Il principio espresso nella sentenza della Cass. pen. Sez. III, n. 226 dell’8 gennaio 2020.
Di seguito, il commento di S. Casarrubia sulle pagine di Ambiente&Sicurezza sul Lavoro.
Il Caso della sentenza della Cass. pen. Sez. III, n. 226 dell’8 gennaio 2020
Il superamento dei limiti indicati nell’A.I.A. in ordine alle emissioni in atmosfera di monossido di carbonio comportava la condanna dell’imputato al pagamento di un’ammenda, ai sensi? dell’art. 29quattrordecies, co. 2, T.U.A.Avverso la sentenza, si proponeva ricorso nel quale la difesa eccepiva che, in realtà, sebbene l’imputato avesse posto in essere con continuità tutte le cautele e le misure possibili per evitare il superamento dei limiti, il macchinario utilizzato per la produzione di energia elettrica termica aveva subito delle rotture proprio in concomitanza dei controlli dell’Arpa; la circostanza in esame avrebbe quindi operato in favore dell’applicabilità della scriminante di cui?all’art. 45 c.p. (caso fortuito o forza maggiore).
Il commento alla sentenza della Cass. pen. Sez. III, n. 226 dell’8 gennaio 2020
Il ricorso è inammissibile. Il titolare di un insediamento produttivo ha il dovere positivo di prevenire ogni forma di inquinamento, attraverso l’adozione di tutte le misure necessarie, attinenti al ciclo produttivo, alla organizzazione, ai presidi tecnici, alla costante vigilanza. Nel caso di rottura accidentale di tubi, guarnizioni o di arresto della energia, così come nel caso di accadimenti naturali, questi devono essere previsti attraverso la positiva adozione di accorgimenti tecnici adeguati agli impianti. Dal momento che l’inclemenza atmosferica (dovuta a pioggia abbondante o freddo intenso), i guasti meccanici dell’impianto di depurazione, i comportamenti irregolari dei dipendenti non sono fatti imprevedibili, al verificarsi degli stessi non è invocabile l’esimente di caso fortuito o forza maggiore.?Conosci la rivista Ambiente&Sicurezza sul Lavoro?
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