In questo articolo approfondiamo il significato di smart working e l’evoluzione in smart working emergenziale a seguito della pandemia da Covid-19. Di seguito mettiamo in luce i vantaggi e gli svantaggi derivanti dall’applicazione del lavoro agile e i risolti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori agili.
Nell'articolo
Lo smart working e la pandemia da Covid-19
La pandemia di COVID-19 ha costretto un gran numero di paesi nel mondo a ristrutturare la vita sociale e le attività lavorative, secondo regole di protezione individuale e sociale.
In Italia, con il DPCM 9 marzo 2020 (“io resto a casa”) il Governo ha introdotto lo smart working; termine che, caratteristico della normativa solo italiana, indica la modalità di lavoro più generalmente nota come:
- lavoro da remoto (vale a dire “Working From Home”)
- lavoro flessibile (Flexible Working)
- lavoro agile.
Per questo motivo, durante la pandemia di COVID-19, molte aziende, scuole e organizzazioni pubbliche hanno chiesto ai loro dipendenti di lavorare da casa, cioè di adottare le cosiddette modalità smart.
Prima della pandemia, il numero dei lavoratori impiegati in modalità agile era nettamente inferiore. Alcuni primi studi indicano che la modalità smart era impiegata per meno della metà dei lavoratori ora interessati a questa forma di lavoro. Modalità destinata ad essere perseguita anche dopo il termine della situazione emergenziale.
Smart working: significato
Lo smart working ha e presumibilmente avrà un serio impatto sia sui lavoratori che sui datori di lavoro, che deve ancora essere chiarito e indagato. Lo smart working può essere considerato un’evoluzione del telelavoro.
Tuttavia l’aggettivo “smart” pone l’accento sugli effetti potenzialmente positivi che questa nuova modalità dovrebbe portare, sia per le aziende che per le persone. Certamente, le prime impressioni sono state quelle determinate dalla sensazione di avere più flessibilità spaziale e temporale e migliori condizioni di lavoro, per il fatto di non essere vincolati da tempo e luogo.
Smart working semplificato
Lo smart working e l’espansione delle tecnologie delle comunicazioni (ITC) hanno costituito quindi una preziosa occasione di riorganizzazione e sviluppo di nuove strategie lavorative e di interazione tra le persone. Secondo uno studio dell’ISTAT nel 2020 la modalità di lavoro smart è stata utilizzata come strumento di business continuity. Cioè come misura organizzativa preferenziale per abbattere il rischio di contagio negli ambienti di lavoro in risposta alla situazione emergenziale per la pandemia da COVID-19.
Alcuni aspetti dello smart working semplificato
In particolare, ci concentreremo su questi aspetti dello smart working semplificato visto come una modalità che implica:
- per i dipendenti, lavorare principalmente da casa,
- per i datori di lavoro, l’adozione di opportune modifiche nelle procedure di lavoro e nei compiti nel caso in cui e dove questo sia funzionale all’efficacia dei compiti lavorativi che vengono svolti,
- sia per i dipendenti che per i datori di lavoro, impiegando un’efficace combinazione di tecnologie dell’informazione, reti informatiche e dispositivi mobili.
Smart working: dove è possibile applicarlo
Come è intuitivo, lavorare da casa è ovviamente il modo più sicuro per svolgere il proprio lavoro senza incorrere nel rischio di essere infettati. Purtroppo, il numero delle attività che possono essere svolte in questo modo, pur incrementata durante il periodo emergenziale, e senza limitarci al solo periodo di lock-down, ammonta ad una frazione del mondo del lavoro. Molte attività industriali-commerciali o, per esempio, di assistenza sanitaria, non possono essere eseguite da casa ma devono essere svolte “in presenza”. E’ necessario che siano svolte infatti in ambienti quali reparti/fabbrica/laboratori o altri ambienti controllati dove per la verità il contatto tra i lavoratori è stato limitato. In particolare laddove sono state adottate ed efficacemente applicate le misure di sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro definite con gli accordi tra il Ministero competente, i sindacati e gli imprenditori.
