Incendio in un opificio: la detenzione abusiva di materiali pirotecnici

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La Cassazione penale, con sentenza n. 23620 del 5 giugno 2014 conferma che integra il delitto di illegale detenzione di esplosivi e non la contravvenzione di detenzione abusiva di materie esplodenti, la condotta avente ad oggetto materiali pirotecnici, non micidiali se singolarmente considerati, che in determinate condizioni – quali l’ingente quantitativo, il precario confezionamento, la concentrazione in ambiente angusto, la prossimità a luoghi frequentati – costituiscono pericolo per persone o cose, assumendo nell’insieme la caratteristica della micidialità.

Nella sentenza n. 23620 del 5 giugno 2014 la Cassazione penale afferma la responsabilità del legale rappresentante di un opificio, della morte di 4 persone al seguito di esplosioni a catena che si verificarono nei locali della fabbrica e produssero incendio di vaste proporzioni.

La vicenda
L’incendio era avvenuto in un opificio dove si trattavano fuochi d’artificio: a seguito di alcune esplosioni a catena nei locali della fabbrica si registrò il decesso immediato di tre giovani dipendenti, e di un quarto che si trovava sul luogo del sinistro per puro caso. L’esplosione ed il conseguente incendio si erano verificate in corrispondenza di una tettoia confinante con un laboratorio – a sua volta interessato dall’innesco – e di un locale di deposito di materiale inerte.
Al proprietario era stata contestata in termini di colpa generica la detenzione di materiale esplosivo in luoghi non autorizzati al deposito ed alla fabbricazione, ovverosia in uno spazio, quello sottostante la tettoia antistante il laboratorio di fabbrica, e nel deposito adibito a ricovero di materiale inerte, ubicato a breve distanza dal laboratorio stesso.

Quindi veniva contestata la violazione
-del d.lgs. 626/1994, art. 72, (divieto di immagazzinare sostanze chimiche incompatibili tra loro: il materiale infiammabile era stato stivato insieme a materiali comburenti)
– del d.p.r. 547/1955, art. 332, (che prescrive ai titolari di fabbriche pirotecniche l’illuminazione elettronica dei laboratori con lampade esterne illuminanti l’interno, consistenti di accensione protezione di tipo antideflagrante)
– del d.p.r. 547/1955, art. 358, (che prescrive l’obbligo per i titolari di imprese di produzione di fuochi pirotecnici l’obbligo di utilizzare strumentazione antiscintilla;
– del d.lgs. 626/1994 artt. 4, 88 quinquies e 88 novies, quanto all’obbligo della valutazione dei rischi aziendali e di elaborazione di un piano di sicurezza antincendio ed antiesplosione, con adozione delle misure necessarie per la prevenzione incendi e l’evacuazione dei lavoratori, quali uscite di emergenza, sistemi di allarme, strumenti di estinzione
-del d.lgs. 626/1994, art. 8, quanto all’obbligo di organizzazione all’interno di fabbriche aventi ad oggetto l’attività in questione, il servizio di prevenzione e protezione, con nomina di rappresentante della sicurezza diverso dal titolare aziendale.
Tali violazioni erano risultate solo in parte causalmente legate all’evento, in quanto l’incendio era stato cagionato dal verificarsi di un’esplosione interna ad un trapano a colonna, utilizzato nel locale sottostante la tettoia, dove erano stati stoccati dei fuochi, esplosione generatasi per il deposito di polveri esplosive aspirate dalla ventola del trapano, azionato da un lavoratore, ed accese da una scintilla o da un fenomeno di frizione, che ebbe luogo nel motore in movimento. Lo scoppio del materiale esplosivo aspirato nel trapano veniva individuato come la causa determinante l’amputazione delle mani del lavoratore per l’accensione di un fuoco pirotecnico posizionato sul tavolo dove questi stava lavorando. Perciò la causa dei decessi veniva ritenuta riconducile agli effetti meccanici e termici delle esplosioni.

