Riammissione al lavoro: i lavoratori che, in assenza di sintomi da almeno una settimana ad eccezione di anosmia e ageusia, pur con tampone positivo, fuoriescono dall’isolamento domiciliare dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi” (come dice la Circolare Ministeriale del 12.10.2020), possono essere riammessi a lavoro senza aspettare la negativizzazione del tampone (come dice il protocollo condiviso del 24.04.2020)?”
Inoltre: i lavoratori che hanno avuto una infezione da Covid-19 (come dice il Protocollo condiviso del 24.04.2020) devono essere visitati sempre, pur se asintomatici e paucisintomatici, prima di essere riammessi a lavoro o la visita medica va fatta solo ai lavoratori che hanno avuto gravi manifestazioni cliniche e/o ospedalizzati con possibilità di sequele e postumi (come dice la Circolare 14915 del 29.04.2020)?”
Prova a rispondere il Dott. Giovanni Casillo (Specialista in Medicina del Lavoro e formatore autorizzato sui rischi per la salute e sicurezza (DI 06/03/13). Un’analisi alla luce dei principali riferimenti normativi.
Nell'articolo
Post-contagio Covid-19: riammissione al lavoro, la normativa di riferimento
La Circolare Ministeriale del 12.10.2020, recependo le indicazioni dell’OMS di giugno 2020, ha ridefinito i termini e le modalità per la fine del periodo di isolamento nei casi che risultano positivi al SARS COV 2 e, tra l’altro, afferma: “Le persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per SARS-CoV-2, in caso di assenza di sintomatologia (fatta eccezione per ageusia/disgeusia e anosmia che possono perdurare per diverso tempo dopo la guarigione) da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi.
Tale circolare, adeguandosi alle nuove indicazioni dell’OMS del giugno 2020, è innovativa anche perché prevede l’esecuzione di un solo tampone negativo per terminare il periodo di isolamento, eliminando il secondo tampone di conferma. Purtroppo, pur recependo indicazioni dell’OMS e tracciando nuovi “punti cardinali nella strategia di gestione del contagio per la comunità”, essa non annulla l’antecedente Protocollo condiviso del 24.04.2020.
La visita medica per riammissione al lavoro
Una seconda Circolare Ministeriale, la n° 14915 del 29.04.2020 (linee di indirizzo dell’attività del medico competente) prevede la visita medica di riammissione a lavoro per i casi che hanno richiesto un ricovero ospedaliero o che abbiano avuto una malattia grave per la possibile, frequente presenza di postumi e sequele ed “è intesa a valutare la piena idoneità alla mansione specifica di lavoratori ammalati di covid 19 che abbiano possibili sequele della patologia e/o postumi persistenti o permanenti”.
Purtroppo, anche questa seconda Circolare, che chiarisce con competenza e senso della realtà l’atteggiamento che bisogna avere per riammettere a lavoro la persona che si è ammalata di covid 19, non annulla l’antecedente Protocollo condiviso fra Governo e Parti sociali di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del covid 19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24.04.2020 (allegato 12 del DPCM del 03.12.2020).
Riammissione al lavoro: le indicazioni del Protocollo condiviso del 24 aprile 2020
In sintesi, il problema è nel fatto che il suddetto “protocollo condiviso” del 24/4/2020, prevede che “Per il reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da COVID19, il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, effettua la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione“. (D.Lgs 81/08 e s.m.i, art. 41, c. 2 lett. e-ter),-anche per valutare profili specifici di rischiosità-e comunque dalla durata dell’assenza per malattia“.
Praticamente, il suddetto protocollo richiede “la negativizzazione del tampone” per la riammissione al lavoro e l’esecuzione della visita medica dopo l’infezione da Covid-19.
Secondo il Consiglio Superiore di Sanità
Per completare il quadro, si ritiene utile richiamare il Parere del Consiglio Superiore di Sanità del 29/02/2020 che differenzia i pazienti Covid-19 in soggetti “clinicamente guariti” e “guariti”; nei primi si sono risolti i sintomi ma il tampone può essere ancora positivo, nei secondi si risolvono i sintomi e il tampone è negativo.
Praticamente, in caso di infezione da Covid-19, ci può essere una guarigione clinica con tampone positivo e una guarigione completa con tampone negativo.
Le indicazioni dell’OMS
Da giugno 2020, le indicazioni dell’OMS e molti studi scientifici evidenziano che il soggetto clinicamente guarito, dopo 21 giorni dall’inizio dei sintomi e almeno 7 giorni di asintomaticità, ha bassissima probabilità di contagiare.