Il protocollo condiviso per il contrasto alla diffusione del Covid-19
Il Governo e le parti sociali infatti, per questi casi, hanno elaborato alcune disposizioni specifiche per adattare lo statuto generale sulla prevenzione dei rischi e la tutela della salute nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008) ai rischi specifici legati al COVID-19. Primo fra tutti il Protocollo condiviso per la disciplina delle misure di contrasto e contenimento della diffusione del virus COVID-19 nei luoghi di lavoro, emanato nel 14 marzo 2020 e aggiornato prima il 26 aprile 2021 e da ultimo con il Protocollo condiviso del 2 maggio 2022 con l’Accordo di parti sociali e Governo su aspetti cruciali come l’obbligo di mascherina FFP2, non più necessario con l’evoluzione della crisi pandemica.
Le procedure definite dalle organizzazioni per far rispettare le misure di sicurezza nei luoghi di lavoro hanno incluso, oltre al ricorso al lavoro agile quando è possibile, tra le altre cose l’uso di mascherine o altri DPI per il viso, una flessibilità ampliata dell’orario lavorativo, l’allontanamento sociale (metro), la sanificazione dei luoghi di lavoro.
Il Governo ha incoraggiato le imprese private e la pubblica amministrazione a privilegiare il lavoro a distanza (in particolare il lavoro da casa) come strumento per garantire in distanziamento sociale senza pregiudicare la continuità delle operazioni aziendali e dei servizi.
Il lavoro agile: normativa
A tal fine, la legislazione di emergenza integra la disciplina civilistica di una peculiare tipologia di lavoro a distanza, denominata lavoro agile (le cui fondamenta sono costituite dalla legge n. 81/2017, Capo II, artt. 18-24), attenuandone alcuni requisiti.
In particolare, i decreti emanati a partire dal 1° marzo 2020 consentono di evitare la stipula di un accordo individuale tra le parti, che normalmente regola l’esecuzione della prestazione lavorativa a distanza, per qualunque rapporto di lavoro subordinato, pur nel rispetto dei principi della L. 81/2017.
La legislazione d’emergenza non ha comportato deroghe significative all’assetto di responsabilità riconducibili ex D. Lgs. 81/2008 al Datore di lavoro; né modifiche alle norme codicistiche di tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore. La legislazione di emergenza vuole semplicemente:
- escludere l’obbligatorietà dell’accordo individuale
- introdurre una semplificazione degli obblighi dei datori di lavoro di dare informazioni sui rischi di sicurezza.
Lavoro agile ed informativa INAIL
A questo proposito, giova ricordare che l’INAIL ponendo l’attenzione sulla necessità di informare i lavoratori sugli obblighi di sicurezza sul lavoro, ha predisposto un’informativa sulla salute e sicurezza nel lavoro agile. Ha offerto così una panoramica ampia, anche a prescindere dalla condizione emergenziale, a partire dalle attrezzature da utilizzare, per arrivare a dare indicazione per la scelta dei luoghi più adatti per svolgere attività di smart working.
Certamente, come la stessa INAIL richiama nella informativa, il Datore di lavoro è rimasto vincolato al Testo Unico sulla sicurezza, ed in particolare all’obbligo di analizzare e valutare tutte le possibili ripercussioni del lavoro agile, aggiornando od integrando il DVR.
Tuttavia, non è chiaro se la normativa emergenziale possa essere interpretata in modo da concedere al datore di lavoro l’autorità di ordinare l’esecuzione del lavoro dal domicilio del dipendente. In ogni caso, va notato che questo tipo di modalità di lavoro a distanza risponde, prima di tutto, a un dovere di sicurezza pubblica, che impone a tutti i cittadini di evitare le riunioni, anche nei luoghi di lavoro.
Lavoro agile: significato
La normativa istitutiva del lavoro agile lo definisce come “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro”. L’esercizio della prestazione agile si svolge “in parte all’interno dei locali aziendali ed in parte all’esterno senza una postazione fissa “ed implica un “possibile utilizzo degli strumenti tecnologici”.
