Rischi di cantiere: le norme di prevenzione tutelano anche i terzi

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La Cassazione, con sentenza del 3 giugno 2014 n. 22965 conferma che le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori (e solo i lavoratori) possano subire danni nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi.

La vicenda

Il tribunale di Perugia aveva condannato due imprenditori per l’incidente occorso ad un loro lavoratore impegnato in lavori di manutenzione straordinaria di un edificio: l’uomo era rimasto travolto dalla porzione di un muro, unitamente allo smottamento del terreno costituente il fronte dello scavo, mentre si trovava all’interno di una trincea scavata sotto il muro perimetrale, al fine di accogliere il calcestruzzo che ivi si sarebbe dovuto collocare. Il Tribunale riscontrò che i lavori edili si svolgevano in periodo d’inefficacia dell’istanza di DIA, e che i due imprenditori non si erano avvalsi di un progetto esecutivo che assicurasse la perfetta stabilità e sicurezza delle strutture, così da evitare qualsiasi pericolo per la pubblica incolumità (artt. 71 e 64, comma 2, del d.p.r. 380/2001); inoltre non avevano predisposto idonee armature e precauzioni (art. 119 comma 1 e 4 del d.lgs. 81/2008); e non avevano eseguito i lavori indicati nell’istanza di DIA ed altri non indicati (sottofondazioni) in assenza del prescritto titolo (art. 44, comma 1, lett. b del d.P.R. 380/01).

Il giudizio della Corte

La Corte di Cassazione esclude che abbia rilevanza il ruolo effettivo della vittima (se operaio dipendente, occasionale coadiuvatore, lavoratore autonomo o se spontaneo collaboratore mosso dal vincolo parentale con il coimputato): il lavoratore vittima di infortunio si trovava all’interno della trincea per prepararla ad accogliere il calcestruzzo e, quindi, nello svolgimento di un’attività che, quale che fosse la fonte del rapporto, non può che assumere la valenza di collaborazione lavorativa. E “il cantiere come tutti i luoghi di lavoro, non deve presentare pericoli per chiunque vi entri in contatto e non solo per i lavoratori; con la conseguenza che deve essere opportunamente preclusa l’accessibilità a luoghi e strutture fonti di rischio con opportune misure segreganti ed escludenti”.

In forza dell’articolo 4 comma 5, lett. n), D. Lgs. 626/1994, il datore di lavoro prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno: pertanto, le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell’impresa.
E altresì precisa che “In materia di prevenzione infortuni, l’art. 1 D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, espressamente richiamato dal capo 1 D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, allorquando parla di lavoratori subordinati e ad essi equiparati non intende individuare in costoro i soli beneficiari della normativa antinfortunistica, ma ha la finalità di definire l’ambito di applicazione di detta normativa, ossia di stabilire in via generale quali siano le attività assoggettate all’osservanza di essa, salvo, poi, nel successivo art. 2, escluderne talune in ragione del loro oggetto, perché disciplinate da appositi provvedimenti. Pertanto, qualora sia accertato che ad una determinata attività siano addetti lavoratori subordinati o soggetti a questi equiparati, ex art. 3 comma 2 dello stesso d.P.R. n. 547 del 1955, non occorre altro per ritenere obbligato chi esercita, dirige o sovrintende all’attività medesima ad attuare le misure di sicurezza previste dai citati d.P.R. 547 del 1955 e 164 del 1956; obbligo che prescinde completamente dalla individuazione di coloro nei cui confronti si rivolge la tutela approntata dal legislatore. Ne consegue che, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, ex art. 43 c.p. e, quindi, di circostanza aggravante ex art. 589 comma 2 e 590 comma 3 stesso codice, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l’accertata violazione”.

Quanto ai profili di responsabilità dei due soggetti, la Corte non si spinge a valutare la sussistenza o meno fra i due di una società di fatto (alla quale approda, invece, la sentenza d’appello), e ritiene incontrovertibile il fatto che, tenuto conto della radicalità e complessità dei lavori, della minimalità delle due imprese e della mancanza di distinzioni di ruoli, non fosse realmente esistente una separazione d’incarichi e l’intreccio delle opere da effettuarsi imponeva ad entrambi, e per tutte le attività, l’obbligo dell’integrale rispetto delle norme prevenzionali.

Riferimenti:
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Redazione InSic

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