Le attuali, recenti conoscenze, pur non permettono di escludere con matematica certezza che non sia contagioso il soggetto clinicamente guarito con tampone positivo secondo i dettami della CM del 12/10/2020, permettono di dire che il rischio contagio sia molto basso e i lavoratori possono essere riammessi a lavoro con l’eccezione dei pazienti gravemente immunocompromessi o con prolungata persistenza di attività infiammatoria polmonare (vedi indicazioni della Regione Emilia Romagna 04/12/2020 prot. 0803923 con relativa bibliografia).
Prima domanda: riammissione al lavoro e certificazione di avvenuta negativazione
I lavoratori che, in assenza di sintomi da almeno una settimana ad eccezione di anosmia e ageusia, pur con tampone positivo, fuoriescono dall’isolamento domiciliare dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi” (come dice la Circolare Ministeriale del 12.10.2020), possono essere riammessi a lavoro senza aspettare la negativizzazione del tampone (come dice il Protocollo condiviso del 24.04.2020)?”
Alcuni medici competenti, pur avendo una certificazione di fine isolamento dell’ASL, trovano difficoltà a riammettere a lavoro i soggetti privi di “certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone” appellandosi al fatto che i DPCM hanno valore giuridico superiore a quello delle Circolari e, pertanto, eseguono visite mediche al fine di valutare l’idoneità, anche in soggetti che escono dall’isolamento fiduciario con tampone negativo, pur quando sono stati asintomatici e paucisintomatici e l’idoneità alla mansione del lavoratore non è modificata; pretendendo di eseguire una visita medica “formale” che, di fatto, conferma il precedente giudizio.
Tale integralismo interpretativo di quanto scritto nel “Protocollo condiviso” del 24.04.2020, richiamato nei DPCM e quindi giuridicamente superiore alle Circolari Ministeriali, protegge il medico competente dal rischio di “accuse”. Il Medico competente, infatti, pur di evitare il rischio di essere chiamato a difendersi in giudizio, preferisce fare una visita medica inutile ai fini della prevenzione del contagio in azienda, visita che termina con la “conferma” di una idoneità lavorativa mai messa in discussione dalla sintomatologia del lavoratore.
Riammissione al lavoro e riferimenti nel testo unico di Salute e Sicurezza sul lavoro
In attesa di un prossimo provvedimento legislativo che adegui il Protocollo condiviso fra le Parti sociali del 24.04.2020 alle Circolari Ministeriali del 29.04.2020 e 12.10.2020 e alle nuove conoscenze scientifiche avallate dall’OMS, il medico competente, per riammettere al lavoro il lavoratore, può appellarsi al D. Lgs 81/08 (tra l’altro richiamato dai DPCM e CM citati finora) che in termini di “gerarchia giuridica” è superiore a qualsiasi DPCM.
Infatti, il recente DPCM del 03.12.2020, così come la circolare del Ministero della Salute del 29.04.2020, sottostanno al D. Lgs 81/08 e all’obbligo di collaborazione fra datore di lavoro, servizio di prevenzione e protezione e medico competente (ai sensi dell’art. 25) anche nel contesto generale di riavvio della attività lavorative in fase pandemica.
Il D. Lgs 81/08 costituisce la cornice naturale per supportare la gestione integrata del rischio connesso all’attuale pandemia” ed “in ogni caso, solo la partecipazione consapevole e attiva di ogni singolo utente e lavoratore, con pieno senso di responsabilità, potrà risultare determinante nel ridurre il contagio, non solo per lo specifico contesto aziendale, ma anche per la collettività”.
Qual è il ruolo del medico?
Un particolare coinvolgimento del medico competente deve essere previsto nell’attività di collaborazione all’informazione/formazione dei lavoratori sul rischio di contagio da SARS-CoV-2 e sulle precauzioni messe in atto dall’azienda, nonché tenendo aggiornato nel tempo il datore di lavoro, ad esempio, in riferimento a strumenti informativi e comunicativi predisposti dalle principali fonti istituzionali di riferimento, anche al fine di evitare il rischio di fake news. Tra i più importanti aspetti legati all’informazione, fatti salvi quelli legati a specifici contesti produttivi, il lavoratore deve essere informato circa: l’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37,5°) o altri sintomi influenzali (tosse, difficoltà respiratorie) mettendone al corrente il proprio medico di medicina generale; l’obbligo di comunicare eventuali contatti con persone positive al virus avuti nei 14 giorni precedenti; l’obbligo di avvisare tempestivamente e responsabilmente il datore di lavoro o il preposto dell’insorgere di qualsiasi sintomo influenzale, successivamente all’ingresso in azienda durante l’espletamento della prestazione lavorativa avendo cura di rimanere ad adeguata distanza dalle persone presenti; l’adozione delle misure cautelative per accedere in azienda e, in particolare, durante il lavoro: – mantenere la distanza di sicurezza; – rispettare il divieto di assembramento; – osservare le regole di igiene delle mani; – utilizzare adeguati Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).