Il ricorso
Con il ricorso viene contestata la genesi e l’allocazione della prima esplosione, in quanto la polvere non confezionata, ma libera, aspirata dalle ventola del trapano avrebbe potuto al più determinare una modesta fiammata. Inoltre, è stato dedotto che la ritenuta genesi dell’esplosione ricondotta allo scoppio di polvere pirica accumulatesi nel motore del trapano striderebbe con le risultanze processuali, in quanto il consulente del pm avrebbe escluso che sul trapano fossero presenti residui di alluminio, elemento non idrosolubile, componente essenziale nella composizione delle miscele esplodenti, il che escluderebbe la presenza di colpi oscuri sul tavolo da lavoro. Inoltre, secondo la difesa se il trapano fosse stato in attività, le polveri accumulatesi nella ventola di raffreddamento, non avrebbero potuto raggiungere quantità tali da provocare l’amputazione delle mani di chi vi lavorava, poiché la polvere per provocare simili effetti avrebbe dovuto essere racchiusa in involucri.

Il giudizio della Corte
Secondo la Corte, in merito alla ricostruzione dei fatti, non può essere messo in dubbio che la genesi dell’esplosione sia riportabile all’intervenuto irresponsabile utilizzo di trapano elettrico, allacciato con presa volante, visto che è stato spiegato con adeguate argomentazioni sorrette scientificamente, che il trapano fu trovato con mandrino abbassato e bloccato, segno dell’intervenuto utilizzo ad opera dell’operatore, per eseguire dei fori nelle confezioni in cui dovevano essere collocati i fuochi; che fu rinvenuto posizionato sul tavolo nell’angolo nord ovest della tettoia 9, dopo essere stato proiettato nella posizione finale in cui venne rinvenuto; che lo stesso era funzionante, fu alimentato con corrente elettrica portata con fili volanti costituenti linea elettrica di fortuna, in spregio alle più elementari misure di sicurezza; che un’esplosione all’interno del motore, determinò l’innesco del materiale esplodente posto sul tavolo e sotto il tavolo, tanto che il lavoratore infortunato che lavorava a quel tavolo, subì la mutilazione agli arti inferiori, proprio per gli effetti meccanici dell’esplosione.
La ricostruzione operata nei suoi minimi dettagli, così come riportata nella sentenza di primo grado, non può essere messa in discussione dal semplice fatto che non siano state rilevate tracce di alluminio, ovvero che la polvere pirica per produrre effetti così devastanti dovesse essere racchiusa in involucri, trattandosi di profili di fatto ampiamente superati dalla scientifica ricostruzione degli accadimenti che è stata operata e che nessuna incidenza possono avere per giustificare una ricostruzione alternativa.
Quanto alla qualificazione del reato, la Corte conferma che integra il delitto di illegale detenzione di esplosivi e non la contravvenzione di detenzione abusiva di materie esplodenti, la condotta avente ad oggetto materiali pirotecnici, non micidiali se singolarmente considerati, che in determinate condizioni – quali l’ingente quantitativo, il precario confezionamento, la concentrazione in ambiente angusto, la prossimità a luoghi frequentati – costituiscono pericolo per persone o cose, assumendo nell’insieme la caratteristica della micidialità (Sez. 1^, 14.10.2013, n. 45614, Rv 257344).
Nella categoria delle “materie esplodenti” indicata nell’art. 678 cod. pen. rientrano quelle sostanze (nella specie un petardo) prive di potenzialità micidiale sia per la struttura chimica, sia per le modalità di fabbricazione, dovendo invece essere annoverate nella diversa categoria degli “esplosivi” – la cui illegale detenzione è sanzionata dalla L. n. 497 del 1974, art. 10, – quelle sostanze caratterizzate da elevata potenzialità, le quali, per la loro micidialità, sono idonee a provocare un’esplosione con rilevante effetto distruttivo (Sez. 4^ 16.6.2009, n. 32253, rv 244630).

Riferimenti normativi
Cassazione Penale, Sez. 1, 05 giugno 2014, n. 23620

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Redazione InSic

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