Nel mondo lavorativo, soprattutto nella Fase 1, a seguito di ampie discussioni e approfondimenti, si è arrivati alla conclusione che la discriminante, per rivedere o non rivedere gli strumenti di prevenzione e protezione previsti dal D.lgs. n.81/2008 Testo unico di Sicurezza (TUS), fosse il fatto che il contatto da virus fosse riconducibile ad un rischio mansione e che una valutazione del rischio specifico per COVID-19 fosse obbligatoria per tutte le fattispecie in cui il rischio legato all’attività fosse diverso da quello della popolazione generale.
A seguito di questa interpretazione più circoscritta (di fatto applicabile a strutture ospedaliere, RSA, laboratori di analisi, etc.), per le altre attività economiche che avessero già applicato correttamente il D.Lgs. 81/2008 (artt.17 e 28, Titolo X sugli agenti biologici e i disposti generali del Titolo I del D.Lgs. 81/2008) non erano necessari altri grossi adeguamenti.
Nell'articolo
COVID-19 e il D.Lgs. 81/2008
Il problema si è iniziato a porre nella Fase 2, in cui l’attenzione si è spostata dalla sola contaminazione da virus, coinvolgendo anche la fase del graduale ritorno alla normalità con i rientri in sede aziendale. Infatti, fino a che il personale era in smart working, l’aspetto correlato al rischio negli ambienti di lavoro era pressoché inesistente (per dovere di cronaca è bene ricordare che molte aziende e alcune PA hanno confuso lo strumento dello smart working con quello del telelavoro che, dal punto di vista giuslavoristico, sono cose completamente diverse).Nella Fase 2 del rientro ci si è scontrati con un importante obbligo in capo ai datori di lavoro relativo alla necessità di adeguamento del DVR e alle misure di prevenzione e protezione correlate, come richiamato dall’art. 29 del D.Lgs. 81/2008 che al comma 3 recita testualmente “La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata, […], in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori […]. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate. Nelle ipotesi di cui ai periodi che precedono il documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato, […], nel termine di trenta giorni dalle rispettive causali. Anche in caso di rielaborazione della valutazione dei rischi, il datore di lavoro deve comunque dare immediata evidenza, attraverso idonea documentazione, dell’aggiornamento delle misure di prevenzione […]”.
Rientro in azienda e aggiornamento della valutazione dei rischi: come si riorganizza il lavoro?
Leggendo il dettato legislativo, risulta evidente che tutte le Organizzazioni che hanno avviato il graduale rientro in sede, definendo le proprie attività lavorative in termini di organizzazione del lavoro (es. rientro graduale del 20% della popolazione aziendale, poi del 40%, etc.; turnazioni per ridurre assembramenti, garantire i distanziamenti sociali e ridurre il rischio di contagio esteso nel caso di casi di positività al COVID-19; etc.), interventi tecnici (es. barriere di plexiglass; modificazione dei sistemi di aerazione e climatizzazione e del programma di sanificazione e pulizia correlato; etc.), protocolli sanitari (es. mappatura delle fragilità; test sierologici proposti ai dipendenti; rientro al lavoro di negativizzati; etc.), igiene e protezione personale (es. gel igienizzanti a disposizione con l’obbligo di utilizzo o del lavaggio frequente delle mani; mascherina indossata durante l’attività lavorativa; DPI di categoria FFP2/FFP3 per le attività di sanificazione; etc) impone al datore di lavoro un aggiornamento della valutazione dei rischi per tenere conto di quanto sopra espresso.Inoltre, tale aggiornamento nei limiti dell’art. 29 del TUS dovrà essere rivisto nei termini dei 30 giorni ogni qualvolta ci si trovi in “occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori” quindi, ragionevolmente, ogniqualvolta si avvii una fase importante del rientro del proprio personale.
Da questo punto di vista è abbastanza evidente come tutte le figure richiamate dal D.Lgs. 81/2008 a garantire l’applicazione delle misure di prevenzione e protezione debbano essere coinvolte (datore di lavoro, delegati della sicurezza, RSPP, MC, RLS) senza dimenticarne altre quali gli addetti al primo soccorso e antincendio che, in una fase di graduale rientro, devono essere comunque presenti in “numero adeguato” compatibilmente con gli spazi occupati e i turni coperti, con la potenziale necessità di dovere integrare le squadre per riuscire a garantire i presidi.
A tale proposito, lasciando momentaneamente da parte il problema del contagio COVID-19, pensiamo ad una azienda che debba gestire un’emergenza quale un incendio o un infortunio sul lavoro e si trovi senza addetti all’emergenza, antincendio o primo soccorso in situ.
In sintesi, la fase del rientro – a valle di una simile emergenza – deve prevedere una grande attenzione da parte di tutti nel rivalutare i rischi e organizzare, monitorare e aggiornare le conseguenti misure di prevenzione e protezione in azienda.
COVID-19 e il D.Lgs. 231/2001
Per ultimo, ma non per importanza, si tenga anche conto delle implicazioni da contagio da COVID-19 e le ripercussioni in merito ai reati colposi afferenti al D.Lge.231/2001.Mentre si potrebbe ritenere pressoché escludibile il rischio di reato in tema di inquinamento ambientale ai fini 231 (pensiamo ad un non corretto smaltimento delle mascherine utilizzate da un sintomatico, presunto o conclamato, in una azienda, fattispecie che, in termini di rilevanza per l’interesse o il vantaggio, è pressoché irrilevante e inverosimile), diversa è la questione relativa al tema antinfortunistico.
Dalla Fase 1 nella quale si correlava il rischio COVID-19 unicamente al rischio mansione e quindi ad un numero limitato di aziende, dopo il pronunciamento dell’INAIL, anche ai fini 231 gli scenari sono cambiati.
Con l’emanazione della Circolare dell’Istituto non si è esclusa la punibilità dell’Ente, al quale spetta l’onere della prova nel dimostrare che, se l’infortunio da COVID-19 è avvenuto, questo non è imputabile alla mancanza delle misure di prevenzione e protezione messe in atto dall’azienda, soprattutto nei casi di infortuni con prognosi superiore a 40 giorni. Tale fattispecie si complica notevolmente nei casi in cui i primi sintomi sono riscontrati negli ambienti di lavoro.
Nella Fase 2, quindi, emerge forte la necessità per l’Ente di organizzare e attuare – e per gli Organismi di Vigilanza di verificare e segnalare – la necessità di tenere allineati gli strumenti di tutela propri dei Modelli Organizzativi, sia in termini di adeguatezza (es. protocolli attuativi; procedure; disposizioni) che di effettività (es. formazione dei lavoratori sulle regole; programmi di pulizia e sanificazione; gestione delle mascherine).
Compito dell’OdV, quindi, è richiedere l’integrazione dei flussi informativi dall’Ente, organizzare audizioni con le figure della sicurezza e, laddove possibile, procedere ad audit specifici per verificare il presidio del processo di adeguamento e monitoraggio dei protocolli a tutela dei lavoratori, tenendo conto della evoluzione delle misure organizzative, tecniche, sanitarie e personali citate precedentemente.
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Sicurezza e prevenzione dopo il COVID-19. Tra ordinanze, obblighi legislativi e reati amministrativiAlessandro Foti
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