Interventi impiantistici: quale regolamentazione ai sensi del TUS? Intervista a G.Palmisano

2324 0
Durante il Convegno “La gestione della sicurezza nel cantiere edile” svoltosi lo scorso 29 novembre presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma e promosso dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, Asl Roma 2, Giuseppe Palmisano (P.I.) ha affrontato nella sua relazione, il tema della gestione della sicurezza in caso di interventi impiantistici che riguardano lavorazioni non appartenenti al settore costruzioni.
Gli abbiamo rivolto qualche domanda sui contenuti del suo intervento e sulle possibili regolamentazioni di queste attività alla luce del TUS…

Di quali lavorazioni si tratta?
Si tratta di lavorazioni edili che fanno parte del bagaglio di manutenzione ordinaria quanto straordinaria di macchine e/o impianti (secondo il proprio “manuale di uso e manutenzione”, ad esempio: riparazione o rifacimento del manto impermeabile interno ad una vasca di decantazione, demolizione o rifacimento del rivestimento refrattario di un forno, manutenzione ordinaria o straordinaria alle strutture in c.a. che interessano il normale funzionamento di un impianto, revamping impiantistico totale o parziale, inghisaggio dei binari di un carroponte ecc.) inserite in un processo tecnologico riguardante la produzione industriale, agricola o di servizi. Sono lavorazioni che prescindono dalla natura di opere edili o di ingegneria civile e quindi dalle costruzioni.

Come sono state gestite finora?
Questo tipo di lavorazioni, sino alla emanazione del D.Lgs 81/08 smi, erano regolamentate dal D.Lgs 494/96 recepimento italiano della 92/57/CE (direttiva cantieri, cioè provvedimento legislativo specifico per il settore delle costruzioni) che, con riferimento a una lettera circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n°30, ne escludeva di fatto l’applicazione nel campo edile applicando il regime di gestione dell’ex art 7 D.Lgs 626/94. Oggi, con il regime dei ” Cantieri Temporanei e Mobili” Titolo IV del D.Lgs 81/08, non esistono più i termini di applicabilità di questa circolare, in quanto non è stata introdotta a riferimento e non tenuta in considerazione dalla normativa vigente.

Dunque si applicano le norme del Titolo IV, trattandosi di lavorazioni edili…
Sì, di fatto in qualunque luogo nel quale si effettuino lavori edili o di ingegneria civile il cui elenco è riportato nell’ALLEGATO X è applicato il regime del Capo I Titolo IV, questo, pur sviluppandosi all’interno di aziende o unità produttive in quanto il Titolo IV, è una normativa speciale (art. 298 D.Lgs 81/08).

Quali sono però le criticità che si incontrano nella gestione della sicurezza di queste lavorazioni in base al Titolo IV-Cantieri temporanei e mobili?
Bisogna premettere che è di fondamentale importanza stabilire una governance efficace all’interno di una azienda o unità produttiva, in quanto la gestione della sicurezza per questo tipo di lavorazioni (ma non solo) prevede un’attenta analisi dei contesti.
Stabilire “quanto il luogo influenzerà l’attività o di quanto l’attività influenzerà il luogo” è determinante per sviluppare le scelte organizzative e gestionali utili a sviluppare un gap efficiente. La conseguente valutazione (in termini di risultato) sarà il parametro principale per decidere le misure da adottare per la cooperazione e il coordinamento. Il risultato conseguito non va applicato in termini assoluti e in modo sistemico, ma la contestualizzazione (specialmente di ciò che esiste in quel momento e in che modo ne viene influenzato) svilupperà un approccio deterministico efficace.
Le criticità che si incontrano nella gestione della sicurezza per lo sviluppo di queste lavorazioni in regime ex Titolo IV, sono sostanzialmente riconducibili nei documenti che partecipano al regime di gestione cantieristica e nei soggetti coinvolti.

A quali documenti ci riferiamo?
Tra i documenti primari, Il PSC svolge un ruolo di governance del coordinamento, e questo avviene anche all’interno di una unità produttiva. Il PSC, all’interno di una unità produttiva, segue il consueto iter normativo di un qualsiasi cantiere ricadente nel Titolo IV.
Alla base della redazione del PSC deve esserci, pertanto, un’analisi del processo aziendale, e del luogo in cui si svolgeranno le lavorazioni proprio per intraprendere scelte progettuali e organizzative efficaci, al fine di ottenere un giusto coordinamento delle lavorazioni.
L’elaborazione del PSC, in questo caso, può essere sostenuta dalle informazioni a corredo del DVR aziendale, pertanto non è da escludere il supporto del datore di lavoro committente o di un suo delegato al CSP/CSE. A supporto del documento (PSC), intervengono:
– l’analisi del processo o parti di esso, meglio se contestuali alle lavorazioni appaltate, i cui effetti comprometterebbero la sicurezza nelle lavorazioni (servizi gas, fluidi, arrivi linea elettrica, parti meccaniche in movimento o elementi in proiezione ecc.);
– i rischi del luogo i cui effetti delle lavorazioni della committente influenzerebbero le attività del cantiere e viceversa;
– l’analisi degli ambienti e del modo in cui influenzano le lavorazioni;
– le modalità di gestione delle emergenze e degli elementi che le scatenano.

