Infortuni, sicurezza e salute sul lavoro: quale strategia?

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Finalmente torna al centro dell’agenda politica il tema della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro. Non solo sicurezza, cioè la certezza di tornare a casa integri ogni giorno, ma anche salute, ovvero assenza di malattie di lavoro e benessere psicofisico. Il futuro ci dirà se i recenti provvedimenti costituiranno soluzioni efficaci e durature, oppure saranno buoni solo per i titoli dei giornali.

Per inquadrare bene la questione è necessario fare un piccolo passo indietro nel tempo, ponendo attenzione agli eventi di infortunio mortale della prima parte del 2021, e valutare in modo approfondito molti aspetti, perché i problemi, le disfunzioni, le contraddizioni, vanno ben oltre le semplificazioni dei titoli che i media pongono all’attenzione del pubblico.

Infortuni mortali sul lavoro nel 2021 e l’impatto del COVID

Nelle interviste diffuse da RAITRE a seguito di uno degli infortuni mortali avvenuti in Toscana in primavera, all’ intervistatore che chiedeva all’imprenditore committente dell’impresa nella quale era avvenuto l’incidente mortale, se gli fossero noti i metodi di lavoro di quell’impresa, ritenuti al limite dello schiavismo, questi rispondeva: “Ma lei lo sa che c’è stato il covidde? Lo sa che c’è stato il covidde?…”.

L’imprenditore voleva, evidentemente, significare che la forzata e prolungata chiusura dell’ attività, da poco ripresa, giustificava ritmi e modalità di lavoro che non consentivano di andare troppo per il sottile. Pertanto, quell’ imprenditore, o sedicente tale, riteneva una questione fastidiosa e superflua il problema del rispetto della integrità fisica, della salute e della dignità dei lavoratori, oltreché della regolarità dei loro contratti.

La breve e sgangherata risposta di quell’ imprenditore racchiude in se’ ed esplicita, drammaticamente, l’intera questione della dignità del lavoro e del diritto alla salute e alla sicurezza.

Fare Impresa e rispetto della vita e dignità umana

In Italia per molti, troppi imprenditori grandi e piccoli – da Thyssenkrupp al piccolo imprenditore toscano – fare attività d’impresa prescinde da una cultura del rispetto della persona umana e dalla sicurezza dell’ambiente nel quale si lavora e si vive.

L’art. 41 della nostra Costituzione costituisce per questi soggetti un patetico richiamo a posteriori, non è “precondizione” di umanità, che definisce un diritto/dovere inalienabile, prima ancora che un obbligo di legge. È sconcertante che in un paese evoluto, di democrazia occidentale, componente fondamentale dell’Unione europea, del G7 e del G20 per alcuni possa essere considerato “normale” fare impresa nel disprezzo della vita e della dignità della persona, sia questa un lavoratore italiano o straniero.

La dinamica degli infortuni sul lavoro e l’arretratezza culturale

La quantità di infortuni e le modalità con le quali questi avvengono rivelano un approccio profondamente arretrato dal punto di vista sociale, culturale e tecnico.

Al di là delle definizioni giuridiche e dell’applicazione della giurisprudenza, quanto può essere considerato “colposo” l’omicidio del lavoratore quando gli incidenti mortali avvengono per omissione o, persino, in seguito ad una deliberata manomissione di dispositivi di sicurezza, finalizzate all’incremento produttivo, pur nella consapevolezza che tali scelte possono causare lesioni gravi, menomazioni permanenti e la perdita della vita stessa?

Vale la pena evidenziare un esempio che ha toccato tutti. Coloro che per mero interesse e vantaggio economico hanno deliberatamente manomesso i freni d’emergenza della funivia del Mottarone non avevano certamente “intenzione” di uccidere, ma erano perfettamente consapevoli che quella manomissione eliminava l’unico dispositivo di sicurezza per la salvaguardia della vita delle persone e costituiva un innesco per il verificarsi di un evento catastrofico. Fatto che è tragicamente avvenuto, provocando una strage.