Il luogo di svolgimento della prestazione del lavoro agile è, per definizione, variabile (pur con limitazioni), elemento questo di discontinuità rispetto all’antecedente telelavoro.
Quali sono gli svantaggi dello smart working
Da un lato è stato constatato che lo smart working può facilitare pratiche di conciliazione casa-lavoro, senza perdite di efficienza; d’altra parte va sottolineato che anche sono emersi anche risultati negativi del lavoro da casa, come ad esempio:
- il fatto di non avere un posto dove lavorare
- l’interazione negativa dello stress legato al lavoro e dello stress legato alla famiglia.
Infine, sono anche da tenere in dovuta considerazione le pressioni estreme sulle famiglie che dovevano bilanciare il lavoro e la cura dei bambini e/o degli anziani:
- i primi apparentemente più al sicuro dalla malattia, ma con un continuo bisogno di attenzione, dato che le scuole erano state chiuse;
- i secondi essendo la classe sociale che è più in pericolo per il coronavirus.
Altro fattore critico, specie nel primo periodo di pandemia, è risultata l’infrastruttura digitale italiana, con le sue debolezze che in molti casi non hanno favorito i lavoratori nel lavoro da casa o gli studenti a fruire dell’apprendimento a distanza.
I rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori in smart working
Circa il lavoro da casa, possono sorgere interrogativi in merito alla sussistenza di “rischi” per la salute e la sicurezza ulteriori o differenti rispetto al lavoro in ambiente di ufficio.
L’ergonomia
Spesso a questo proposito si cita, a volte in modo improprio, l’Ergonomia.
L’ergonomia mette al centro il massimo benessere e il massimo rendimento dell’essere umano nella sua relazione con l’ambiente circostante, in particolare con la tecnologia con cui deve interagire.
Con Ergonomia si intende lo studio delle condizioni di lavoro, in particolare la progettazione di attrezzature e arredi, al fine di aiutare le persone a lavorare in modo più efficiente (Oxford dict). Non è estranea all’ergonomia la progettazione delle modalità esecutive e dell’organizzazione del lavoro.
Premesso che lo smart working non è una nuova attività lavorativa, ma una nuova modalità di svolgimento delle abituali attività, le criticità in termini di salute e sicurezza potrebbero essere individuate nello stress che si potrebbe presentare in connessione a questa forma di esecuzione del lavoro.
Il tecnostress
Una parte importante di stress è rappresentata dal cosiddetto tecnostress, e le relative componenti,tra le quali:
- techno-overload (cioè la domanda eccessiva di lavoro),
- techno-invasion (cioè l’essere “sempre esposti”, dove le persone possono potenzialmente essere raggiunte ovunque e in qualsiasi momento e sentono il bisogno di essere costantemente connessi),
- tecnho-complexity (che descrive situazioni in cui i complessi sistemi informatici usati sul lavoro costringono le persone a spendere tempo e sforzi per imparare e capire come usare nuove applicazioni e per aggiornare le loro competenze).
D’altra parte il Datore di lavoro resta obbligato, ai sensi del D. Lgs. 81/2008, ad evitare/ridurre per le proprie risorse umane i rischi di forme di tecnostress eccessiva:
- stanchezza,
- esaurimento,
- dipendenza tecnologica e sindrome di burnout,
- conseguenze negative nella sfera personale causa assottigliamento tra il confine lavoro-vita privata,
- continua disponibilità al controllo.
Postazioni non ergonomiche
Una parte minore rivestono le condizioni particolari e molto individuali di lavoro, come le postazioni/posizioni dette non ergonomiche; queste utilizzano infatti risorse e eventualmente facilities non architettate primariamente allo scopo lavorativo e, aggiungiamo, salvo i principali devices informatici dello smart worker (smartphone, tablet, laptop), al di fuori della sfera di competenza richiesta al Datore di lavoro ai sensi del D. Lgs. 81/2008.
La sicurezza del lavoratore agile
Infatti, in tema di sicurezza del lavoratore agile, una prima indicazione è rinvenibile nell’art. 18 comma 2 della L. 81/2017. Qui si stabilisce che “Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Ed ancora, l’art. 22 L. 81/17: “Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.”
