Collaboratori familiari

Quesito: collaboratori familiari e normativa di sicurezza

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Un quesito pervenuto alla rivista Ambiente&Sicurezza sul Lavoro n. 1/2013, e pubblicato nella rubrica “L’Esperto risponde”, ci pone il caso di una ditta individuale, ove è presente il titolare e suo fratello, inquadrato come “collaboratore familiare”. Quest’ultimo non percepisce stipendio, bensì possiede il 49% degli utili di fine anno.
Il fratello deve essere sottoposto alla valutazione per stress lavoro-correlato. I collaboratori familiari vengono trattati come lavoratori dipendenti, quindi vanno formati, informati, sottoposti a visita medica, ecc.? O in questo caso risulta essere un “socio collaboratore”?

Secondo il nostro Esperto, ci troviamo dinnanzi ad un’impresa familiare secondo quanto previsto dall’art. 230-bis c.c. È opportuno ricordare che per impresa familiare si intende una impresa nella quale prestano attività lavorativa in maniera abituale il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado del titolare che vengono considerati collaboratori familiari.
Il collaboratore familiare dell’imprenditore, proprio in virtù della sua particolare posizione rivestita, non assume la veste di lavoratore subordinato ed è da escludere, altresì, che la sua attività possa essere considerata come lavoro dipendente e che lo stesso possa essere equiparato ad un socio di una società.
Il rapporto che viene a costituirsi in una impresa familiare fra il titolare ed i suoi componenti, infatti, è un rapporto del tutto “sui generis” ed in esso non si riscontrano appunto le caratteristiche di un rapporto subordinato perché manca, al di là di una effettiva subordinazione, l’obbligo del rispetto di un orario di lavoro ed il diritto ad un compenso che nella circostanza è rappresentato più che da una vera e propria retribuzione dalla sua partecipazione agli utili di impresa secondo la qualità e la quantità dell’attività prestata.
Le particolarità dell’impresa familiare hanno indotto il legislatore a richiamarla esplicitamente nell’art. 3, comma 12, del D.Lgs. 81/08 ove si stabilisce che “nei confronti dei componenti dell’impresa familiare di cui all’art. 230-bis del codice civile, dei coltivatori diretti del fondo, degli artigiani e dei piccoli commercianti e dei soci delle società semplici operanti nel settore agricolo si applicano le disposizioni di cui all’articolo 21”.
È a carico dei componenti dell’impresa familiare così come sopra definita che si applicano gli obblighi indicati nell’art. 21 del D.Lgs. n. 81/08 i quali si limitano però, all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale adeguati ai rischi corsi, all’utilizzo di attrezzature di lavoro conformi alle disposizioni di legge vigenti in materia di sicurezza sul lavoro ed all’utilizzo di una apposita tessera di riconoscimento qualora gli stessi effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto e non si estendono alle altre disposizioni contenute nello stesso decreto.
Qualora il titolare dell’impresa familiare assuma la veste di datore di lavoro nei confronti dei componenti della stessa i quali, prestando la loro attività per conto dell’impresa con un vero e proprio rapporto di subordinazione, diventano a tutti gli effetti lavoratori così come definiti dall’art. 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 81/08, al titolare stesso in tal caso, nella sua qualità di datore di lavoro che assume una posizione di garanzia rispetto agli altri componenti, gravano gli obblighi di adozione di tutte le misure di tutela della salute e sicurezza sul lavoro quali: l’obbligo della valutazione dei rischi, della redazione del documento di valutazione dei rischi o dell’autocertificazione, della nomina del medico competente, della formazione ed informazione dei componenti, della sorveglianza sanitaria, ecc.

Per proporre il vostro quesito scrivere a amsl@epcperiodici.it.Il servizio è disponibile per utenti abbonati alla Rivista Ambiente & Sicurezza sul Lavoro.

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