E forse è il caso, per queste situazioni, di introdurre una specifica fattispecie di reato da punire con particolare severità, rispetto all’ ipotesi del semplice omicidio colposo; anche le norme sulla responsabilità d’impresa devono essere rese più incisive e, per quanto gli accertamenti possano essere in certi casi complessi, applicate sempre.

Infortuni sul lavoro servono davvero “più controlli”?

All’indomani di ogni evento luttuoso si alza il coro unanime “servono più controlli”. Ma davvero la soluzione è: “più controlli”? E’ sicuramente corretto intervenire per realizzare quanti più controlli possibile, più severi, con pene adeguate, con sospensione dell’attività d’ impresa, come si sta ipotizzando, ma non è sufficiente. La questione è un po’ più complessa, e cercherò di spiegarla.

Perché “più controlli” è una soluzione insufficiente e parziale?

Il primo motivo è estremamente semplice, addirittura banale. In Italia viene sottoposto al controllo, ogni anno, un numero di imprese fra il 5% ed il 7% del totale, a seconda delle regioni. Con l’approccio culturale ed operativo alla sicurezza dell’imprenditore citato all’inizio, quale “interesse e vantaggio” ha questi a rispettare le norme o addirittura a fare qualcosa in più, se il rischio di essere “beccato” è così basso e destinato a rimanere tale anche nel caso di un aumento dei controlli di qualche punto percentuale? Sarà portato a dire “si starà a vedere se arriva un controllo”, esattamente come coloro che hanno manomesso i freni della funivia hanno detto “quando mai si romperà una fune traente…”. E quindi per mettersi in regola si attende il controllo, o peggio ancora l’infortunio grave.

Il DECRETO FISCALE: la riforma dell’attività di vigilanza

D’altra parte, lo Stato solo adesso, con il recente decreto (DECRETO FISCALE), prevede di potenziare i controlli, considerato che il personale delle USL (deputate ai controlli di sicurezza e salute) e quello degli Ispettorati del lavoro (deputati ai controlli di regolarità contrattuale e contributiva) è stato fino ad oggi costantemente sotto organico.

Il coordinamento INL e ASL

L’impostazione del decreto suscita notevoli perplessità: Ispettorato Nazionale del Lavoro ed Aziende ASL avranno competenze concorrenti; questo comporterà l’esigenza di un coordinamento continuo, tempestivo, non semplice da realizzare.

L’operatività degli ispettori INL

Verranno acquisiti oltre 1000 organici in INL per i controlli di sicurezza, ma quando saranno operativi visto che INL non fa vigilanza in materia di sicurezza ed igiene del lavoro da oltre 40 anni? Chi formerà ed addestrerà questo personale? INL non ha ancora “digerito” l’integrazione della vigilanza INAIL ed INPS, introdurre nuove competenze e numeroso personale completamente inesperto rischia di aprire una fase interminabile di transizione.

INL e controlli da effettuare

Inoltre, sono tuttora insufficienti gli organici che si occupano delle verifiche su rispetto dei contratti, lavoro grigio, lavoro nero, e non vengono colpevolmente potenziati: che fine fanno questi controlli altrettanto importanti? Il provvedimento fa pensare più ad un regolamento di conti fra amministrazioni dello stato e Regioni, piuttosto che ad una seria soluzione. Ma pur con l’inasprimento delle pene, un modesto incremento dei controlli e la previsione della sospensione dell’attività d’impresa, il solo controllo resta un approccio parziale, poco più di un deterrente.

I controlli in materia di sicurezza e la loro limitatezza nel tempo e nello spazio

Ci sono almeno altri due motivi per cui la strategia “più controllo” è insufficiente: un controllo è una fotografia di un luogo circoscritta nel tempo e nello spazio; non può assicurare che le condizioni di sicurezza imposte in un dato momento vengano poi mantenute.

Cosa effettivamente avviene ogni giorno in un luogo di lavoro non è noto all’organo di vigilanza, ma è sicuramente noto al datore di lavoro, ai dirigenti se ci sono, ai capisquadra, ai lavoratori, alle rappresentanze sindacali, se presenti.

