Fibre vetrose, quale tutela per i lavoratori industriali?

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Un articolo della Rivista Ambiente&Sicurezza sul Lavoro fa luce sulla valutazione del rischio da esposizione a fibre vetrose artificiali sul lavoro, un argomento su cui in Italia non esiste ancora una normativa nazionale di riferimento.

Fibre vetrose, i riferimenti normativi

Attualmente non esiste in Italia una normativa di riferimento condivisa a livello nazionale per la valutazione del rischio legata alla presenza di fibre artificiali vetrose (MMVFs: Man Made Vitreous Fibres) in ambiente di lavoro.
La difficolta, quindi, è quella di svolgere una valutazione coerente in termini di quantificazione del rischio individuando le misure di sicurezza da adottare. Per effettuare la valutazione dei rischi da esposizione a fibre vetrose occorre considerare le norme riguardanti il rischio amianto, le sostanze pericolose: alcuni strumenti utili derivano da fonti regionali, come ad esempio, le linee guida pubblicata dalla Regione Lombardia (Decreto Della Giunta Regionale della Lombardia 13541 del 22/12/2010: approvazione delle linee guida per la bonifica di manufatti in posa contenenti fibre vetrose artificiali).

Spunti per una valutazione del rischio

Nell’articolo di D. Terradura (et alt.) pubblicato sul numero di Luglio/Agosto di Ambiente&Sicurezza sul lavoro (che troverete in allegato) vengono dati spunti preziosi per integrare le diverse fonti normative al fine di effettuare la valutazione del rischio da esposizione a queste particolari fibre, diffuse soprattutto nel settore industriale.
L’articolo esplora le analogie fra la regolamentazione della salubrità delle fibre con la disciplina generale dell’amianto, indicando le tecniche di produzione, che si distinguono in produzione per estrusione e per centrifuga soffiaggio e attenuazione di fiamme.
Una tabella riepiloga le diverse tipologie di MMVFs indicando le vecchie e nuove regolamentazioni europee, alla luce del recente regolamento CLP per la classificazione ed etichettatura ai fini della cancerogenicità.
Viene infine proposta uno schema di indagine per la valutazione del rischio che passa per quattro fasi:
I. indagine visiva per la identificazione e caratterizzazione dei materiali e del loro stato;
II. approfondimento analitico per la classificazione dei materiali individuati;
III. indagine ambientale per la determinazione della aerodispersione delle fibre negli ambienti indagati;
IV. elaborazione dei dati rilevati ai fini della classificazione del rischio ai sensi del titolo IX del D.Lgs 81/08.

L’articolo completo è disponibile in formato PDF in allegato.

Redazione InSic

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