Medico competente e coinvolgimento nella valutazione del rischio
Nello specifico, il medico competente è chiamato a supportare il datore di lavoro nella valutazione del rischio e ad operare la sorveglianza sanitaria in un contesto peculiare quale quello del rientro al lavoro in periodo pandemico. L’art. 28 del D.lgs. 81/2008 e s.m.i. fornisce una chiara definizione della valutazione dei rischi, che deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari.
L’atto finale della valutazione del rischio è il DVR (Documento di Valutazione del Rischio), obbligo in capo al datore di lavoro. Sarà quindi necessario adottare una serie di azioni che andranno ad integrare il DVR, atte a prevenire il rischio di infezione da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro. Tali azioni possono arrivare a comprendere la “non riammissione a lavoro di un lavoratore positivo al tampone” ma solo come “extrema ratio” e solo quando non ci siano altre possibilità.
Il DVR dovrà quindi prendere in considerazione “nuovi rischi” quali, ad esempio, che gli asintomatici e paucisintomatrici, finito l’isolamento, con tampone negativo, per rientrare a lavoro, si spostino per fare una visita medica di idoneità inutile e/o che i lavoratori clinicamente guariti da oltre una settimana ma ancora positivi dopo 21 giorni dai primi sintomi, usciti dall’isolamento per disposizione dell’ASL, rientrino a lavoro.
La responsabilità personale del lavoratore
Focalizzando l’attenzione sulla fase del rientro lavorativo in azienda, a conferma della primarietà del D. Lgs 81/08 e s.m.i. nel processo decisionale, c’è il richiamo alla responsabilità personale di ogni lavoratore secondo quanto previsto dall’art. 20 comma 1 (come anche evidenziato nella CM del 29.04.2020): “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.”
Il lavoratore positivo che viene riammesso a lavoro, deve quindi essere reso consapevole del suo stato, avvisato e formato del fatto che, seppur con minima possibilità, può essere ancora contagioso e, nel caso non abbia un atteggiamento responsabile, può essere imputato per aver contagiato i Colleghi nel caso si rilevi un nesso causale fra contagio e un suo atteggiamento irresponsabile. Di conseguenza il lavoratore che viene riammesso a lavoro, se rileva criticità ne parli al DDL, al MC o ai preposti.
Il ruolo del datore di lavoro
Il datore di lavoro, a sua volta, deve individuare le mansioni e i compiti che, per essere svolti, obbligano il lavoratore a creare “contatti stretti” con i colleghi ovvero costringano a non mantenere la distanza minima di un 1 metro o ad essere faccia a faccia con i colleghi per oltre 15 minuti o comportino un contatto tipo “stretta di mano”.
Il medico competente potrà dare ai lavoratori con tampone positivo un giudizio di idoneità con periodicità ravvicinata e con prescrizione: “non adibire a mansioni o compiti che favoriscano il “contatto stretto” fino alla negativizzazione del tampone la cui esecuzione sarà a spese dell’azienda.
In sintesi: reinserimento a lavoro: i passaggi e le precauzioni da adottare
Nel momento in cui una persona è libera di stare in collettività è anche libera di lavorare.
La visita medica
La visita medica per il reinserimento a lavoro dopo infezione da Covid-19 va fatta in presenza esclusivamente quando si renda necessaria per “il giudizio di idoneità e valutare il profilo di rischiosità” in tutti gli altri casi, come previsto dal DPCM 03.12.2020 e precedenti, vanno limitati tutti gli spostamenti inutili e favorite le operazioni da remoto.
In caso di ospedalizzazione va eseguita la visita medica in presenza perché è molto probabile che ci siano postumi o problemi di salute residui da valutare.
