Il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 111, non impone, per i lavori temporanei in quota, che non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, l’adozione di misure di protezione collettiva, sancendo solo il carattere prioritario e preferenziale delle prime rispetto a quelle individuali.
Così la Cass. pen., Sez. IV, nella sentenza n. 5477 del 6 febbraio 2018.
Il commento è a cura di S. Casarrubia, tratto dalla rubrica “Rassegna della Giurisprudenza” sulla rivista Ambiente & Sicurezza sul Lavoro.
Il fatto
Nel merito, il committente dei lavori, i vertici dell’impresa esecutrice e il coordinatore nella fase di progettazione ed esecuzione dei lavori sono stati condannati per l’infortunio arrecato ad un lavoratore, il quale, dovendo scendere dalla copertura su cui lavorava, si sganciava dal dispositivo retrattile a cui era agganciato per raggiungere la scala di accesso e precipitava da altezza di circa 3,5 metri, appoggiando il piede su lucernario che si sfondava.
Secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione annulla la sentenza di merito nell’interresse di tutti i ricorrenti. La sentenza impugnata, infatti, fondava la responsabilità di tutti gli imputati su un asserito obbligo generale ed incondizionato di predisporre, in caso di lavori in quota, dispositivi di sicurezza collettivi in aggiunta a quelli individuali, mentre dal combinato disposto del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 115 e 111, si ricava il carattere prioritario ma non imprescindibile delle misure di protezione collettive, le quali devono necessariamente essere previste ed adottate laddove quelle individuali, in considerazione delle loro caratteristiche o in relazione alla tipologia dei lavori, risultino inadeguate, dovendo, però, tale presupposto essere oggetto di valutazione da parte dell’organo giudicante.
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