Una nuova centralità per il medico competente? Intervista al Dott. Angelo Sacco

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Con il procedere dell’emergenza COVID-19 e a seguito del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” del 14 marzo, aggiornato con la revisione del 24 aprile 2020 (contenuta nel DPC 26 aprile 2020) abbiamo fatto qualche domanda ad Angelo Sacco (Medico chirurgo, specialista in medicina del lavoro) sul ruolo del Medico competente in questa emergenza, i compiti che attendono il medico al momento del rientro in azienda dei lavoratori.
E ancora, come cambia la strategia di prevenzione nei luoghi di lavoro, Quale ruolo giocheranno i test diagnostici e sarà necessario aggiornare il DVR? E come cambierà la percezione della sorveglianza sanitaria all’interno della gestione aziendale della sicurezza nei luoghi di lavoro? Infine, un riferimento alla recente Circolare n.14915-29/04/2020 del ministero della Salute con nuove indicazioni sulle visite mediche preventive.

Intervista disponibile in pdf in allegato.


Alla luce anche dell’aggiornamento del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 24 aprile 2020, il ruolo del Medico Competente ha riscoperto una nuova centralità. Che ne pensa?
Certamente. E questa centralità viene ulteriormente rafforzata dal più recente documento licenziato dall’Inail lo scorso 23 aprile, con le misure di contenimento e prevenzione negli ambienti di lavoro in previsione della cosiddetta “fase 2”. La pubblicazione del documento – si legge sul sito dell’Istituto – è stata approvata dal Comitato Tecnico Scientifico istituito presso la Protezione Civile, a cui Inail partecipa con un suo rappresentante, ed è frutto di un lavoro di ricerca condotto dall’Istituto anche in qualità di organo tecnico scientifico del Servizio Sanitario Nazionale.

Il prossimo 4 maggio verranno rimesse in moto alcune attività produttive ed in alcune parti del Paese prima di altre: una parte della comunità scientifica la ritiene una scelta affrettata per altri tardiva. Secondo lei è una tempistica corretta o sarebbe stato preferibile attendere una discesa dei contagi e delle morti?
Non ho le competenze per rispondere alla domanda che mi pone. Ciò che posso dire è che la previsione di consentire nuovamente alle persone di muoversi liberamente sul territorio in una fase in cui v’è ancora la circolazione del virus dovrà prevedere misure tecniche e organizzative stringenti, atte a evitare o comunque a contenere (e a identificare e circoscrivere prontamente) il verificarsi di nuovi focolai.

Quali sono i compiti principali che spettano al medico competente al momento della riapertura e quali le misure rafforzative rispetto alle ordinarie norme di comportamento e corretta prassi igienica, sia a tutela dei lavoratori, sia dei terzi, che il Datore di Lavoro, in collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione e con il Medico Competente, deve adottare?
Possiamo senza dubbio affermare che il medico competente ha un ruolo di primo piano nella collaborazione con il datore di lavoro e il servizio di prevenzione e protezione nel personalizzare alla specifica impresa le misure di contenimento dell’epidemia proposte dalle Autorità sanitarie e deliberate dalle Autorità politiche.
Ciò perché le misure di prevenzione da intraprendere non sono solo collegate alle modalità di diffusione del virus (che oggi sono in buona parte note), ma anche alle caratteristiche dell’azienda in esame; vede, indicare un intervento di prevenzione è operazione complessa (come quella di prescrivere un farmaco o porre l’indicazione a un intervento chirurgico): l’operatore di prevenzione deve tener conto della situazione epidemiologica del micro-ambiente sociale ove opera l’azienda (prevalenza dei soggetti contagiati, efficienza dei servizi pubblici di prevenzione, ecc.) e delle caratteristiche dell’azienda (tipo di attività produttiva, numero di lavoratori, disponibilità di mezzi tecnologici che consentano di ridurre le interazioni tra i lavoratori, necessità della presenza di lavoratori dipendenti da ditte esterne, ecc.).
In questo modo – forti della conoscenza della efficacia e, ahimè, dei limiti degli interventi preventivi suggeriti per far fronte alla diffusione di siffatta epidemia – si potrà calzare l’intervento alla specificità della realtà d’interesse. Da questo punto di vista il “medico competente” è figura privilegiata perché è il professionista che conosce perfettamente tutte le variabili necessarie a confezionare i suggerimenti prevenzionistici più efficaci per gestire in sicurezza la “fase 2”.

