Per l’Eternit scarsi investimenti in sicurezza

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“Massima protezione, ma con il minimo dei mezzi economici”. Secondo il pm Gianfranco Colace era questa la politica dell’Eternit sulla sicurezza e sulla tutela della salute dei propri dipendenti. Colace ha preso la parola oggi al tribunale di Torino nella prima di almeno quattro udienze del processo di appello, durante le quali la procura generale argomenterà le sue accuse ai vertici della multinazionale dell’amianto, Stephan Schmidheiny e Louis de Cartier, condannati in primo grado a 16 anni di reclusione per disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche negli stabilimenti italiani del gruppo.
Nella sua requisitoria, Colace si è concentrato, in particolare, sulla presenza delle polveri negli stabilimenti italiani del gruppo, puntando a dimostrare l’infondatezza dei motivi di appello avanzati dalla difesa, che secondo il pm sugli investimenti in sicurezza della Eternit si è prodotta in “un volo pindarico difficilmente sostenibile”.
Per dimostrare la sua tesi, l’accusa ha ricostruito i flussi finanziari provenienti dalla Svizzera, che “nascondono delle sorprese”. La procura, infatti, sostiene che non furono 75 i miliardi di vecchie lire destinati da Eternit agli interventi per la messa in sicurezza delle sue cinque fabbriche in Italia, ma poco più di un decimo: circa 7,8 miliardi spalmati su tutti gli stabilimenti tra il 1973 e il 1986. Venti miliardi, infatti, andarono in garanzie, 11 furono dirottati su Eternit Casale Spa a copertura di un debito oneroso con Interbanca, 10 dalla vendita di Balangero, e infine 18 miliardi confluirono negli aumenti di capitale del 1983 e del 1984, quando non ci furono più investimenti in sicurezza a eccezione della traduzione di un manuale. Dei restanti 15 miliardi, solo 7,8 risultano documentati per interventi sulla sicurezza.
La requisitoria di Colace si è poi concentrata sull’impianto Mulino Hazemag di Casale Monferrato, che macinava gli scarti di lavorazione dell’amianto provenienti anche da Bagnoli e che il pm ha definito “una bomba atomica di fibre di amianto che ha provocato un inquinamento tra i più devastanti”. Per l’accusa “il mulino Hazemag non può essere definito un investimento in sicurezza”, ma “fu piuttosto un investimento in recupero materiale molto redditizio”, che produceva polveri pericolose da insaccare e mandare negli altri stabilimenti per immetterle nuovamente nella produzione, e che prevedeva la frantumazione degli scarti a cielo aperto, con un cingolato in un terreno antistante lo stabilimento di Casale, dove gli operai rimuovevano le polveri che si producevano nel corso dell’attività di recupero con semplici scope.
Dopo Colace, il processo di appello ai vertici della Eternit proseguirà con il pg Ennio Tomaselli, a cui spetterà illustrare le risultanze delle consulenze epidemiologiche. Sulle responsabilità dei due imputati argomenterà il pm Sara Panelli, mentre le conclusioni spetteranno al pm Raffaele Guariniello. Successivamente sarà la volta degli avvocati delle migliaia di parti civili, a cui i giudici chiederanno di seguire una sorta di schema per trattare analiticamente le loro conclusioni.

Redazione InSic

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