Ognuno di questi soggetti, con poteri, prerogative e responsabilità diverse, è attore protagonista sul palcoscenico aziendale in materia di sicurezza e salute ogni giorno. Questo controllo quotidiano diventa inefficace quando gli stessi lavoratori, per acquiescenza, per ricatto, per mancanza di conoscenza, per un malinteso senso di efficienza produttiva, vengono meno rispetto alla rivendicazione del loro proprio diritto alla salute ed alla vita.

Gli obiettivi del controllo degli ispettori INL

Infine, lo Stato e le Regioni richiedono agli enti di controllo esclusivamente obbiettivi quantitativi, raramente definiti in base ad una analisi accurata delle specificità territoriali. Il risultato è che troppo spesso si cerca di fare campagne di controllo con interventi “facili e veloci”, orientati soprattutto sugli aspetti burocratici, che soddisfano l’obbiettivo quantitativo richiesto ma sono inefficaci rispetto alle emergenze locali.

La gestione dei controlli dell’INL

Ulteriore criticità è rappresentata dalla regionalizzazione della pianificazione e gestione dei controlli stessi: da oltre quarant’anni l’organo di vigilanza d’elezione sono le USL. A queste oggi si affiancano gli Ispettorati territoriali del lavoro, dipendenti dal Ministero del Lavoro, che dovrebbero occuparsi più efficacemente di regolarità dei rapporti di lavoro (ed invece vengono aggiunte le competenze in materia di sicurezza), ed i Vigili del fuoco, dipendenti dal Ministero dell’interno, competenti in materia di prevenzione e vigilanza antincendi.

I problemi di coordinamento nei controlli

Ci sono però due ordini di problemi nel coordinamento dell’attività di questi enti, che necessitano di una soluzione più efficace:

  • il primo riguarda la difficoltà di coordinamento fra la Regione (USL) e gli altri enti territoriali, che rispondono ad indirizzi centrali,
  • il secondo riguarda la difficoltà di coordinamento fra le Regioni stesse.

Il Coordinamento delle Regioni è debole ed opera in modo lento e farraginoso; poche Regioni partecipano con continuità ai lavori, ed interloquiscono con difficoltà con le amministrazioni centrali. Il risultato è che non si riesce a determinare politiche di indirizzo forti e condivise nei confronti dei territori regionali e locali. Ma l’idea di attribuire compiti di coordinamento all’Ispettorato nazionale del lavoro, esautorando le Regioni, suscita perplessità, in quanto tale ente ad oggi non ha personale che opera organicamente in materia di sicurezza del lavoro.

Il collegamento fra Regioni ed Europa

Per gli stessi motivi anche il rapporto con le istituzioni europee di settore è problematico: con queste interloquiscono soprattutto il Ministero del lavoro ed INAIL, tagliando fuori le Regioni e le USL. INAIL si relaziona prevalentemente con l’agenzia EU-OSHA, il Ministero del lavoro è presente nello SLIC, il Senior Labour Inspectors Committee, sulla base di un grossolano equivoco nominativo e per il fatto che il Coordinamento delle Regioni non è un’amministrazione centrale. La situazione è paradossale, il Coordinamento delle Regioni è sostanzialmente tagliato fuori; il risultato è che al livello territoriale arriva poco o niente del lavoro sviluppato dalle istituzioni europee e perciò, tantomeno, il livello locale può fornire un feedback rispetto alle linee strategiche dell’Unione.

Il Sistema Informativo Nazionale della Prevenzione: luci e ombre

Le norme prevedono da anni la realizzazione di un sistema informativo e di banche dati ”nazionali”. Invece, siamo tuttora di fronte a sistemi informativi regionali che non si parlano tra loro, come altrettanto non parlano fra loro i sistemi delle amministrazioni centrali (INL, INPS, INAIL), se non in casi limitatissimi e con artifici “manuali”.

