Caduta dall’alto: responsabilità per mancata previsione di protezioni

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La Corte di Cassazione Penale, sez. IV, con sentenza n. 34289 del 6 agosto 2015, ha ritenuto responsabili le figure preposte all’osservanza delle norme antinfortunistiche di un’impresa, che si stava occupando di erigere un muro in un capannone per un’altezza pari a 3,5 metri e dal quale era derivato l’infortunio di un lavoratore.
La responsabilità è stata ravvisata nella mancata previsione di protezioni tali da prevenire il rischio di caduta dall’alto dei lavoratori.

Il fatto

La Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Milano, che condannava a due mesi di reclusione il datore di lavoro, il direttore dei lavori e il coordinatore per la sicurezza, per le lesioni personali riportate da un lavoratore che era caduto da un ponteggio dall’altezza di 2,55 metri.
Secondo la corte territoriale, il datore di lavoro aveva omesso, in violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92, di far eseguire il ponteggio con adeguati parapetti anticaduta e con piano di calpestio completo.
Il responsabile dei lavori, era stato condannato per la violazione dell’art. 93 dello stesso decreto, che prevede l’obbligo di verificare l’adempimento, da parte dei coordinatori, degli obblighi di assicurare e di verificare il rispetto, da parte dell’impresa esecutrice, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché la corretta applicazione delle procedure di lavoro.
Il coordinatore della sicurezza, infine, aveva omesso, ai sensi dell’art. 92, di verificare la corretta applicazione, da parte dei lavoratori, del manufatto irregolarmente eretto.

L’infortunio si era verificato durante i lavori di costruzione di un muro che avrebbe dovuto erigersi fino a 3,5 metri in un capannone, e che pertanto, bisognava prevedere la predisposizione di idonei parapetti.
Per questo motivo erano stati ritenuti responsabili i soggetti appena citati, proprio perché l’impalcatura sulla quale il lavoratore stava operando era priva di protezioni che prevenissero il rischio di caduta dall’alto.

A seguito della sentenza di secondo grado, i ricorrenti hanno deciso di proporre ricorso per Cassazione.
Secondo il difensore del datore di lavoro, la corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che le norme antinfortunistiche prevedessero l’obbligo di predisporre presidi anticaduta per ogni lavorazione da eseguirsi in quota; ed invece, secondo la difesa, l’art. 107 del D.Lgs. n. 81 del 2008, nel definire il rischio di caduta, prevedeva che esso esisteva se la lavorazione si verificava da una quota posta ad altezza superiore a 2 metri da un piano stabile.
Ed invece, le lavorazioni da effettuare erano sì all’altezza di 2,55 metri, ma il piano di calpestio si trovava ad un livello inferiore ai 2 metri.
Il ricorrente ha anche eccepito il vizio di motivazione dei giudici della Corte, la quale ha ritenuto che il datore di lavoro non aveva conferito la delega al preposto. Al contrario il ricorrente sosteneva che il preposto era responsabile della sicurezza indipendentemente dalla delega ed era ammesso l’esercizio di fatto dei poteri delegati.

Il difensore del responsabile dei lavori, invece, aveva dedotto il travisamento della prova da cui doveva evincersi che l’infortunato era caduto dal ponteggio mentre eseguiva il ponteggio non ancora completato, e non perché stava eseguendo i lavori di erezione del muro. Inoltre, il capocantiere era da considerarsi l’unico responsabile del ponteggio, che era stato fatto erigere per l’esecuzione di lavori non previsti e di cui il responsabile dei lavori non era a conoscenza.

Il coordinatore della sicurezza aveva dedotto, per mezzo del suo difensore, che la Corte lo avesse ritenuto responsabile per l’inadempimento degli obblighi di coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione dei lavori, ed invece nella sentenza era stato affermato che la violazione dei doveri era ravvisabile nella fase della progettazione delle opere.
Con un secondo motivo, eccepiva che, secondo l’art. 92 del D.Lgs. n. 81/2008, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori dovesse verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l’applicazione da parte dell’impresa esecutrice delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento. Invece, i giudici di merito non avevano considerato che il ponteggio non era presente nel piano stesso e che la sua esecuzione non era prevista, pertanto l’azione scaturita non era prevedibile e prevenibile dal coordinatore, anche perché non era richiesta la sua presenza continua in cantiere e proprio il giorno prima quel ponteggio non c’era.

