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Tempi di vestizione di divise e DPI: sono orario di lavoro?

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Possano essere inclusi nell’orario di lavoro (retribuito) i tempi di vestizione della divisa, delle tute da lavoro o di DPI da parte dei dipendenti, in aziende che applichino un CCNL che non preveda disposizioni specifiche al riguardo?

Il quesito è stato posto dall’UGL Federazione nazionale delle autonomie in un interpello (1/2020) alla Commissione Interpelli presso il Ministero del Lavoro.

Ricostruiamo le conclusioni della Commissione Interpelli mettendo in luce gli orientamenti normativi e giurisprudenziali sul concetto di “orario di lavoro” e tempi di vestizione che valgono anche per i tempi necessari a indossare i dispositivi di sicurezza.

Cosa si intende per l’orario di lavoro?

L’orario di lavoro è definito dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 66/2003 come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio delle sue funzioni”.

Il tempo di vestizione è orario di lavoro retribuito?

Il Ministero spiega che affinché il tempo messo a disposizione del datore di lavoro dal lavoratore sia considerato orario di lavoro e come tale retribuito, si potrebbe ritenere che il tempo dedicato dal lavoratore ad indossare gli indumenti di lavoro (ad esempio: tute, abiti, divise, camici, dispositivi di protezione individuale) non possa, di per sé, essere fatto rientrare nel concetto di orario di lavoro, in quanto il lavoratore, nel momento del cambio, non prestando alcuna attività lavorativa, non si troverebbe nell’esercizio delle sue funzioni.

Tuttavia, le pronunce della Cassazione e gli orientamenti europei (con riferimento alla Direttiva2003/88) vanno in un’altra direzione interpretativa.

Tempo di vestizione: quando rientra nell’orario di lavoro retribuito? la Cassazione

Il Ministero del lavoro segnala diverse pronunce della Corte di Cassazione sui tempi della vestizione come facenti parte dell’orario di lavoro retribuito, distinguendo due casi:

  1. se il lavoratore ha avuto in dotazione gli indumenti di lavoro e dispone della possibilità di portarli al proprio domicilio, recandosi al lavoro con gli indumenti già indossati, il tempo impiegato per la vestizione non può essere considerato orario di lavoro;
  2. se il datore di lavoro ha fornito al lavoratore determinati indumenti, con il vincolo però di tenerli e di indossarli sul posto di lavoro, il tempo necessario alla vestizione e svestizione rientra nel concetto di orario di lavoro e, come tale, andrà computato e retribuito.

Secondo la Suprema Corte che: “Ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo dove indossare la divisa (anche eventualmente presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro),la relativa operazione fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, e come tale il tempo necessario per il suo compimento non deve essere retribuito. Se, invece, le modalità esecutive di detta operazione sono imposte dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione, l’operazione stessa rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito” (cfr. Cass. civ, sez. lav. 16.5.2013, n. 11828, che richiama Cass. 10.9.2010 n. 19358; 9.9.2006 n. 19273; 21.10.2003 n. 15734; Cass. civ. – sez. lav. 13.04.2015, n. 7396).

Tempo di vestizione a attività lavorativa: il caso degli infermieri

La Commissione Interpelli cita poi altre sentenze nelle quali si conferma il suddetto principio.

In particolare, la Cass. civ. sez. lav. 26/1/2016, n. 1352 che, nel caso degli infermieri, conferma che l’atto di indossare la divisa –in quanto antecedente all’inizio della prestazione lavorativa e funzionale alla sua corretta esecuzione – deve essere inquadrato non tra le pause lavorative, bensì tra le attività propedeutiche all’esecuzione della prestazione. L’attività di assistenza presso istituti residenziali richiede, infatti, che la divisa sia necessariamente indossata e tolta, per ragioni di igiene, presso il luogo di lavoro e non altrove.