La condivisione delle informazioni: un risultato fallimentare

Il risultato, in termini di condivisione delle informazioni, che si parli di monitoraggio in tempo reale dell’attività, come di banca dati delle violazioni (essenziale per l’applicazione dell’art. 14 del Dlgs 81), come di analisi degli infortuni fino al livello territoriale ed aziendale, è fallimentare.

Per assurdo, i dati INAIL sugli infortuni sono più inaccessibili oggi di venti anni fa: oggi gli stessi uffici periferici di INAIL devono richiedere alla sede centrale analisi di dettaglio, non avendo la possibilità di effettuarle direttamente. Chi afferma che il SINP esiste ed è operativo sostiene una cosa non rispondente alla realtà dei fatti.

Occorre finirla di baloccarsi in modo competitivo per creare ognuno il proprio “sistemino informativo”, e vincolare una quota di risorse delle Regioni e delle amministrazioni centrali alla realizzazione di un sistema nazionale operativo e funzionante, in tempi certi. Anche in questo caso il decreto pare introdurre invece solo blandi correttivi.

Il sistema degli Organismi Paritetici

La stagione iniziale dell’istituzione di questi organismi e del Rappresentante del Lavoratori per la Sicurezza Territoriale (RLST) ha visto l’impegno di migliaia di individui volonterosi che si sono rimboccati le maniche ed hanno lavorato con grande abnegazione e spirito di servizio.

Oggi si è scaduti nella burocratizzazione di questi istituti, vanificandone l’efficacia. INAIL avrebbe dovuto realizzare un fondo nazionale destinato a questi scopi, formalmente istituito ma mai reso operativo. Nessuno vigila, perché le norme non lo prevedono, sulla corretta gestione di tutta questa partita.

La costituzione degli organismi paritetici

Organismi paritetici più o meno fantasiosi sono nati come funghi.

Per costituire un organismo paritetico è sufficiente essere in due: tizio costituisce l’associazione dei datori di lavoro dei costruttori di ali di farfalla, caio costituisce il sindacato dei lavoratori del comparto e l’organismo paritetico è bell’e fatto, e può accedere a tutte le prerogative che ad esso spettano.

Il ruolo degli RLST

Ad esempio, può formalmente individuare un RLST (ma questo sarà un soggetto privo di qualsiasi radicamento nel tessuto territoriale) e può fare formazione senza accreditamento regionale. Purtroppo, questo fenomeno di autoreferenzialità ed autoconservazione sta avvenendo anche per gli organismi paritetici espressione di associazioni datoriali e sindacati più rappresentativi, per cui gli RLST sono molto spesso diventati dei passacarte anziché dei soggetti attivi e propositivi in continuo dialogo con i lavoratori.

La formazione senza accreditamento regionale

Infine, una prerogativa “anomala” degli Organismi paritetici è quella di poter effettuare formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro senza acquisire l’accreditamento regionale, previsto invece per tutte le agenzie formative. E’soprattutto la presenza di questa torta appetitosa che ha determinato queste distorsioni. Anche in questo caso l’intervento normativo non pare in grado di incidere seriamente su queste criticità.

Il ruolo delle amministrazioni pubbliche e delle partecipate

Negli appalti pubblici ed in quelli effettuati dalle aziende partecipate da soggetti pubblici si assiste spesso all’assenza di adeguati controlli in fase di appalto, ed ancor di più in fase di esecuzione delle opere e dei servizi.

I controlli solo formali e i criteri ambientali e di sicurezza

I controlli sulle imprese appaltatrici sono quasi sempre molto formali e non danno adeguate garanzie sul rispetto da parte di queste dei requisiti minimi in materia di sicurezza e salute dei lavoratori. Eppure, da più di un decennio le norme sugli appalti pubblici prevedono prioritariamente l’applicazione del criterio dell’offerta “economicamente più vantaggiosa”, contro quello del massimo ribasso, che a dispetto del nome prevede che la stazione appaltante stabilisca criteri stringenti di valutazione non solo per gli aspetti economici dell’offerta, ma anche per aspetti di tutela ambientale, impatto della cantierizzazione e dell’opera stessa, sicurezza e salute dei lavoratori. E non solo. Ad ognuno di questi aspetti è attribuito un punteggio, che partecipa alla valutazione dell’offerta al pari del punteggio sulla valutazione economica.