Quali strumenti ha a disposizione il medico competente?
Due importanti linee guida che possono essere utilizzate per gestire questa fase sono: il documento dell’Istituto Superiore di sanità “Rapporto ISS COVID-19 n. 5/2020 – Indicazioni ad interim per la prevenzione e gestione degli ambienti indoor in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2. Versione del 23 marzo 2020” e i suggerimenti della Associazione Italiana degli Igienisti Industriali (AIDII), “Indicazioni per la tutela della salute dei lavoratori nel contesto dell’emergenza Covid-19″ – Rev.02” del 9.4.2020 .
Del resto, anche sulle modalità di trasmissione del virus, la ricerca è in continua evoluzione: dalle ipotesi (tutte ancora da dimostrare) sulla possibile trasmissione del virus attraverso gli aerosol, alla recentissima scoperta (peraltro tutta italiana, a cura del team di ricerca dell’Ospedale Spallanzani di Roma; cfr. al proposito Colavita F et al., Annals of Internal Medicine, aprile 2020; doi:10.7326/M20-1176) dell’individuazione del virus all’interno dei fluidi congiuntivali, potendo essere, la fonte oculare, non solo sede anatomica di ricezione ma anche di trasmissione indiretta dell’infezione; ciò, sul piano prevenzionistico, implica l’assoluta necessità di rafforzare l’indicazione delle misure igieniche a non toccarsi mai gli occhi e il volto con le mani e a personalizzare i DPI oculari, evitandone tassativamente l’uso promiscuo da parte dei lavoratori, e provvedendo, se si tratta di presidi riutilizzabili, alla loro quotidiana pulizia e sanificazione.

Come si articolerà d’ora in avanti la strategia di prevenzione in materia di salute? Come cambierà la comunicazione fra il medico competente e gli altri Soggetti della prevenzione?
Mi auguro possa svilupparsi un’accelerazione verso la pratica, laddove possibile, della telemedicina (eseguendo, ad esempio, l’indagine anamnestica da remoto e limitando il tempo di permanenza del lavoratore nell’ambulatorio del medico competente per il solo tempo strettamente necessario all’indagine clinica).
Auspico altresì che la fase emergenziale che stiamo vivendo possa pure contribuire a migliorare gli ambulatori aziendali destinati alla sorveglianza sanitaria dei lavoratori, cercando di utilizzare ambienti ampi (che possano garantire il rispetto delle distanze), ben aerati e sottoposti a periodici interventi di pulizia e di sanificazione.
La presenza attiva del medico competente in azienda in questa complessa fase pandemica contribuirà senza dubbio ad accrescerne gli attributi di autorevolezza nei confronti degli altri soggetti della prevenzione.

Quale ruolo giocheranno i test diagnostici? possono essere realmente efficaci? È lecito che li faccia proprio il medico competente?
Il tema è molto delicato e su di esso si è sinora espressa la Società Italiana di Medicina del Lavoro lo scorso 16 aprile . Ciò che possiamo dire ora è che l’esecuzione dei testi molecolari (i cosiddetti “tamponi”) è delegata – per i soggetti della popolazione generale – alle sole aziende sanitarie (che li effettuano nei soggetti sintomatici della popolazione generale e in particolari categorie di lavoratori a rischio specifico), mentre l’uso dei test sierologici (quelli che per intenderci dovrebbero fornire al lavoratore la cosiddetta “patente di immunità”), allo stato attuale, per le insufficienti evidenze scientifiche, è limitato a ricerche epidemiologiche (assai importanti perché ne consentiranno, sempre che si tratti di strumenti sensibili e specifici, la validazione); la suddetta pratica, allo stato attuale non può avere alcun ruolo nel determinare l’idoneità del singolo lavoratore.
Aggiungo che – per i soli operatori sanitari – da più parti la letteratura scientifica disponibile sottolinea l’importanza di eseguire – in attesa della disponibilità dei test sierologici – i test molecolari periodici quanto più frequentemente possibile; ciò consentirebbe una tempestiva individuazione dell’operatore infetto, il suo isolamento (e monitoraggio) e l’isolamento e il controllo dei suoi contatti, contribuendo la qualcosa a evitare che il contagio si propaghi ai colleghi di lavoro, ai pazienti e ai familiari dell’operatore sanitario.

