 89, comma 1, lett. b), anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti, salvo che si tratti di mere forniture di materiali o attrezzature.
Tale disposto normativo consente di estendere la tutela antinfortunistica ai collaboratori dell’impresa familiare, che in passato non veniva concessa dal legislatore.
Già con il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, per individuare il datore di lavoro si poneva l’accento sulla responsabilità dell’impresa e sull’esistenza di poteri decisionali, pur in presenza del vincolo familiare.
La giurisprudenza civile ha identificato infatti “l’istituto dell’impresa familiare come autonomo, di carattere speciale (ma non eccezionale) e di natura residuale rispetto ad ogni altro rapporto negoziale eventualmente configurabile” (Sez. U, Sentenza n. 23676 del 06/11/2014), riconoscibile laddove “concorrano due condizioni, e cioè, che sia fornita la prova sia dello svolgimento, da parte del partecipante, di una attività di lavoro continuativa (nel senso di attività non saltuaria, ma regolare e costante anche se non necessariamente a tempo pieno), sia dell’accrescimento della produttività della impresa procurato dal lavoro del partecipante (necessaria per determinare la quota di partecipazione agli utili e agli incrementi)” (Sez. L, Sentenza n. 27839 del 16/12/2005).
Dunque, l’impresa familiare è caratterizzata dallo svolgimento da parte del familiare di un’attività lavorativa continuativa e della sua partecipazione agli utili in misura proporzionale al lavoro prestato.

Decisamente innovativo è stato il D.Lgs. 81/2008, quando ha previsto all’art. 21, l’ambito di misure da applicare nei confronti dei componenti dell’impresa familiare.
Secondo il Collegio, infatti, le norme prevenzionistiche dedicate ai componenti dell’impresa, risultano limitate a quanto previsto dall’art. 21 rispetto a quelle previste per gli altri lavoratori.

Quanto all’art. 96, è prevista la presenza dell’impresa familiare sotto il limitato profilo della individuazione delle condizioni dalle quali scaturisce l’obbligo di redazione del POS.
Tale obbligo è in capo ai datori di lavoro delle imprese, ai sensi dell’art. art. 2, lett. b) che lo individua nel “soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
Con tale definizione è più facile individuare tra i componenti dell’impresa familiare, la figura del datore di lavoro, anche attraverso l’accertamento dei poteri decisionali e di spesa.
Così è da respingere la tesi della dottrina che individua l’impresa familiare nel suo insieme quale redattrice del POS.
Non è necessario, ai fini della tutela prevenzionistica, individuare un rapporto dii lavoro subordinato, ma rileva la relazione tra chi gestisce il rischio derivante dal lavoro e chi è esposto a tale rischio.

In conclusione, secondo gli Ermellini, la corte territoriale ha erroneamente valorizzato il vincolo di subordinazione del prestatore, anziché soffermarsi sull’obbligo di redazione del POS in caso di impresa familiare e sulla titolarità dei poteri decisionali e di spesa. Difatti, la Corte d’Appello ha escluso la figura del datore di lavoro per l’incertezza in merito all’esistenza del vincolo di subordinazione.

Per queste ragioni, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza e l’ha rinviata alla corte territoriale per l’esame della figura di datore di lavoro e di conseguenza per far verificare se la redazione del POS avrebbe avuto efficienza impeditiva qualora i componenti familiari si fossero muniti di DPI.
Nell’impresa familiare, infatti, la valutazione del rischio è riservata al datore di lavoro, invece l’obbligo di dotarsi di DPI è rivolto a tutti i componenti dell’impresa.


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