Chiarimenti sui vaccini in ambito lavorativo

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Da dove partire per affrontare il complesso e articolato tema dell’obbligatorietà dei vaccini in ambito lavorativo? Un articolo della D.ssa Cinzia Frascheri, pubblicato sul numero di marzo della rivista Ambiente & Sicurezza sul Lavoro, fa chiarezza sull’argomento.


Di seguito alcune riflessioni su:

I principi costituzionali di riferimento
Il diritto alla salute
Il diritto all’autodeterminazione terapeutica
Il divieto di «effettuare indagini» sulle opinioni del singolo


Vaccinazioni: quali sono i principi costituzionali di riferimento?

Gli aggiornamenti quotidiani che ci vengono forniti in merito alla tempistica della campagna vaccinale, considerato l’avvio lento sul piano organizzativo (anche per responsabilità nella gestione dei piani vaccinali delle regioni) e il ritardo nella distribuzione dei vaccini a causa del ridimensionamento delle forniture, potrebbero spingere a ritenere il tema in parola non così d’attualità come, invece, l’ampio dibattito creatosi sta dimostrando.
Evitando di alimentare “tifoserie di pensiero” , quale atteggiamento non costruttivo ad affrontare un tema complesso e articolato come l’obbligatorietà, o meno, dei vaccini in ambito lavorativo, considerate le questioni di diretta incidenza, come anche le tante implicazioni che da queste ne derivano, che coinvolgono una grande fascia di popolazione, attraverso questo breve contributo si mira a fornire primi strumenti utili conoscitivi, sul piano giuridico e tecnico, per la formazione di una personale opinione.
L’avvio non può che partire dai diritti sanciti dalla Carta Costituzionale. Ed è dell’art. 32, relativo al diritto alla salute, il prioritario dettato normativo che deve essere analizzato.
Quanto previsto al comma 2, nel quale si legge che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», parrebbe già sulle prime essere sufficiente per dirimere la questione, chiudendo per adesso ogni ragionamento, in attesa (se e quando ritenuto opportuno) di uno specifico provvedimento normativo mirato a rendere obbligatoria la vaccinazione anti-Covid 19, per tutti gli individui e, tra questi, per tutte le lavoratrici e lavoratori.
Ma se il necessario rispetto di tale riserva di legge di rango costituzionale è evidente per tutti, l’attuale assenza di una norma specifica nel nostro ordinamento, a fronte dell’avvio, a fine dicembre scorso, della campagna vaccinale per gli occupati, tra i quali prioritariamente chi opera nel settore sanitario e di assistenza e cura , non solo non consente di posticipare la trattazione del tema, ma ne rafforza le ragioni. Difatti, va considerata l’urgenza del dover almeno inquadrare le questioni inerenti al quesito concernente l’obbligatorietà, o meno, della vaccinazione anti-Covid 19, in ambiente di lavoro, per offrire, almeno per tutti gli occupati che, in progressione di rischiosità, sono in queste ore chiamati alla vaccinazione, strumenti utili per prendere una decisione “libera e informata”.

Cosa si intende per “diritto alla salute”?

Il diritto alla salute, quale diritto fondamentale ed inviolabile dell’individuo, se mediante una precisa disposizione normativa trova la via per tradursi in concreta garanzia di tutela, in parallelo, la sua contrazione determinata da un intervento impositivo, è legittimata da un interesse altrettanto importante, quale il preservare lo stato di salute della collettività.
In questo senso, il comma 1 dell’art. 32, sottolinea la necessaria armonizzazione tra diritto individuale e diritto collettivo, sancendo che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…». Un binomio questo che, proprio nei riguardi di una legge che deve andare a rendere obbligatorio un trattamento sanitario invasivo, quale un vaccino (ancor più in una condizione, dai termini drammatici, quale una pandemia, come stiamo vivendo da più di un anno nel nostro Paese), ne rappresenta il fulcro centrale di sostegno .
Nell’attribuire al legislatore il compito delicato di andare a contemperare il diritto individuale con l’interesse collettivo, è importante ricordare che, avendo inserito nel 2001, la «tutela della salute» tra le materie di legislazione concorrente (ai sensi dell’art.117, co.3, Cost.), la potestà legislativa da parte delle Regioni potrà essere esercitata solo nel rispetto dei principi espressi in una legge cornice bloccando, pertanto, a giusto titolo, in questo campo – e, quindi, anche sul tema in parola – qualsiasi fuga in avanti da parte di singole Regioni, in termini di obbligatorietà della vaccinazione per gli occupati.
In questo senso, nel pieno rispetto della gerarchia delle fonti, va precisato anche che in mancanza di uno specifico rimando alla contrattazione collettiva, determinato da una norma primaria, alcun potere impositivo potrà essere esercitato dalle parti sociali, a qualsiasi livello (soprattutto aziendale) in tema di obbligatorietà dei vaccini. Pertanto, pur avendo elevato il Protocollo condiviso, siglato il 14 marzo 2020 (poi aggiornato il 24 aprile 2020) da atto negoziale, valevole solo per le parti che lo avevano siglato, a dispositivo di validità erga omnes, assegnando un ruolo centrale di gestione delle misure di intervento anti-Covid 19 al Comitato aziendale, nella sua composizione paritetica, rafforzata nelle figure di rappresentanza sindacale (contrattuale e specialistica – RSA/RSU-RLS), tale organismo non potrà stipulare, pur nell’esercizio delle sue funzioni e quale frutto di decisione condivisa, alcun accordo volto ad introdurre un obbligo di vaccinazione per gli occupati, della singola realtà lavorativa.
Trattandosi di un intervento invasivo, va detto che il tema delle vaccinazioni è sicuramente molto delicato e la sua imposizione, quando vi è stata con atto legislativo, non è mai risultata un intervento di non rilevante responsabilità che il Parlamento si è assunto, pur guardando alla salvaguardia della salute del singolo, in una cornice di tutela degli interessi della collettività.

Vaccinazioni e diritto all’autodeterminazione terapeutica

Certo è che lo spazio garantito dal c.d. “diritto all’autodeterminazione terapeutica , prevede non solo la libera formazione della propria coscienza e delle proprie opinioni, ma la libertà di esprimere il proprio parere e le proprie convinzioni, dai quali far discendere scelte inerenti la propria persona, anche in ambito lavorativo.

Il divieto di «effettuare indagini» sulle opinioni del singolo

A tale riguardo, è opportuno ricordare quanto stabilito nell’art. 8 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/70) in base al quale, non solo al datore di lavoro è fatto preciso divieto di «effettuare indagini» sulle diverse opinioni (politiche, religiose…) del singolo, o su fatti non riconducibili alle strette ragioni di natura professionale, ma anche in caso di indagine effettuata mediante terzi. Non potranno, così, essere avanzate, da parte del datore di lavoro, come anche per mezzo del sindacato, o di altri, indagini esplorative preventive, all’interno della realtà lavorativa, per verificare la percentuale di consenso al vaccino che potrà risultare tra gli occupati.

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Redazione InSic

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