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Macchinari non sicuri e infortunio: le responsabilità per inosservanza delle misure di sicurezza

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Con sentenza n. 9159 del 02 marzo 2015 la Cassazione conferma che sul datore di lavoro incombe l’onere dell’attuazione e dell’accertamento dell’osservanza delle misure di sicurezza

La Corte di Cassazione Penale, Sez. IV, con la sentenza n. 9159 del 02 marzo 2015, ha rigettato il ricorso del direttore tecnico di un’azienda, per un infortunio occorso ad un lavoratore, perché sul datore di lavoro incombe l’onere di garanzia per legge e quindi non deve solo approntare i mezzi occorrenti all’attuazione delle misure di sicurezza e disporre che vengano usati, ma deve accertarsi che quelle misure vengano osservate e che quegli strumenti vengano utilizzati.
Gli ermellini hanno escluso che la condotta del lavoratore fosse rilevante perché non è stata tale da interrompere il nesso di causalità, in quanto ritenuta non eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare.

Il fatto
Un operaio addetto alla macchina Ramehouse, consistente in impianto di asciugatura del tessuto, mentre era all’opera, dopo essersi accorto che alcuni filamenti di tessuto rallentavano la velocità della macchina perché avvolti sul rullo del “raddrizzatrama”, apriva lo sportello della macchina per tirare fuori i filamenti e il suo braccio destro rimaneva incastrato tra i cilindri dell’impianto, riportando così gravi lesioni personali.
Il lavoratore presentava ricorso nei confronti del direttore tecnico dell’azienda per lesione colposa, per aver omesso di proteggere, segregare o dotare di dispositivi di sicurezza, gli addetti alle macchine, in violazione dell’art. 68 del d.p.r. 547/1956.
In primo grado, il giudice escludeva la responsabilità del datore per l’insussistenza del nesso di causalità tra la violazione antinfortunistica e l’evento lesivo, in quanto riteneva non imputabile al direttore tecnico né l’apertura volontaria delle porte di segregazione da parte del lavoratore, né l’intervento del lavoratore sull’impianto di Ramehouse, il quale avrebbe dovuto fermarlo.

In secondo grado, la Corte d’Appello di Milano, riteneva, invece, che la responsabilità fosse da attribuire al direttore tecnico dell’azienda, in quanto non aveva dotato la macchina di dispositivi di sicurezza tali da bloccare il movimento in caso di apertura degli sportelli.
Ad avvalorare questa tesi il fatto che, successivamente all’infortunio, gli sportelli della macchina erano stati chiusi con bulloni fissi per impedirne l’apertura ed era stato installato un dispositivo di blocco.
Per questo motivo, il direttore tecnico decideva di proporre ricorso in Cassazione, lamentando che i giudici della Corte non avessero tenuto conto della condotta del lavoratore, il quale aveva violato le regole di sicurezza.

La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione Penale ha ritenuto infondato il ricorso del direttore tecnico dell’azienda, presso cui lavorava il lavoratore colpito da infortunio.
Gli ermellini, per giungere alla decisione, hanno esaminato i principi concernenti il debito di sicurezza del datore di lavoro e la condotta abnorme del lavoratore.
Per quel che riguarda il primo principio, hanno ritenuto che la condotta colposa del lavoratore non producesse di per sé l’evento, in virtù del fatto che andasse ricondotta all’area di rischio della lavorazione svolta, sulla base del principio dell’equivalenza delle condizioni (art. 41 c.p., comma 2).
Perciò l’evento dannoso è stato imputato al datore di lavoro per la posizione di garanzia di cui egli è onerato per legge.
In dottrina, è stato ampliato lo spettro delle finalità cautelari delle norme infortunistiche per coprire non solo i rischi discendenti dai processi di produzione, ma anche i comportamenti colposi dei lavoratori.

Per imputare l’addebito al datore di lavoro, è necessario che l’evento e il rischio siano prevedibili, escludendo così la condotta del lavoratore infortunato, che viene considerata come causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento (ex art. 41 c.p., comma 2).
Da notare che il datore di lavoro deve prevedere i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, come disposto dal D.Lgs. 81/2008, che all’art. 17 prevede la valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore con l’elaborazione del documento di sicurezza previsto all’art. 28.
Se le norme cautelari non sono osservate, il datore incorre in violazione con la configurazione di colpa specifica.
Pertanto, ciò che deve fare è attivarsi per organizzare l’attività lavorativa in modo sicuro, assicurando l’adozione da parte dei dipendenti di misure tecniche e organizzative in modo da ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa, nel rispetto dell’osservanza da parte del lavoratore della normativa di prevenzione.
Il datore, quindi, per la sua posizione di garanzia non deve solo approntare i mezzi occorrenti all’attuazione delle misure di sicurezza e disporre che vengano usati, ma deve accertarsi che quelle misure vengano osservate e che quegli strumenti vengano utilizzati (Sezione 4, 10 febbraio 2005, n. 13251).

Sulla condotta abnorme del lavoratore
Per quanto concerne la condotta abnorme del lavoratore, la Corte ha escluso la presenza delle caratteristiche dell’abnormità del suo comportamento in quanto, anche se imprudente, era connesso all’attività lavorativa, e pertanto, non imprevedibile (Sezione 4, 16 febbraio 2012, n. 10712, Mastropietro).
Difatti, per costante giurisprudenza, il carattere dell’abnormità può essere attribuito sia alla condotta tenuta in un ambito estraneo alle mansioni affidate al lavoratore e al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro, sia a quella che pur rientrando nelle mansioni proprie del lavoratore sia consistita in qualcosa di radicalmente lontano dalle ipotizzabili, prevedibili, e imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro (Sezione 4, 3 giugno 2004, Giustiniani; Sezione 4, 27 novembre 1996, Maestrini).
Ciò che bisogna tenere in considerazione, quindi, è la condotta del lavoratore.
La condotta del lavoratore, interrompe il nesso di causalità quando si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è “interruttivo” non perché eccezionale ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (v. Sezione 4, 23 novembre 2012, n. 49821, Lovison ed altro).
L’ipotesi tipica di comportamento abnorme è quella del lavoratore che provochi l’infortunio ponendo in essere, colposamente, un’attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento esorbitante rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile ed evitabile per il datore di lavoro (21 ottobre 2008, n. 40821, Petrillo; 16 febbraio 2012, n. 10712, Mastropietro).

Nel caso in esame…
La Corte di Cassazione, per il caso in esame, ha ritenuto che il direttore tecnico fosse responsabile dell’accaduto proprio in virtù delle appena richiamate interpretazioni giurisprudenziali, ed anche, per la considerazione che nella sentenza di secondo grado erano state individuate le norme cautelari violate da parte del datore di lavoro, ed era stato escluso lo svolgimento di un’attività stravagante del lavoratore rispetto alle proprie specifiche mansioni, tale da rilevare come causa interruttiva del nesso eziologico.
Per i giudici dell’appello, gli sportelli dovevano essere chiusi e la macchina doveva possedere i dispositivi di sicurezza che bloccassero il movimento in caso di apertura degli sportelli.
E’ per queste ragioni che la Corte di Cassazione Penale ha rigettato il ricorso del direttore tecnico dell’azienda, confermando così la decisione assunta in secondo grado.

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Redazione InSic

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