In caso di fine isolamento di un lavoratore asintomatico e paucisintomaico negativizzato al tampone, la visita medica (si precisa che una visita media va fatta obbligatoriamente in presenza come chiarito dalla CM del 12/10/2020) è indicata solo se è effettivamente a rischio la precedente idoneità lavorativa o se si rende necessaria per valutare profili di rischiosità o se è richiesta dal lavoratore. Essa va invece evitata tutte le volte che è inutile e ridondante, ovvero quando l’idoneità lavorativa è certamente immodificata (ad esempio un impiegato che ha avuto febbre o febbricola, un autista che ha avuto faringodinia e cefalea per qualche giorno, un operaio che è stato asintomatico o che abbia avuto lievi sintomi similinfluenzali per qualche giorno, ecc). E’ consigliabile quindi che per i lavoratori asintomatici e paucisintomatici, il medico competente esegua prima un consulto da remoto, un triage telefonico, per valutare la effettiva necessità della visita medica per evitare un inutile spostamento.
Precauzioni da adottare dal Datore di lavoro
Il datore di lavoro, infatti, così come previsto dai susseguitisi DPCM fino ad oggi, deve limitare gli spostamenti “inutili” e favorire tutte le attività che possono essere fatta da remoto.
I lavoratori, tra l’altro, vanno informati della responsabilità sul piano giuridico di coloro che contagia con i propri atteggiamenti sbagliati; in quanto il lavoratore (e qualsiasi persona affetta da una infezione) ha il dovere di non contagiare assumendo tutti gli atteggiamenti congrui per non farlo.
Il DDL individua le attività a maggior rischio contagio (ad es. due o più lavoratori in macchina, lavoro al di sotto del metro di distanza, lavoro con possibilità di contatto fisico “tipo stretta di mano”, lavoro faccia a faccia per più di 15 minuti, lavoro nella stessa stanza senza areazione o possibilità di mantenere distanze) da evitare in caso di lavoratore con tampone positivo dopo la riammissione a lavoro (integrando il DVR).
Precauzioni da adottare da parte del lavoratore
Il lavoratore dovrà astenersi dal fare tutte le operazioni che espongano al contagio i suoi colleghi indipendentemente e dovrà immediatamente dare informazione al datore di lavoro o al preposto o al medico competente per permettere di adeguare il DVR.
Il medico competente, in qualità di attività professionale, come definito nel recente DPCM 03.12.2020, deve eseguire da remoto ogni operazione possibile sempre con l’obiettivo di ridurre spostamenti e contatti inutili. A tal fine, per i lavoratori asintomatici e paucisintomatici con tampone negativo a fine isolamento è meglio che esegua un triage telefonico, per valutare la necessità della visita medica o se siano alterati i profili di rischiosità e, nel caso ne ravveda la necessità, è obbligato a fare una visita medica in presenza.
Conclusioni
Il lavoro non è negabile, a priori, a pazienti clinicamente guariti ma ancora positivi o portatori di infezione o a lavoratori che, seppur malati, hanno ancora una capacità lavorativa residua che gli permette un’attività totale o parziale.
Come giustificare la riammissione
La riammissione a lavoro di un lavoratore (come la non riammissione) deve essere giustificata solo dalla Valutazione del rischio e nessun DPCM, ad oggi, ha abrogato il D. Lgs 81/08 e s.m.i.
Il lavoratore va informato della sua condizione “di potenziale contagiosità”, della propria responsabilità davanti alla legge se assume comportamenti che mettano a rischio la salute dei colleghi (D.Lgs 81/08) e, qualora gli vengano dati compiti che lo espongano al rischio di contagiare, deve fermarsi e parlarne con il datore di lavoro, i preposti o il medico competente.
Il datore di lavoro, a sua volta, nella valutazione dei rischi (D.Lgs 81/08), deve individuare le mansioni che obbligano il lavoratore ad essere in contatto stretto con i colleghi o terze persone ed è bene che il DVR comprenda un paragrafo con le “mansioni da evitare in caso di lavoratore positivo al tampone”.Il medico competente è bene che esegua un triage telefonico per valutare la necessità della visita medica al fine di evitare spostamenti inutili.
I numeri della pandemia
Per finire, al 12.12.2020, sono 1.825.775 i casi di persone contagiate da inizio pandemia di cui decedute 64.036. La percentuale di ospedalizzazione sul totale dei positivi è 4,6% e di questi il 10,2 % è stato ricoverato in terapia intensiva (Rapporto Covid-19 – agenas.gov.it). Significa che, sottratti pazienti ospedalizzati e deceduti, oltre 1.600.000 persone hanno avuto una forma di infezione asintomatica, lieve o quantomeno trattabile a domicilio. Stante il crescente numero di contagi e, direi fortunatamente, il gigantesco numero di persone con infezione asintomatica, paucisintomatica o trattabile a domicilio, diventerà sempre più insostenibile “burocratizzarne” la riammissione a lavoro, dividendola dalla riammissione in collettività, senza provocare gravi disagi e costosi ritardi.
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