Amianto: le certificazioni Inail hanno valore di prova in giudizio

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La Cassazione, sez. Lav, con sent. n. 5174 del 16 marzo 2015, riconosce la malattia professionale del lavoratore esposto ad amianto nel corso della sua attività lavorativa e qualifica le certificazioni Inail come atti non autoritativi, con valore probatorio.


La Corte di Cassazione Civile, Sez. Lav, con sent. n. 5174 del 16 marzo 2015, ha accolto parzialmente il ricorso di un lavoratore di una società operante nel settore portuale, che aveva agito per il risarcimento del danno biologico e morale, per essere stato esposto ad amianto e aver contratto il tumore ai polmoni a seguito della sua attività lavorativa: il lavoratore disponeva dei certificati Inail che la comprovavano.
Gli ermellini hanno riconosciuto l’esistenza del nesso causale tra l’esposizione ad amianto e l’insorgenza della patologia oncologica, in applicazione del principio dell’equivalenza delle condizioni ( art. 41 c.p.). Inoltre, hanno affermato che, le certificazioni Inail non sono qualificabili come atti autoritativi e quindi possono rilevare come prova nel corso del giudizio per il riconoscimento del nesso di causalità tra l’attività lavorativa e la malattia professionale.

Fatto
Un lavoratore di una società operante nel settore portuale, aveva presentato ricorso per richiedere il risarcimento del danno biologico e del danno morale patiti, per la mancata adozione di idonei dispositivi di sicurezza personale, nonché di adeguate misure di prevenzione contro l’esposizione alle polveri e alle fibre di amianto da parte della società.
Il tribunale di Ravenna, in primo grado, aveva rigettato la sua domanda, così come la Corte d’Appello di Bologna. Il ricorrente sosteneva di essere stato iscritto come lavoratore della Compagnia portuale di Ravenna, e nello svolgimento delle sue mansioni aveva manipolato ed era stato esposto a polveri di amianto dalla data della sua assunzione. In seguito, gli era stato diagnosticato un carcinoma combinato del polmone composto da adenocarcinoma scarsamente differenziato e carcinoma a piccole cellule, e nel 1998 era stato sottoposto ad intervento chirurgico.
L’Inail gli aveva riconosciuto la malattia professionale a causa dell’esposizione all’amianto riscontrando una riduzione della attitudine al lavoro pari al 100 percento.
I giudici della Corte d’Appello avevano deciso di respingere il ricorso sulla base delle risultanze della perizia del Consulente tecnico d’ufficio (CTU), che aveva escluso una correlazione causale tra la malattia contratta dal ricorrente e l’esposizione prolungata ad amianto subita nel corso dell’attività lavorativa. Il lavoratore aveva quindi deciso di procedere con il ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione
La Corte nel rigettare i primi due motivi di ricorso del lavoratore, sostenendo che la “consulenza tecnica d’ufficio è un mezzo istruttorio, e non una prova vera e propria, ed è, quindi, sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice”.
La Corte ha poi sottolineato che, già con la sent. n. 18008 del 2014, aveva puntualizzato la loro rilevanza al di fuori dello specifico contesto di riferimento in cui sono emesse e ha ricordato che il Ministero del Lavoro ha dettato all’INAIL le linee guida generali per formulare dei giudizi e definire le numerose domande dei lavoratori, che si assumevano titolari del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione ad amianto, relativi a determinati siti produttivi. Inoltre, già in numerose sentenze (Cass. 25040 del 2011, n. 9157 del 2012 e 7501 del 2013) si era giunti alla conclusione che gli atti di indirizzo del Ministero dovessero essere qualificati come atti non autoritativi (Sezioni unite, sentenza n. 20164/2010).
Infine, si è ribadito che gli atti di indirizzo del Ministero del Lavoro non possono essere utilizzati direttamente come prova dell’esposizione qualificata, ma possono costituire elementi di valutazione nell’ambito della prova in giudizio dell’esposizione attraverso gli ordinali mezzi (Cass. 3095/2007).
La Corte ha, quindi, concluso per ritenere che un atto di indirizzo ministeriale contenente l’accertamento del superamento dell’esposizione qualificata per gli operai con determinate qualifiche e addetti a determinate mansioni, integra la prova presuntiva riguardo all’esposizione all’amianto necessaria per il conseguimento del beneficio contributivo per esposizione ultradecennale.
Lo stesso varrebbe per la concessione della rendita per asbestosi, patologia anch’essa determinata dall’esposizione ad amianto, in relazione alla quale quindi la ricomprensione negli atti di indirizzo relativi alla specifica attività produttiva della mansione svolta dal lavoratore costituisce un elemento presuntivo che concorre ad integrare la prova dell’esposizione. Pertanto, la Corte ha deciso di non riconoscere il rapporto tra la patologia e l’esposizione all’asbesto.

Esposizione all’asbesto e nesso di causalità
Nel terzo motivo di ricorso veniva dedotta insufficiente e contraddittoria motivazione sul nesso causale tra l’esposizione ad amianto e l’insorgenza della patologia oncologica (art. 360, n. 5, cpc), con riguardo alla determinazione del periodo di esposizione all’amianto da parte della Corte d’Appello.
Difatti il lavoratore aveva sostenuto, insieme ai testimoni del giudizio, che nel corso delle varie operazioni di scarico e carico dei sacchi di amianto da 50 kg, così come nel corso dello stoccaggio, capitava di frequente che si rompessero con la conseguente fuoriuscita delle polveri di amianto, con inquinamento sia delle stive delle navi, quanto dei magazzini dove i sacchi venivano stoccati. La corte d’appello non avrebbe considerato tali profili per la determinazione dell’intensità e della quantità di esposizione all’amianto, non tenendo conto delle attività che esponevano il ricorrente all’amianto; pertanto, non aveva adeguatamente motivato sulla rilevanza concausale di un elemento certo quale l’esposizione all’amianto, ritualmente acquisito al processo.
Gli ermellini, hanno sostenuto che le certificazioni INAIL possono assumere rilievo ai fini di concorrere ad integrare la prova circa l’esposizione all’amianto, anche sulla base dei precedenti giurisprudenziali dove per il riconoscimento del nesso causale tra attività lavorativa e malattia professionale ” trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 cp, per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge.”
Gli ermellini hanno dunque accolto il quarto motivo sulla domanda risarcitoria, per la sussistenza del nesso causale.
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Redazione InSic

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