Quali sono invece i soggetti coinvolti?
I Coordinatori (CSP/CSE), appartenenti alla schiera della “regia cantieristica”, rappresentano i riferimenti chiave per il processo del coordinamento delle lavorazioni in essere, per i rischi concreti (interferenziali e aggiuntivi di cui all’All.XV) che derivano dalle lavorazioni di più imprese in uno stesso luogo.
In questo specifico caso (cantiere temporaneo o mobile all’interno di una unità produttiva) di fondamentale importanza è il rapporto che si instaura con la committente (datore di lavoro), che deve essere di tipo propositivo, in quanto le misure in atto o da sviluppare risentono del contesto dell’unità produttiva e del processo industriale che interviene alle lavorazioni.
Il CSE (art. 92 comma 1 lett.a) deve verificare che il PSC venga rispettato dalle imprese esecutrici e dai L.A., in modo tale da garantire la sicurezza dei luoghi, del processo produttivo e dei lavoratori (del committente). È importante ribadire che il CSE deve “verificare” e non “assicurare”, perché il compito attribuito dal legislatore NON è di sorvegliante aggiunto ma di gestore del processo evolutivo delle lavorazioni e dei rischi concreti (interferenziali e aggiuntivi) che si possono sviluppare. Questo significa che deve svolgere il suo operato all’interno dell’azione di coordinamento e controllo delle attività in cantiere, coerentemente con gli obiettivi prefissati dal PSC.
Suo dovere è “assicurare” (art. 92 comma 1 lett. b) invece la coerenza del POS con il PSC, cioè la ricezione da parte dell’impresa delle indicazioni contenute nel PSC prima e durante l’esecuzione dei lavori.
Pertanto, a seguito dello sviluppo di queste particolari lavorazioni, se a governare rimanesse il regime del Titolo IV (regime applicato oggi dalla normativa), i soggetti incaricati non potrebbero esercitare quel parametro efficace della vigilanza sul rispetto delle indicazioni espresse a seguito del coordinamento e la cooperazione, utile in questi casi e in queste particolari condizioni di lavorazione. Questo perché i compiti attribuitogli dalla normativa li limitano alla sola verifica e il loro contributo è vincolato da un approccio non continuo e quindi con una posizione di garanzia supportata da un obbligo di mezzi.

E allora, quale potrebbe essere un’alternativa ugualmente efficace per questa tipologia di lavorazioni sul piano prevenzionistico e in linea con le previsioni del Testo unico di Sicurezza?
Un’alternativa ugualmente efficace e in linea con le previsioni del D.Lgs 81/08 riguardo a questo tipo di lavorazioni è sostanzialmente l’altro regime di gestione cantieristica, disciplinato nel Titolo I, Capo III, (che riguarda gli “Obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione”) e regolato nell’art. 26 che stabilisce una posizione attiva e preminente del Datore di lavoro come “promotore” del coordinamento e della cooperazione e “committente” (art. 89 comma 1 lett. b; art. 90 D.Lgs 81/08 smi), sia a livello organizzativo sia di esercizio del potere contrattuale (decisionale e di spesa). Il datore di lavoro è infatti il soggetto più titolato a gestire le misure di tutela nei confronti dei lavoratori in termini di rischi (derivanti dalle interferenze delle varie attività) per la salute e la sicurezza e può anche intervenire sugli aspetti del coordinamento e della cooperazione per contenere gli effetti. Esistono anche in questo caso delle limitazioni riguardo gli interventi attivi: per evitare una ingerenza negli obblighi propri dell’appaltatore, il committente (Datore di Lavoro), non può intervenire qualora costoro omettano (per qualsiasi ragione) di adottare le misure di prevenzione prescritte a tutela soltanto dei propri lavoratori (Sent.Cass.Pen. sez. IV 28197 del 09/07/2009).