Come si pone rispetto alla problematica della necessità di aggiornare la valutazione del rischio alla luce dell’emergenza Covid-19?
Sul punto, in relazione al comportamento da tenere nelle aziende non sanitarie, si registrano pareri contrastanti. A mio parere, ciò che conta è che, in questa fase, ogni azienda non sanitaria progetti e attui, a beneficio di lavoratori, clienti e fornitori, uno specifico “piano aziendale di prevenzione e gestione della pandemia”; che esso sia poi incluso nel documento di valutazione del rischio è a mio parere del tutto secondario.
Le strutture sanitarie avrebbero viceversa dovuto, già dal gennaio 2020, aggiornare il documento di valutazione dei rischi (art. 271, c.3 del D.lgs. 81/2008) e attuare le misure conseguenti per proteggere dal contagio gli operatori sanitari. Si ricorderà infatti che nella seconda metà del mese di gennaio 2020, il Ministero della Salute, con le Circolari n. 1997 del 22 gennaio 2020 e n. 2302 del 27 gennaio 2020, ha fornito alle strutture sanitarie indicazioni sulla gestione dei casi, l’utilizzo dei DPI per il personale sanitario e le precauzioni standard di biosicurezza.

Nel Protocollo condiviso aggiornato al 24 aprile, il Medico competente viene chiamato ad una valutazione e gestione dei lavoratori cosiddetti “fragili”. Chi sono questi soggetti e cosa deve fare il medico in concreto per gestirli?
Anche sul punto della gestione dei lavoratori fragili si osservano, purtroppo, indicazioni e comportamenti non omogenei. In alcune regioni la prescrizione di “rimanere a casa” è certificata, in questo gruppo di persone, dal medico di medicina generale, mentre in altre non v’è una linea d’indirizzo univoca.
Sulla base della normativa vigente (art. 41,c.1,lett.c del D.lgs. 81/2008), il medico competente è tenuto ad accogliere ogni istanza di “visita su richiesta” proveniente dal singolo lavoratore, formulando il giudizio di idoneità sulla base delle evidenze oggi disponibili (che suggeriscono con forza di escludere temporaneamente dalle attività produttive che non consentano il distanziamento sociale soggetti anziani, immunodepressi e con poli-patologia).
Va in questa direzione il documento redatto da ANMA su “COVID-19: gestione del lavoratore ‘fragile'” nel quale viene pure elencato un gruppo di patologie e di condizioni che possono configurare situazioni di maggiore suscettibilità a sviluppare l’infezione e contrarre la malattia con una evoluzione più severa.

Come valuta le ulteriori previsioni contenute nel Protocollo aggiornato del 24 aprile?
Mi pare che il nuovo protocollo ribadisca la necessità che il datore di lavoro delle Aziende che potranno riaprire metta in campo adeguate misure tecniche (es. rimodulazione degli spazi di lavoro) e organizzative (es. orari differenziati e ricorso estensivo al “lavoro agile” per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza) finalizzate a “favorire il contrasto e il contenimento della diffusione del virus”; ciò garantendo:
a) l’informazione dei lavoratori sulle misure adottate (sul punto viene chiesto al lavoratore di farsi parte diligente circa l’autocontrollo del proprio stato di salute, astenendosi dal recarsi in azienda in caso di sintomatologia simil-influenzale anche di lieve entità);
b) il controllo delle modalità di ingresso in azienda dei lavoratori, dei fornitori esterni e dei visitatori;
c) il distanziamento sociale, anche attraverso un nuovo posizionamento delle postazioni di lavoro, evitando l’affollamento degli ambienti di lavoro ivi compresi gli spazi comuni;
d) l’igiene degli ambienti e delle attrezzature di lavoro attraverso la pulizia e la sanificazione delle superfici con le quali possono venire a contatto i lavoratori (ivi compresa “… la pulizia a fine turno e la sanificazione periodica di tastiere, schermi touch, mouse con adeguati detergenti, sia negli uffici, sia nei reparti produttivi”);
e) che i lavoratori rispettino le norme di igiene personale;
f) che ai lavoratori che non possono operare rispettando le misure di distanziamento sociale siano forniti i dispositivi di protezione individuale e che per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni, sia disposto l’utilizzo di una mascherina chirurgica. Per quanto attiene alla frequentazione degli spazi comuni, di assoluto interesse la previsione “di una ventilazione continua dei locali”, oltre, naturalmente, al tempo ridotto di sosta alla necessità di mantenere la distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano.

Quali le criticità?
Qualche perplessità suscita l’avere confermato a solo un metro la “distanza sociale”, nonostante la letteratura consideri siffatta misura non sufficiente (nel di soggetti che non indossino la mascherina chirurgica), a evitare l’inalazione dei droplet (e, ancor più, degli aerosol); non a caso, altri paesi europei hanno già indicato in 1,50 – 2 metri la distanza sociale di sicurezza.
Sul lavoro agile appare di tutto pregio la previsione indicata nel protocollo che il datore di lavoro garantisca adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività (assistenza nell’uso delle apparecchiature, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause); ciò per evitare gli effetti di negativi che l’isolamento e l’inevitabile alterazione della routine lavorativa possono determinare sulla salute del lavoratore.

