COVID19 e incentivazione dello Smart Working: quali prospettive?

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Nei recenti provvedimenti emergenziali in materia di gestione e contenimento dell’emergenza Coronavirus, molti sono stati i riferimenti al lavoro agile. Ci si riferisce, andando per ordine, al
decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020,
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 febbraio 2020,
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° marzo 2020
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 marzo 2020

In anteprima un estratto dal prossimo articolo di A.Giuliani (Collaboratore della cattedra di diritto del lavoro, Sapienza Università di Roma Facoltà di Giurisprudenza)) dalla rivista Ambiente&Sicurezza sul Lavoro dal quale abbiamo ricavato tre interrogativi circa le potenzialità di questo strumento in questo delicato e difficile momento per i lavoratori e le aziende italiane.

Smart Working: tanti i richiami normativi: c’è un filo conduttore?


Senz’altro un filo conduttore è rintracciabile nella progressiva estensione territoriale e della pervasività delle misure preventive.
Tra le novità più rilevanti proprio in tema di lavoro agile, presente in tutti i provvedimenti, è l’autorizzazione ad assolvere gli obblighi di informativa già descritti (ai sensi dell’art. 22) anche in via semplificata, attraverso apposita documentazione scaricabile dal sito web dell’Inail . È quindi sufficiente l’invio al dipendente tramite posta elettronica.
Inoltre, attraverso il recentissimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su tutto il territorio nazionale e fino al 31 luglio 2020 lo smart working può essere attivato, nell’ambito di ciascun rapporto di lavoro subordinato, anche senza accordo individuale. Fermo restando sempre il “rispetto dei principi dettati dalle disposizioni” di cui agli articoli da 18 a 23 della legge n. 81/2017.

Cosa significa l’estensione dello smart-working in termini pratici?


Ciò significa che, seppure sia probabile che nella maggior parte dei casi i prestatori di lavoro opteranno per la propria abitazione, è lasciato all’autonomia delle parti stabilire tramite l’accordo il luogo di lavoro considerato più idoneo.
Quanto alla possibilità di svolgere la prestazione anche all’esterno dei locali aziendali, il dpcm non chiarisce se essa viene meno, dato che la nuova disciplina “copre” un arco temporale di quasi 5 mesi complessivi. Tuttavia, non è da escludere a priori che possa riscontrarsi l’alternato svolgimento dell’attività lavorativa all’interno e all’esterno dell’azienda, soprattutto in Centro e Sud Italia, dove la diffusione del COVID-19 pare essere ancora piuttosto circoscritta.

Il lavoro agile è dunque la risposta all’emergenza che stiamo vivendo?


In definitiva il lavoro agile può costituire un valido strumento per fronteggiare le problematiche poste dalla diffusione del coronavirus, anche e soprattutto al fine di evitare – come sottolineato più volte dagli esperti – che dall’odierna epidemia si passi alla pandemia. E non è certo un caso che abbia assunto un ruolo di primo piano in queste ultime settimane, suscitando l’approvazione di quella parte di operatori del diritto (ma anche del mondo aziendale in senso lato) che da tempo cerca di enfatizzare la ratio che ne è alla base: l’obiettivo di riequilibrare il rapporto tra tempo dedicato al lavoro e sfera familiare/personale.
Bisogna evitare, al tempo stesso, di considerarlo come la panacea a tutti i mali. Infatti, risulta incompatibile con determinati settori economici o determinate attività lavorative (si pensi agli esercizi commerciali e agli operai). Inoltre è una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa “particolare” anche perché presuppone che, da un lato, l’impresa sia in grado di implementare misure di sicurezza ad hoc in tempi rapidi, non certo riducibili al formale obbligo di consegna dell’informativa; dall’altro, che al lavoratore agile vengano forniti idonei strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività (es. programmi, connessione internet, pc) funzionale alle specifiche caratteristiche dell’organizzazione aziendale. Implicando un complessivo ripensamento dei concetti di gerarchia organizzativa e di strategia prevenzionistica, e quindi – a cascata – dei ruoli e delle mansioni da svolgere.

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