Che risultato ci sarebbe, applicando il regime del Titolo I Capo III ?
L’applicazione di questo regime permetterebbe di:
– contenere il verificarsi di incidenti derivanti dalle interferenze tra le lavorazioni;
– ridurre i costi che potrebbero derivare dal danneggiamento delle macchine e/o impianti e gli stessi ambienti di lavoro, conseguenti al verificarsi degli incidenti;
– contenere i possibili danni di immagine aziendale che deriverebbero dal verificarsi di un incidente, in quanto impatterebbero anche quella dell’impresa esecutrice;
– sviluppare una condizione sicura delle attività come garanzia prevenzionistica contro gli infortuni sul lavoro.

Il Datore di lavoro Committente, in base all’art. 18 comma 3 bis D.Lgs 81/08, per adempiere al meglio al suo obbligo di vigilanza stabilisce:
– i compiti di ogni soggetto (chi deve fare cosa, quando e come) definendo ruoli nel corso dell’evoluzione dell’appalto, rispetto al risultato delle analisi delle interferenze tra lavorazioni e le misure da porre in essere al fine di contenere i rischi (eliminare o ridurre);
– l’analisi di qualunque altra situazione meritoria di valutazione che può rappresentare un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori del committente o degli appaltatori;
– l’adozione di procedure per lo svolgimento di specifiche attività o il ricorso a eventuali e particolari autorizzazioni (vedi interventi su: tubazioni gas e/o fluidi infiammabili o asfissianti; macchine o parti di impianti specie se non completamente inerti, linee elettriche ecc.).
Ciascuna impresa esecutrice si deve organizzare in modo da avere un soggetto che svolga il ruolo di preposto e che vigili sulla sicurezza dei lavori affidati; allo stesso modo il committente può assegnare tale ruolo a una persona appartenente alla propria organizzazione affinché, per suo tramite, vigili sul rispetto delle indicazioni inerenti le corrette misure di coordinamento e cooperazione contenute nel DUVRI.

Quindi il DUVRI avrebbe un ruolo centrale. Ma quali caratteristiche peculiari dovrebbe avere?
Il DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza) ha un ruolo centrale nelle vicende di gestione delle lavorazioni in quanto è il documento di promozione alle azioni di coordinamento e cooperazione. Il DUVRI fa parte del contratto di appalto (allegato contrattuale) e richiama l’obbligatorietà del rispetto delle previsioni contrattuali (artt. 1655; 2222; 1559; 1677 c.c.).
Esso rappresenta pertanto quel documento, che pur privo di contenuti alla sua redazione, è il riferimento di tutta la disciplina operativa delle lavorazioni affidate a terzi (escludendo i lavori di ingegneria civile e edile). A differenza del DVR, il DUVRI è un documento delegabile da parte del datore di lavoro ad altri soggetti (Cass. Pen., Sez.III, 16 gennaio 2013 n.2285) (ciò non esclude però il permanere dell’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro (art. 16 comma 3). ll DdL può inoltre sviluppare e attuare una pianificazione, in modo tale da organizzare al meglio la gestione del flusso delle attività all’interno dell’unità produttiva.

In che modo il datore di lavoro potrebbe gestire allora l’appalto?
Tracciando una serie di disposizioni (organizzative e gestionali) aziendali per gestire gli appalti all’interno della propria unità produttiva. Il datore di lavoro dovrebbe:
– sviluppare una pianificazione (organizzazione), che tenga conto del flusso delle attività da eseguire all’interno della propria unità produttiva, in modo da tracciare un percorso utile alla gestione delle lavorazioni terze;
– individuare ed elaborare le modalità di gestione delle lavorazioni, in modo da garantire il quando e in che modo;
– nominare i soggetti che andrebbero a garantire l’attuazione delle disposizioni emesse dal datore di lavoro committente, chi deve fare cosa.

La suddetta gestione non dovrà sfociare necessariamente in un SGSL (sistema di gestione della sicurezza sul lavoro), ma potrà essere inserita nel panorama organizzativo aziendale mediante disposizioni. I parametri da cui sviluppare le azioni del DUVRI sono deducibili dall’allegato XV punto 2.1.1 c); d), punto 2.2.4):
– rischi presenti all’interno del cantiere che possono essere trasmessi all’interno della stessa area;
– rischi presenti all’esterno dell’area di cantiere che possono essere trasmessi all’interno dell’area;
– rischi presenti all’interno dell’area di cantiere che possono essere trasmessi all’esterno dell’area.
Da queste azioni scaturisce l’importanza di concretizzare in modo specifico i rischi del luogo, che il datore di lavoro dovrà avere sempre ben presenti perché collegati alla gestione delle attività in regime di appalto.