Inoltre, al lavoro agile è certamente applicabile il Titolo III (sulle attrezzature di lavoro) e il Titolo VII (sul lavoro al videoterminale) del D. Lgs. 81/2008. Circa il luogo di lavoro, se in condizioni di cessata emergenza, sarà l’accordo di cui all’art. 19 L. 81/2017 a regolare l’attività agile, se il luogo di lavoro sarà essere oggetto dell’accordo individuale (con la possibilità per il lavoratore di indicare, ad esempio, alcuni luoghi in cui la propria prestazione si svolgerà quali, domicilio, residenza, etc.), solo in questo modo sarà possibile conciliare il lavoro smart con le norme generali di tutela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro.
La formazione del lavoratore agile
Risulta da queste prime osservazioni la necessità da parte del Datore di lavoro, anche a tutela del proprio ruolo prevenzionistico, di fornire al lavoratore agile la necessaria formazione e le principali indicazioni. Questo allo scopo di permettere al lavoratore di effettuare in prima persona la valutazione dei potenziali pericoli presenti nell’ambiente fisico dove svolge le prestazioni, che è al di fuori dal presidio Aziendale; e soprattutto le conseguenze in termini dei possibili danni fisici conseguenti per esempio alle eventuali posture incongrue liberamente scelte (ad esempio la scelta di lavorare sdraiati nel letto o accoccolati sul divano).
La postazione di lavoro corretta
È infatti evidente che presso il proprio domicilio, dove il lavoratore magari è stato addirittura “obbligato” a stare, per via dello smart working emergenziale in tempi di lockdown, una postazione di lavoro corretta (in rapporto alla collocazione del tavolo rispetto alle fonti di luce, oppure alla sedia ergonomica, od ancora, alla posizione dello schermo), rispetto ai parametri del D. Lgs. 81/2008 non è scontato debba o semplicemente possa esistere. A maggior ragione nell’ambiente esterno o negli ambienti di collettività eventualmente scelti, ed in questi casi la valutazione dovrebbe anche essere indirizzata a considerare l’eventuale violazione dei livelli di riservatezza circa le informazioni ed i dati trattati dal lavoratore smart.
Smart working: vantaggi e svantaggi
In chiusura, possiamo sintetizzare che il lavoro da remoto può avere dei punti di forza:
- quando l’interazione vis a vis non è necessaria, lo smart working va meglio rispetto al lavorare negli open spaces, dove la concentrazione può essere distratta e calare;
- è perfetto per il lavoro in autonomia;
- va bene quando l’Azienda incentiva il lavoro in team e questo può avvenire da remoto con gli attuali mezzi di comunicazione;
- quando il lavoro è per obiettivi/progetti, il confronto è continuo ma non per forza diretto;
- quando risulta opportuno facilitare pratiche di conciliazione casa-lavoro;
e dei punti di debolezza:
- l’assenza totale di incontri di persona può avere effetti negativi (leggi: sensazione di isolamento);
- non esistono spazi adeguati nell’ambiente domestico e, quindi, è necessario recarsi in un luogo diverso (quindi, in teoria, si potrebbe risultare più esposti sia presso il sito di coworking che nel commuting);
In ogni caso emerge la necessità che vengano definite regole che vadano opportunamente a definire:
- le mansioni in cui è prevedibile lo smart working,
- qual è il limite di ore e il diritto di disconnessione,
- la definizione del luogo, che non necessariamente deve essere il domicilio,
- una adeguata formazione circa la riorganizzazione delle mansioni/compiti ed organizzazione del lavoro.
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Laureato in chimica farmaceutica, ha svolto inizialmente attività di ricerca presso l’Università Statale di Milano. Da oltre 25 anni segue lo sviluppo e la applicazione pratica della normativa in materia di igiene industriale, sicurezza e protezione dell’ambiente ed organizzazione e sistemi di gestione. Svolge attività di consulenza e di formazione nelle materie citate.