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Il fatto avveniva all’interno di un opificio industriale: si verificava un incendio di notevoli dimensioni, in conseguenza del quale uno dei dipendenti dell’impresa decedeva, mentre altri due subivano serie ustioni.
Ciò è avvenuto a causa di un trasporto anomalo di una cisterna su di un muletto, dalla quale era fuoriuscito del liquido infiammabile (la cisterna era stata trasportata con la prolunga, poi staccatasi dalla flangia a causa di un urto).
Il DVR risaliva al 1996 e non prevedeva il rischio poi verificatosi. Alcuni imputati lamentano che, per configurarsi l’elemento della colpa, non era sufficiente affermare che il rischio non era stato previsto, dovendosi verificare se esso fosse anche prevedibile e, dunque, evitabile prima del fatto.
Secondo la Corte
La Corte condivide il ragionamento, ma rigetta comunque la censura difensiva. Nel caso di specie, infatti, il rischio era prevedibile perché nel DVR del 1996 già si dava atto di precedenti episodi aziendali di sversamento di prodotti liquidi per cause analoghe a quelle verificatisi.
A questo punto, alcuni imputati sostengono che l’incompletezza del DVR, tuttavia, sarebbe solo “formale”, nel senso che essa sarebbe nella sostanza “sanata” per effetto dell’attività di formazione e informazione di cui i dipendenti erano stati comunque destinatari sul rischio.
Anche questa volta la censura è rigettata. Non è condivisibile, per la Corte, l’assunto che tende “a svilire il rilievo del documento di valutazione dei rischi, a fronte di un quadro normativo inequivocabile, che impone l’adozione di uno specifico atto scritto, con contenuti precisi”.
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