Sono oltre 286 le pagine di motivazioni della Sentenza che ha condannato 27 ex dirigenti dell’Ilva a 189 anni di carcere complessivi per disastro ambientale e omicidio colposo, con pene comprese tra quattro e nove anni e mezzo di reclusione. INAIL rimarca che negli atti si parla di “consapevole e lucida omissione” che ha portato alla morte degli operai affetti da mesotelioma pleurico, contratto in seguito all’esposizione all’amianto presente nello stabilimento di Taranto proprietà pubblica fino al 1995 e poi ceduto alla famiglia Riva.
Nelle motivazioni del giudice Simone Orazio, si legge anche che se i manager del polo siderurgico ex Italsider avessero sottoposto a visite mediche adeguate i lavoratori, queste avrebbero consentito di “diagnosticare una patologia (es. placche pleuriche) che poteva essere un campanello d’allarme per il mesotelioma e che certamente avrebbe obbligato il datore di lavoro a non esporre più il lavoratore, affetto da tale problematica di salute, alle fibre di asbesto” e a “valutare la incompatibilità del lavoratore rispetto alle mansioni sino ad allora espletate e quindi anche rispetto all’esposizione ad amianto, motivo per cui in questi casi l’accertamento sanitario avrebbe permesso di adibire il dipendente ad altre mansioni, sottraendolo al pericolo di morte”.
Inoltre, la tematica dell’amianto pur se conosciuta dai vertici aziendali imputati al processo, non ha “mai superato il piano dell’oralità” e nussun provvedimento concreto è stato effettivamente adottato, addirittura “gli interventi seri in materia di amianto nello stabilimento di Taranto sono stati sempre volutamente evitati proprio perché essi avrebbero determinato una palingenesi dell’attività produttiva, uno stravolgimento degli impianti e l’investimento di notevolissime somme di denaro”
E quanto alle mancate bonifiche si sottolinea come “la mancata predisposizione delle cautele in questione non è da attribuirsi a mancanza di liquidità da parte dell’Ilva, ovvero a una sfavorevole congiuntura economica, oppure, ancora, a una riduzione dell’attività produttiva” e che di fatto fu attuata la tecnica della cosiddetta ‘glove bag‘, adeguata solo per l’asportazione di piccole quantità di amianto e quindi non certo indicata per le esigenze dell’Ilva, che era tenuta a rimuoverne migliaia di tonnellate.
Il magistrato ha poi sentenziato come “discutibilissima” la politica aziendale tenuta dall’Ilva, le cui scelte in materia di lotta all’amianto sono risultate essere “improntate al più rigoroso risparmio, ulteriormente dimostrato dalla scarsa competenza e professionalità delle ditte a cui veniva commissionata la bonifica”. Di qui la responsabilità degli ex vertici per gli omicidi colposi, cui si somma la condanna di alcuni imputati anche per il disastro ambientale che ha coinvolto i 300mila abitanti di Taranto e dei Comuni limitrofi.
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