La responsabilità del datore di lavoro

Per i giudici di legittimità, il ricorso del datore di lavoro è infondato perché il D.Lgs. n. 81/2008, prevede all’art. 122 che per i lavori in quota bisogna avvalersi di adeguate impalcature, ponteggi, opere previsionali o precauzioni che eliminino i pericoli di caduta delle persone o cose.
Inoltre, con la riforma del Testo Unico di Sicurezza ad opera del D.Lgs. n. 106/2009, il legislatore ha previsto una maggiore cautela per i lavori da eseguire ad un’altezza superiore ai 2 metri, con la finalità di prevenire il rischio di cadute.
Quindi, il datore di lavoro avrebbe dovuto utilizzare un ponteggio per la costruzione del muro alto 3,5 metri. È per questa ragione che è stato ritenuto colpevole del reato che gli è stato attribuito.
Quanto al motivo concernente la delega al capocantiere, gli ermellini hanno ritenuto che la corte territoriale abbia correttamente rilevato che, secondo l’art. 16 del D.Lgs. 81/2008, la delega deve risultare da atto scritto con data certa; ed anche quando operi una delega di funzioni, il datore di lavoro è comunque obbligato ad osservare il dovere di vigilanza sul corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.

Sul responsabile dei lavori
Gli Ermellini hanno ritenuto infondato il ricorso del responsabile dei lavori, che riteneva sussistere un travisamento della prova da parte della corte territoriale, la quale aveva ritenuto che i lavori per cui era stato eretto il ponteggio erano in corso di esecuzione.
Difatti, dalle fotografie sullo stato dei luoghi, la corte territoriale aveva dedotto che i lavori fossero in corso di esecuzione quando era caduto il lavoratore, per la presenza sul ponteggio di mattoni e un secchio di malta.
Quanto al motivo riguardante il fatto che il responsabile non fosse al corrente dell’erezione del ponteggio, gli Ermellini hanno rimandato alla decisione assunta per il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. 81/2008.

Sul coordinatore della sicurezza

I giudici di legittimità hanno ritenuto infondato il ricorso del coordinatore della sicurezza perché non ha adempiuto agli obblighi della fase di esecuzione dei lavori, attraverso la predisposizione di misure di sicurezza e al controllo in modo continuo ed effettivo dell’osservanza delle misure predisposte.
Secondo gli Ermellini, la corte d’appello ha correttamente deciso quando ha considerato che i titolari della posizione di garanzia devono, non solo istruire i lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte ed adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma devono altresì predisporre e controllare in modo continuo ed effettivo la concreta osservanza delle misure predisposte al fine di evitare che esse siano trascurate o disapplicate.
Nello specifico devono controllare il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro, per quanto attiene alla sicurezza, ed il processo di lavorazione.
Perciò il coordinatore per l’esecuzione dei lavori ha un dovere di vigilanza sulle situazioni di pericolo nel cantiere (Sez. 4, n. 46820 del 26/10/2011).
Ed invece, lo stesso non ha vigilato affinché il ponteggio fosse eseguito nel rispetto delle norme antinfortunistiche.
Quanto alla sua presenza in cantiere, non è rilevante che il coordinatore non fosse in cantiere quel giorno perché la predisposizione del ponteggio era comunque necessaria per le opere che dovevano essere eseguite; difatti la corte territoriale ha correttamente rilavato quando ha ritenuto fonte di responsabilità, l’omissione della previsione del ponteggio nel POS.

Per tutte queste ragioni, la Corte di Cassazione Penale, sez. IV, ha rigettato i ricorsi dei tre ricorrenti.


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Redazione InSic

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