Quali sono allora i vantaggi derivanti da una gestione delle lavorazioni ai sensi dell’art. 26 del Testo Unico di Sicurezza?
I vantaggi derivanti da questa gestione delle lavorazioni sono:
– margini di miglioramento riguardo la Qualità nell’organizzazione della Sicurezza sul Lavoro: il datore di lavoro avrebbe maggiore consapevolezza nel sviluppare un assetto organizzativo efficace sulla base degli obblighi attribuitogli, migliorando il controllo e l’assetto dei propri sub-alterni e ottenendo migliori garanzie;
– VdR più contestuale e dettagliata, che porta a un approccio più significativo e rispondente all’art. 28, consolidando i parametri più efficienti nell’analisi dei rischi ad esempio del luogo, con un miglioramento e controllo dell’efficacia delle contromisure adottate o da adottare;
– governance dei rischi Salute e Sicurezza verso i propri lavoratori, come la verifica dei sistemi messi in atto e sulla loro efficienza;
– maggiore governance sull’attività in appalto in termini di coordinamento e cooperazione, con possibilità di interventi diretti che implica una maggior tutela;
– migliore governance sull’immagine aziendale.

La sua è una proposta provocatoria…
Più che altro con il mio intervento ho voluto dimostrare quando è da preferire un’azione prevenzionistica in regime Titolo IV (oggi in vigore) e quando invece è opportuna una buona gestione dell’art. 26, a prescindere dagli obblighi stabiliti dalle normative vigenti (extra lege),nel caso di interventi edili non appartenenti al settore delle costruzioni anche tenendo in debito conto che la volontà del legislatore europeo nella emanazione della direttiva cantieri (92/57/CE) era stata quella di intervenire in contrasto ai fenomeni infortunistici nel campo delle costruzioni, e non di aumentare con la presenza dei coordinatori il parametro del controllo continuo e assiduo.

Facciamo un esempio pratico…
Prendiamo uno stabilimento industriale di medie/grandi dimensioni, nel quale possono operare molte imprese (ciascuna con un proprio contratto) per eseguire lavori in appalto, di servizi, forniture. Con l’art. 26 si stabilisce una posizione di garanzia del Datore di Lavoro committente riguardo il coordinamento e la cooperazione, acquistando maggiore efficacia poiché permette un intervento attivo e diretto sullo sviluppo di una pianificazione delle risorse e il suo processo, sugli scenari (near miss, feedback sulla sua azione di vigilanza) e sul piano d’intervento delle misure di prevenzione e protezione supportato DUVRI (quando previsto).
In presenza di un PSC per un Titolo IV, la funzione del datore di lavoro committente si limita alla mera organizzazione e viene subordinata dalla presenza e dall’operato del coordinatore che interviene su impianti/macchine esercitando un potere di decisione a fronte del coordinamento alle lavorazioni.


Alla luce di quanto detto, se dovesse formulare una proposta normativa di modifica della legislazione attuale, quali passaggi normativi correggerebbe?
Sarebbe auspicabile e interessante riformulare l’approccio a questo tipo di lavorazioni da parte del legislatore apportando una modifica all’art. 88 comma 2, in modo tale da escludere dal campo di applicazione del Titolo IV i lavori edili diretti alla manutenzione di impianti/macchine connessi alla produzione industriale, agricola o di servizi. Diversamente, si amplierebbe irragionevolmente il campo di applicazione del Capo I Titolo IV che, al contrario, ha trasposto nell’ordinamento giuridico italiano la sola direttiva particolare relativa ai “Cantieri temporanei o mobili”, ossia la direttiva 24/6/92 n.92/57 CE.

Ringraziamo Giuseppe Palmisano per la disponibilità a rispondere alle nostre domande.

Per approfondire sui temi del convegno “La gestione della sicurezza nel cantiere edile”, suggeriamo la lettura dei due contributi allegati, che riportano un sunto degli interventi di C. Catanoso e L.Casini.

Una squadra di professionisti editoriali ed esperti nelle tematiche della salute e sicurezza sul lavoro, prevenzione incendi, tutela dell’ambiente, edilizia, security e privacy. Da oltre 20 anni alla guida del canale di informazione online di EPC Editore

Redazione InSic

Una squadra di professionisti editoriali ed esperti nelle tematiche della salute e sicurezza sul lavoro, prevenzione incendi, tutela dell'ambiente, edilizia, security e privacy. Da oltre 20 anni alla guida del canale di informazione online di EPC Editore