Cosa rientra nell’ “orario di lavoro” secondo la giurisprudenza nazionale

A supporto dell’individuazione dell’orario di vestizione all’interno dell’orario di lavoro, la Commissione Interpelli cita anche la sentenza della Cass. civ. sez. lav. 13/4/2015, n. 7396 che interpreta l’articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 66/2003 ed evidenzia che per valutare se un certo periodo di servizio rientri o meno nella nozione di orario di lavoro, occorre stabilire se il lavoratore sia o meno obbligato ad essere fisicamente presente sul luogo di lavoro e ad essere a disposizione del datore di lavoro per poter fornire immediatamente la propria opera ( si veda anche C.G.C.E., sentenza 9 settembre 2003, causa C-151/02 Jaeger, punto 64; sentenza 3 ottobre 2000, causa C-303/98, Simap sui servizi di guardia medica).

Spostamenti del lavoratore e definizione di “orario di lavoro” secondo la giurisprudenza comunitaria

Interessanti sono le sentenze europee citata dalla Commissione interpelli, che riguardano il concetto di orario di lavoro:

  • Corte di Giustizia UE – sentenza 10 settembre 2015, causa C-266/14 : con riferimento all’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/, stabilisce che in circostanze nelle quali i lavoratori non hanno un luogo di lavoro fisso o abituale, costituisce «orario di lavoro», ai sensi di tale disposizione, anche il tempo di spostamento che tali lavoratori impiegano per raggiungere i luoghi in cui si trovano i clienti indicati dal loro datore di lavoro.
  • Secondo la Corte non costituisce orario di lavoro – ai sensi della direttiva 2003/88 -esclusivamente il periodo durante il quale i lavoratori dispongono della “possibilità (…) di gestire il loro tempo in modo libero e di dedicarsi ai loro interessi” (causa C-266/14 punto 37 che richiama in proposito la sentenza Simap, C‑303/98, punto 50).

Orario di lavoro e riposo: tutela della sicurezza in base al diritto UE

Il Ministero del Lavoro richiama anche le conclusioni della Corte di Giustizia che ha interpretato la direttiva 2003/88 che ha abrogato e sostituito le direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, e che non prevede categorie intermedie tra i periodi di lavoro e di riposo. Inoltre, riconosce che relative prescrizioni in materia di durata massima dell’orario di lavoro e di periodi minimi di riposo costituiscono prescrizioni minime necessarie per garantire la tutela della salute e sicurezza, ai sensi del diritto dell’Unione europea.

Tempo tuta e diritto alla retribuzione: quando è orario di lavoro

Pertanto, secondo il Ministero del Lavoro (per il tramite della Commissione Interpelli) il tempo impiegato dal lavoratore per indossare la divisa o i dispositivi di protezione individuale sul luogo di lavoro risulta quindi inquadrabile nell’ipotesi delineata dalla Corte di Giustizia, in quanto nel periodo considerato il lavoratore è giuridicamente obbligato ad eseguire le istruzioni del proprio datore di lavoro, senza poter gestire liberamente il proprio tempo.

La Commissione cita anche la ordinanza n. 505 dell’11 gennaio 2019 della Corte di Cassazione, che ha ribadito che nel rapporto di lavoro subordinato il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale rientra nell’orario di lavoro soltanto se è assoggettato al potere conformativo del datore di lavoro.

Il potere confermativo deriva dal regolamento aziendale oppure, implicitamente, dalla natura degli indumenti o dalla funzione che essi devono assolvere; le stesse, infatti, potrebbero determinare un obbligo di indossare la divisa sul luogo di lavoro. Pertanto, il “tempo tuta e doccia” deve essere retribuito ove sia eterodiretto dal datore di lavoro, che ne disciplina tempo e luogo di esecuzione.

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Laurea in Giurisprudenza in Diritto europeo (LUISS Guido Carli 2006) e Master in “Gestione integrata di salute e sicurezza nell’evoluzione del mondo del lavoro” INAIL-Sapienza (I° Ed. 2018-19).
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Antonio Mazzuca

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