È ora che questo criterio sia reso obbligatorio per tutti gli appalti, che le stazioni appaltanti stabiliscano criteri seri e cogenti in materia di sicurezza e salute del lavoro e tutela ambientale, che il pagamento degli stati di avanzamento lavori sia condizionato anche alla verifica del raggiungimento degli obbiettivi su queste materie.

L’organizzazione della formazione è adeguata?

 La formazione in materia di salute e sicurezza ha anche altri gravi problemi: come sopracitato, l’accreditamento delle agenzie formative è regionale, ma tutt’oggi non è noto se i criteri seguiti dalle singole Regioni sono omogenei, e se tale accreditamento è valido su tutto il territorio nazionale indipendentemente dalla Regione dove è stato conseguito. Questo da un lato determina inutili difficoltà burocratiche, dall’ altro favorisce i furbetti che in queste ambiguità sguazzano.

La verifica della efficacia della formazione

Infine, i requisiti circa modalità e contenuti della formazione stabiliti in sede di accordi Stato-Regioni, costituiscono un sistema estremamente complesso, molto burocratico e poco efficace in termini di risultati. Infatti, per quanto non esistano metodi standardizzati di verifica dell’efficacia, gli accertamenti effettuati su questo tema da parte degli organi di vigilanza presentano un quadro tutt’altro che incoraggiante. Diventa pertanto urgente semplificare e istituire modalità di verifica condivise ed efficaci.

La formazione degli operatori di vigilanza

Anche la formazione degli operatori di vigilanza, i cosiddetti “tecnici di prevenzione in ambiente di vita e di lavoro” è critica. Il titolo consente di lavorare negli organi di controllo e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, alimenti e sanità animale, igiene e sanità pubblica (all’interno delle Aziende sanitarie), sia nelle Agenzie regionali di protezione ambientale (ARPA).

In sostanza, in un triennio universitario si formano dei tuttologi in materie che richiederebbero il doppio od il triplo del tempo che viene loro dedicato.

Infine, in genere questi corsi di laurea sono inseriti all’interno delle facoltà di medicina, di fatto enfatizzando gli aspetti di carattere igienistico e sacrificando quelli di carattere tecnico.

Il risultato è che chi consegue tale titolo entra in un luogo di lavoro privo di valide competenze in materia di impianti (chimici, meccanici, elettrici, elettromeccanici) ed è inevitabilmente orientato ad effettuare controlli di tipo formale, poco efficaci rispetto ai rischi gravi di infortunio o malattia professionale. In sostanza, parlando ad esempio di documento di valutazione dei rischi (DVR), ci si preoccupa essenzialmente che questo sia presente e firmato, ma raramente si verifica che i contenuti e le relative misure di prevenzione siano pertinenti ed adeguate rispetto al contesto reale. Ed una impostazione del lavoro tutta orientata solo al controllo depaupera ancora di più del know-how sui processi produttivi e gestionali le competenze professionali del personale che lo esercita.

Come stimolare un corretto approccio alla sicurezza?

Controlli e formazione sono sufficienti? Risolvono tutti i problemi? Chi scrive è dell’opinione che occorra anche qualcos’altro, oltre a risolvere tutte le criticità evidenziate.

Il corretto approccio deve diventare un atteggiamento intrinseco dell’organizzazione aziendale, qualsiasi sia la dimensione dell’azienda. Cosa può contribuire a stimolare ulteriormente in tempi brevi questo approccio, considerati i limiti dell’azione di vigilanza ed i tempi lunghi per la ricaduta di una corretta attività di formazione?

