L’art.70 del Testo Unico di Sicurezza sul Lavoro dispone che le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto con riferimento, in particolare ai punti 1.1.2., 1.2.4.2. e 1.2.5. di cui all’allegato I° al Decreto legislativo 27 gennaio 2010 n. 17 (Direttiva Macchine).
Nel caso esaminato sulla rivista biente&Sicurezza sul lavorodall’avvocato Roberto Petringa Nicolosi(Studio Associato Petringa Benedetti) un lavoratore è rimasto vittima di un infortunio mortale per essersi introdotto all’interno di un sistema produttivo per risolvere un problema, nonostante gli organi lavoratori fossero in esercizio a causa della disattivazione del dispositivo di blocco sulla porta di accesso. Di conseguenza il lavoratore veniva schiacciato da un componente in movimento contro una struttura fissa.
Nell'articolo
L‘imputazione a giudizio del fabbricante
Sono stati tratti a giudizio, con l’imputazione di omicidio colposo aggravato, il datore di lavoro titolare della posizione di garanzia e il fabbricante del macchinario al quale è stato addebitato di avere immesso sul mercato un impianto non conforme ai requisiti essenziali di sicurezza, condizione questa derivante dalla violazione dell’articolo 70 del D.Lgs. 81/08. Con la conseguenza che, a causa dei frequenti malfunzionamenti che imponevano tempi significativi per la risoluzione del problema e tenuto conto della lunga procedura di riavvio dell’impianto, sussisteva un “forte stimolo alla manipolazione del dispositivo di sicurezza”.
Al fabbricante è stata contestata la violazione dell’art. 70 del D.Lgs. 81/08 in quanto non era stato osservato quanto disposto dai punti 1.1.2., 1.2.4.2. e 1.2.5. dell’allegato I° al D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 17.
Attrezzature e sicurezza: cosa dice il Testo Unico di Sicurezza?
L’art. 70 del D.Lgs. 81/08 dispone che le attrezzature messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto. Nel nostro caso, secondo la discutibile impostazione dell’Organo di vigilanza, dalla violazione dei punti appena indicati sarebbe derivato un “forte stimolo” alla disattivazione del dispositivo elettrico di blocco installato dal fabbricante sulle porte di accesso all’interno dell’impianto.
Le argomentazioni della difesa
A questo punto la difesa, dopo una analisi puntuale del contenuto dei punti contestati, ha evidenziato che nessuno dei tre punti prendeva in considerazione qualsiasi forma di stimolo a disattivare le misure di sicurezza.
Il punto 1.1.2., recante il titolo “Principi d’integrazione della sicurezza”, prende in considerazione, fra l’altro, i seguenti fattori:
• eliminazione o riduzione dei rischi;
• rischi residui;
• misure di sicurezza;
• uso previsto e uso scorretto;
• istruzioni d’uso.
Si tratta, in sostanza, di prescrizioni che riguardano le modalità di utilizzo della macchina.
Il punto 1.2.4.2., recante il titolo “Arresto operativo”, dispone quanto segue:
“Se, per motivi operativi, è necessario un comando di arresto che non interrompe l’alimentazione degli azionatori, la condizione di arresto deve essere monitorata e mantenuta”.
Il punto 1.2.5., recante il titolo “Selezione del modo di comando o di funzionamento” riguarda, fra l’altro, i sistemi di comando, il selettore di funzioni comprese quelle di sicurezza.
La difesa ha richiamato l’articolo 15 lettera z) del D.Lgs. 81/08 che prevede, fra l’altro, l’obbligo di sottoporre a regolare manutenzione gli ambienti di lavoro, le attrezzature, gli impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti.
L’articolo 18 lettera f) del D.Lgs. 81/08 impone al datore di lavoro l’obbligo di “richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione”.
A questa disposizione fa eco quella contenuta nell’artt. 20 lettera f) del D.Lgs. 81/08 che prevede l’obbligo per i lavoratori di non rimuovere o modificare i dispositivi di sicurezza.
Lo “stimolo a manomettere i dispositivi di sicurezza” non è un fattore di rischio
Queste disposizioni, ma se ne potrebbero ricordare altre, sono del tutto incompatibili con la possibilità di considerare lo “stimolo a manomettere i dispositivi di sicurezza” come una sorta di “fattore di rischio” e, in quanto tale, meritevole di una qualche forma di riconoscimento all’interno del sistema normativo posto a tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori.
In altri termini, a voler seguire questo singolare orientamento, bisognerebbe immaginare la configurazione di un nuovo obbligo a carico del datore di lavoro ed eventualmente a carico di altri soggetti dotati della posizione di garanzia, consistente nella predisposizione di misure prevenzionali idonee a contrastare l’insorgenza dello “stimolo” in questione, ovvero a neutralizzarne gli effetti pericolosi per i lavoratori.
Questa tesi, osservava la difesa, è del tutto inaccettabile non soltanto sul piano del diritto, ma anche e soprattutto in considerazione del fatto che il soggetto che manomette i dispositivi di sicurezza, per escluderne il ruolo protettivo, non lo fa perché sopraffatto dallo “stimolo” a manomettere, ma perché così ha deciso di fare, con assoluta consapevolezza della decisione presa e del suo palese contrasto con norme imperative di legge.
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