Thyssen: depositate le Motivazioni della sentenza

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Sono state depositate oggi, 28 maggio, le 346 pagine delle Motivazioni della sentenza d’appello del Processo Thyssen (in allegato).

Era il 5 dicembre 2007 quando l’acciaieria di Torino veniva inghiottita da un grave incendio nel quale persero la vita sette operai.
Il processo che ne seguì portò nel processo di primo grado, alla condanna per omicidio volontario con dolo eventuale dell’ex amministratore delegato della Thyssenkupp, Harald Espenhahn.
In secondo grado la sentenza venne riformata, riducendo la pena dell’imputato da 16 a 10 anni, e soprattutto prevedendo il reato di omicidio colposo “con colpa cosciente”.
In alcuni estratti delle Motivazioni è possibile seguire i passi del ragionamento seguito dai giudici d’appello per ricostruire il titolo di colpa cosciente attribuito.

Il comportamento degli operai


Si legge innanzitutto che “Non ci fu alcun comportamento imprevedibile da parte degli operai. Gli operai non fecero che dare attuazione al piano di emergenza che era stato loro imposto, senza alcuna formazione e informazione dei rischi specifici”, scrivono i giudici; questo fatto “esclude totalmente che il loro comportamento possa essere qualificato imprudente, imprevedibile, imprevisto: esso era proprio quello che ci si aspettava che essi facessero, ignari che il vero pericolo per loro non era costituito dalle fiamme cui si avvicinavano ma dall’innescarsi improvviso di una nuvola incandescente che li avrebbe avviluppati senza scampo”.
I giudici parlano quindi di “eroismo” dei lavoratori e sottolineano come “era diventato assolutamente normale che persone, ignare dei veri rischi e senza alcuna formazione antincendio, si sobbarcassero il compito di affrontare le fiamme con mezzi inidonei e con il divieto di chiamare i vigili del fuoco”. “Era cioè diventato normale per la dirigenza – si legge nelle motivazioni – aspettarsi da loro che superassero le remore di autoprotezione minimali per chiunque e che si esponessero così a rischi che solo la dirigenza conosceva e contribuiva a mantenere”. Inoltre, tutti gli imputati “confidarono con gravissima imprudenza che non si sarebbe verificato l’evento che produsse” la morte degli operai. In altri passi si afferma che: “Essi accettarono tutti il rischio che si verificassero eventi diversi: cioè fenomeni di focolaio non diffusivo (che si provocavano tutti i giorni nello stabilimento) ma confidarono con gravissima imprudenza che gli operai sarebbero riusciti, come avveniva sempre, a sedarli”.

Il comportamento dell’Ad esclude il dolo eventuale

“È impensabile che un imputato come Espenhahn, imprenditore esperto, abituato a ponderare le proprie decisioni nel tempo, abbia agito in maniera tanto irrazionale” è quanto rimbalzato sui principali organi di stampa a proposito del testo delle Motivazioni della sentenza Thyssen. I giudici aggiungono anche che il fatto di aver valutato la possibilità che l’incidente accadesse non significa che Espenhahn e gli altri cinque imputati non “agirono nella convinzione che gli eventi sarebbero stati evitati”, come invece contestato dai pm Raffaele Guariniello, Francesca Traverso e Laura Longo in primo grado, sostenendo l’omicidio volontario con dolo eventuale.
Nelle motivazioni si legge anche che tutte le azioni omissive e commissive tenute dall’amministratore delegato avevano due obiettivi, entrambi con un contenuto economico: il risparmio dei fondi già stanziati per la realizzazione delle opere prevenzionali e quello di continuare ad utilizzare gli impianti una volta trasferiti da Torino.
Per queste due ragioni, sostengono i giudici, non sarebbe stato razionale da parte dell’imputato accettare la possibilità del verificarsi di un “incendio diffusivo e di difficile spegnimento che avrebbe portato alla distruzione degli impianti”. Anzi, “accettando il verificarsi degli eventi, Espenhahn non solo non avrebbe fatto prevalere l’obiettivo perseguito del risparmio ma avrebbe provocato un danno di tali dimensioni da annullarlo e soverchiarlo totalmente”.
Secondo i magistrati “non si tratta dunque di un caso in cui l’evento previsto è raffigurato come un prezzo da pagare per il raggiungimento dell’obiettivo, bensì di una vicenda in cui la verificazione dell’evento diventa la negazione dell’obiettivo perseguito”.

Redazione InSic

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