Una possibilità: l’applicazione del modello organizzativo di gestione della sicurezza

Esiste una ulteriore possibilità, per niente o pochissimo esplorata nella normativa italiana, ed ancor meno sviluppata nella prassi: l’applicazione diffusa di un modello organizzativo di gestione della sicurezza collegato a meccanismi premiali per le imprese, in aggiunta al mero rispetto degli obblighi di legge, per realizzare un luogo di lavoro salubre e sicuro, e mantenerlo tale.

Qualcosa in questa direzione è tratteggiato negli artt. 27 e 30 del Dlgs 81, ma è rimasto sostanzialmente lettera morta.

L’impatto dei modelli organizzativi sugli indici infortunistici

Alcuni studi di INAIL evidenziano che le aziende che adottano un modello organizzativo di gestione della sicurezza integrato nella gestione complessiva dell’attività hanno indici infortunistici decisamente migliori, dell’ordine del 30-40%, rispetto alle aziende che non li adottano.

Certo, questi studi considerano aziende medio-grandi con modelli certificati (British Standard, OHSAS, UNI-INAIL), un percorso poco sostenibile per le piccolissime aziende. Ma il legislatore ha già previsto la possibilità di usare modalità semplificate per la realizzazione di un modello organizzativo di gestione della sicurezza anche nelle piccole e piccolissime aziende. In alcuni territori, fra i quali la provincia di Pistoia, sono state effettuate in proposito sperimentazioni mirate: queste esperienze hanno dimostrato che anche una piccola azienda è in grado di implementare un MOG per la sicurezza e salute e trarne benefici.

Il recupero del ruolo degli organismi paritetici

Se gli organismi paritetici recuperassero il loro mandato originario, diventando strutture non burocratiche, consistenti ed efficaci (come in certi territori avviene per il settore edile), potrebbero costituire un valido supporto per le aziende sia nella fase di progettazione ed implementazione del modello, sia per il suo mantenimento e la sua verifica periodica. Anche gli RLS e gli RLST potrebbero svolgere una funzione importante. Invece anche la nuova norma si limita ad imporre il flusso informativo delle attività effettuate, piuttosto che stimolare attività utili per la prevenzione.

Questo potrebbe essere un interessante approccio, un ulteriore strumento per la riduzione dei danni da lavoro, per un lavoro equo e salubre. Si potrebbero conseguire risparmi sia per l’azienda che per la collettività, correlati alla riduzione degli infortuni (minori costi sanitari, minori costi umani, ridotte assenze dal lavoro) ed alla migliore organizzazione e gestione del lavoro (risparmi gestionali, minori perdite di tempo, minori costi energetici). Va da sé che un’applicazione meramente burocratica e non sostanziale costituirebbe un fallimento, un inutile speco di risorse e di tempo. Le aziende infine potrebbero essere premiate con sgravi contributivi e fiscali, con finanziamenti per interventi di miglioramento da verificare con attenzione e severità, ovviamente correlati all’effettivo miglioramento delle condizioni lavorative, al mantenimento di queste, alla riduzione del fenomeno infortunistico nel tempo e, con un feedback più prolungato, alla riduzione degli effetti per i rischi di malattia professionale.

Aggiornati sulle novità del DECRETO FISCALE in materia di Sicurezza sul lavoro!

Istituto Informa organizza il prossimo 19 novembre il corso:

Le modifiche al D. Lgs. 81/08 “Testo Unico Sicurezza”: Cosa cambia con il nuovo Decreto Fiscale

(D.L. 21/10/2021, n. 146)

Valido come corso di Aggiornamento per RSPP, ASPP, Datori di Lavoro, Dirigenti, Preposti, (D. Lgs. 81/08 e s.m.i.)
INFORMA- Roma.

L’incontro, attraverso la puntuale risposta ai quesiti dei partecipanti, vuole illustrare tutte le modifiche introdotte dal nuovo decreto, che ha l’obiettivo di incentivare e semplificare l’attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di assicurare un maggiore coordinamento dei soggetti competenti a presidiare il rispetto delle disposizioni prevenzionistiche.

Massimo Selmi

Ingegnere, ex direttore della Struttura complessa di Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro nel territorio della Provincia di Pistoia – USL Toscana Centro