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Manutenzioni e mancata valutazione dei rischi: le responsabilità del RSPP

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Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale Sez. 4, 29 marzo 2021, n. 11650 esamina un caso di responsabilità del RSPP imputabile alla mancata valutazione dei rischi connessi alle attività di manutenzione, nell’esecuzione delle quali si verificava l’infortunio di un lavoratore. Nel caso di specie, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, trattandosi di reato estinto per prescrizione, rigettando invece il ricorso agli effetti civili.

Il commento è a cura di Maurizio Prosseda, Avvocato esperto in sicurezza e prevenzione, autore della rubrica “Il Caso del mese” su Ambiente&Sicurezza sul lavoro n.6-7/2021.

Mancata valutazione del rischio connesso alle attività di manutenzione: il caso della sentenza n.11650/2021

Il lavoratore F.J., dipendente della società X, stava procedendo alla sostituzione di due cinghie rotte della macchina macina pneumatici, allorquando rimaneva incastrato con il mignolo della mano destra tra il rullo e la cinghia, riportando la sub-amputazione P3 del mignolo, dalla quale derivava una malattia guarita in un tempo superiore a quaranta giorni.

Per tali fatti, al B.P., RSPP della società, veniva stato ascritto di non aver rilevato il rischio connesso alle operazioni di manutenzione della macchina macina pneumatici, ed in specie all’operazione di sostituzione delle cinghie.

Secondo i giudici del competente Tribunale, in tal modo il B.P. era venuto meno ai suoi doveri di contribuzione tecnica alla valutazione del rischio e alla predisposizione di misure organizzative necessarie a fronteggiarlo, pertanto aveva giudicato B.P. colpevole del reato di lesioni personali colpose commesse in danno di F.J., condannandolo al pagamento di 1.800,00 euro di multa e delle spese processuali, sentenza questa confermata poi in Appello.

 Il ricorso per Cassazione alla sentenza n.11650/2021

Avverso tale sentenza, B.P. presentava ricorso per Cassazione, sostenendo, tra i motivi di impugnazione, che la Corte di Appello non avesse operato la doverosa distinzione tra le posizioni rispettive del datore di lavoro e del RSPP

In particolare, a detta della difesa del ricorrente, si era contestato al B.P. non di aver omesso di segnalare al datore di lavoro le situazioni di rischio ma la assenza nel DVR dell’indicazione di specifici rischi attinenti alla macchina macina pneumatici, senza peraltro che si fosse proceduto ad esaminare il datore di lavoro, sicché nessuna prova è stata acquisita in merito ai suggerimenti forniti dal B.P. in osservanza dell’art. 33 D.Lgs. 81/2008.

Pertanto, a detta del ricorrente, “si è fatta discendere in modo automatico la responsabilità del ricorrente, che rivestiva un ruolo di mero consulente del datore di lavoro, privo di poteri decisionali e quindi della titolarità di una posizione di garanzia. L’eventuale responsabilità del RSPP è ipotizzabile solo ai sensi dell’art. 113 cod. pen., in associazione alla responsabilità del datore di lavoro, allorquando l’evento infausto derivi da suggerimenti errati o dalla mancata segnalazione di un rischio da parte del RSPP. Ma nel caso di specie la Corte di appello non ha reso idonea motivazione in merito alla effettiva violazione dell’art. 33 operata dal B.P.; non c’è prova che questi non avesse fornito i suggerimenti necessari…”.

Le responsabilità del RSPP per mancata valutazione dei rischi connessi alle attività di manutenzione

La Suprema Corte rileva preliminarmente l’avvenuto decorso del termine massimo di prescrizione in merito al reato ascritto al B.P.

Ciò nonostante, la Corte di Cassazione rileva come «le diffuse argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata non solo escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ma anche valgono ad escludere la fondatezza delle censure svolte dal B.P., che sono comunque da esaminare attesa la pronuncia di condanna dello stesso al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

Sulla estinzione del reato

In tema di declaratoria di estinzione del reato, infatti, l’art. 578 c.p.p. prevede che il giudice d’appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta “condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati”, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati secondo quanto previsto dall’art. 129, co. 2 cod. proc. pen. …».

Sui motivi del ricorso (sentenza n.11650/2021)

In merito ai motivi del ricorso, la Suprema Corte ricorda che «l’insegnamento delle Sezioni Unite indica nel responsabile del servizio di prevenzione e protezione un soggetto tenuto a prestare la propria opera (di supporto tecnico al datore di lavoro in rapporto alla valutazione dei rischi e alla connessa identificazione delle misure prevenzionistiche da adottare), che può essere chiamato a rispondere della sua attività ove svolta in violazione di regole cautelari e causalmente incidente sulla verificazione dell’evento tipico (“In tema di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all’occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri”: S.U., n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.c ., Espenhahn e altri, Rv. 261107).

Tenendo presente tale principio risulta manifestamente infondata l’affermazione del ricorrente secondo la quale gli sarebbe stata attribuito un dovere spettante unicamente al datore di lavoro…».

I rischi riscontrati nella attività di manutenzione

Prosegue la Corte: «Al di là delle evocazioni di vizi denunciabili in sede di legittimità, quel che si pretende è l’avallo della tesi già confutata della Corte di appello secondo la quale il rischio implicito nelle operazioni di sostituzione delle cinghie della macchina macina pneumatici era stato fatto oggetto della valutazione prevista dall’art. 28 D.Lgs. n. 81/2008. A tal proposito, a prescindere dai limiti propri al tipo di censura avanzata (incidenti, ad esempio sulla denuncia di travisamento delle dichiarazioni del L.), va precisato che non sussiste alcun travisamento della prova documentale, avendo la Corte di appello correttamente letto i documenti prodotti dalla difesa; sia quello nel quale si distinguono le tre attività e le interne fasi di lavoro (documento rappresentato a pg. 12 del ricorso), che quello nel quale si indicano i rischi connessi alla sostituzione delle lame delle macchine operatrici (documento rappresentato a pg. 14 del ricorso). Da tali atti emerge che la manutenzione era prevista per tre fasi tra le quali non c’era la sostituzione delle cinghie, che il rischio di schiacciamento era previsto solo per la lavorazione “sostituzione delle lame delle macchine operatrici”, risultando così confermato che non era stato valutato il rischio connesso alla sostituzione delle cinghie.

Le pertinenti valutazioni della Corte di appello, secondo la quale sarebbero mancate sia l’individuazione delle misure da adottare (divieto specifico per gli operai di effettuare interventi di manutenzione) sia l’individuazione dei soggetti competenti per l’intervento, appaiono quindi non contraddette da tali documenti e argomentate in modo non manifestamente illogico… In conclusione, il ricorso deve essere rigettato agli effetti civili».

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