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Interpello n.2/2019: buoni pasto e diritto alla pausa durante l’allattamento

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Il Ministero del lavoro ha risposto con interpello n.2/2019 ad un quesito posto da ISPRA in merito al diritto alla pausa pranzo e alla conseguente attribuzione del buono pasto, o alla fruibilità del servizio mensa per quelle lavoratrici che usufruiscono dei riposi giornalieri “per allattamento” di cui all’articolo 39 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. In particolare, il Ministero ha escluso che una presenza effettiva della lavoratrice madre durante il primo anno del figlio, nella sede di lavoro che sia pari a 5 ore e 12 minuti perche usufruisce di permessi per l’allattamento, dia diritto alla pausa ai sensi dell’articolo 8 del d.lgs. n. 66/2003. Conseguentemente, non si dovrà procedere alla decurtazione dei 30 minuti della pausa pranzo dal totale delle ore effettivamente lavorate dalla lavoratrice.

Il contesto normativo
In base all’art. 39 del D.Lgs. n.151/2001 si fissa il diritto della lavoratrice, durante il primo anno di vita del figlio, a due periodi di riposo di un’ora ciascuno, anche cumulabili durante la giornata, quando l’orario lavorativo è superiore alle sei ore: se è inferiore alle sei ora, si consente un’ora sola di riposo. Tali riposi (comma 2) devono essere “considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro”.

Il Quesito
Nel caso della lavoratrice operativa in sede per 5 ore e 12 minuti al netto dei riposi giornalieri, si deve o meno decurtare i 30 minuti della pausa pranzo, come se avesse effettivamente completato l’intero orario giornaliero. E si chiede anche se la dipendente ha facoltà di rinunciare alla pausa pranzo e/o al buono pasto, al fine di non vedere decurtate le ore considerate come lavoro effettivo.

Secondo il Ministero del Lavoro
Il dicastero richiama l’art. 8 del d.lgs. n. 66/2003 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro) riscontrando la ratio della norma nel consentire al lavoratore che effettui una prestazione lavorativa superiore a sei ore di recuperare le proprie energie psicofisiche durante un lasso temporale (intervallo), prestabilito dalla contrattazione collettiva.
Lo stesso concetto di “intervallo” implica poi la successiva ripresa dell’attività lavorativa dopo la consumazione del pasto o la fruizione della pausa da parte del lavoratore.
Invece, l’art. 39 del D.Lgs. n.151/2001 è volto a favorire la conciliazione tra la vita professionale e quella familiare e non specifica la collocazione temporale dei riposi, limitandosi a stabilire che, qualora siano due, essi possano anche essere cumulati.
Da un’analisi coordinata delle due disposizioni, quindi il Ministero esclude che una presenza effettiva della lavoratrice nella sede di lavoro pari a 5 ore e 12 minuti dia diritto alla pausa ai sensi dell’articolo 8 del d.lgs. n. 66/2003. Conseguentemente, non si dovrà procedere alla decurtazione dei 30 minuti della pausa pranzo dal totale delle ore effettivamente lavorate dalla lavoratrice.
Inoltre, il Ministero richiama a supporto quanto indicato dal Dipartimento della Funzione Pubblica che, con nota del 10 ottobre 2012 (n. 40527), aveva già risposto all’ISTAT e all’ARAN evidenziando che “il diritto al buono pasto sorge per il dipendente solo nell’ipotesi di attività lavorativa effettiva dopo la pausa stessa”.
E ancora, si richiama quanto indicato dall’Agenzia delle Entrate che in data 21 gennaio 2013 nelle istruzioni ai fini della concessione del buono pasto ai propri dipendenti, individuava come presupposti imprescindibili l’effettuazione della pausa e la prosecuzione dell’attività lavorativa dopo la stessa.

Riferimenti normativi:
16/04/2019 – n. 2 / 2019
Istanza: Art. 9 del D.lgs. n. 124/2004 – Riposi giornalieri ex art. 39 D.lgs. n. 151/2001 e diritto alla pausa pranzo Destinatario: ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale

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Redazione InSic

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