… e con riguardo ai certificati di negativizzazione del contagio?
Nulla di nuovo sui certificati di negativizzazione del contagio: si tratta infatti di certificazioni che il Dipartimento di Prevenzione della ASL territorialmente competente rilascia in via ordinaria all’interessato alla fine della quarantena per permettergli di uscire di casa. Un po’ vaga mi pare infine la prevenzione del “coinvolgimento” del medico competente per le identificazioni dei soggetti con particolari situazioni di fragilità e per il reinserimento lavorativo di soggetti con pregressa infezione da COVID 19.
Nulla di nuovo neppure in merito alla sorveglianza sanitaria dei lavoratori che, secondo quanto indicato nel protocollo, deve proseguire seppure privilegiando le visite preventive quelle a richiesta e quelle al rientro da assenza per motivi di salute superiore a 60 giorni, e con il rigoroso rispetto di tutte le misure tecniche e organizzative necessarie a evitare il contagio; per quanto rientri in una specifica risulta altresì raccomandata.

Quali aspetti di sorveglianza sanitaria avrebbero dovuto trovare maggior definizione in questo nuovo aggiornamento, secondo lei?
Sul punto ritengo che – stante la rigida definizione della sorveglianza sanitaria indicata dalla normativa vigente (mi riferisco all’art. 41 c.2 del D.lgs. 81/2008) – il protocollo non avrebbe potuto regolamentarla altrimenti; aggiungo però che la pandemia in corso dovrà essere necessariamente di stimolo al legislatore motivandolo a introdurre nel D.lgs. 81/2008 uno specifico titolo su “misure specifiche di prevenzione in corso di pandemia” ove potranno essere formalizzate alcune delle previsioni prevenzionistiche indicate nel protocollo e meglio definiti i compiti del medico competente; più nello specifico potrà essere ampliato l’ambito di esecuzione della visita medica al rientro al lavoro dopo assenza per motivi di salute, prevedendone l’esecuzione – nei soli periodi di pandemia – al rientro al lavoro anche dopo pochi giorni di assenza per motivi di salute.
Da segnalare, di sicuro interesse per i medici competenti, una novità dell’ultima ora: quella che si rinviene nelle Circolare del 29 aprile 2020 del Ministero della Salute (Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria. Ufficio 4) su “Indicazioni operative relative alle attività del medico competente nel contesto delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro e nella collettività”, ove, in “deroga” alla normativa vigente, viene disposta l’attivazione della visita medica “precedente alla ripresa del lavoro a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi” di cui all’art. 41, comma 2 lettera e-ter del D.lgs. 81/2008 “indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia”. La medesima Circolare sancisce che le visite mediche di sorveglianza sanitaria non possono prescindere dal contatto diretto tra lavoratore e medico competente e dunque non possono realizzarsi attraverso visite mediche “a distanza”.

Questa emergenza ha in qualche modo cambiato (in meglio?) la percezione propria del mondo imprenditoriale, del ruolo del sistema di sorveglianza sanitaria dei lavoratori? Quali spunti positivi possiamo tracciare per il futuro e quali lezioni il medico può far proprie anche in vista di una prossima emergenza sanitaria?
Mi auguro che la difficile situazione che stiamo vivendo c’insegni a recuperare l’attenzione ai temi della prevenzione cui andrebbero destinate risorse ed eccellenze tecnologiche e umane di ben altre proporzioni rispetto a quelle oggi disponibili.

L’autore: Angelo Sacco
Medico chirurgo, specialista in medicina del lavoro e medico autorizzato alla radioprotezione dei lavoratori, dal 1999 lavora come dirigente medico del lavoro nel Servizio Sanitario Nazionale.
Ha conseguito il Master di II Livello in “Management e Innovazione nelle Aziende Sanitarie” presso l’Università degli Studi “Sapienza” di Roma.
Già presidente della Sezione Territoriale Lazio della Società Italiana di Ergonomia.
È docente a contratto di medicina del lavoro (MED/44) presso la Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
È docente di medicina del lavoro (MED/44) presso la Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, nei Master Universitari e I e II Livello e nei Corsi di Laurea di Primo Livello dell’Università “Tor Vergata” di Roma.
Ha scritto per EPC il volume: “Il medico competente. Guida pratica alla professione – Ruolo, compiti e responsabilità“. (EPC Editore, Gen. 2020)

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