L’ordinanza disciplinata dall’art. 242 del D.Lgs. n. 152 del 2006, che l’Amministrazione può emanare a carico del soggetto che sia riconosciuto responsabile della contaminazione, non ha finalità sanzionatoria di una condotta pregressa, ma natura ripristinatoria in relazione ad un evento di (ancora) attuale inquinamento. Da ciò conseguono due fondamentali corollari: la dimostrazione del nesso di causalità si fonda sul criterio del “più probabile che non” e il D.Lgs. n. 152/2006 si applica anche a fatti avvenuti prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto.
È quanto afferma il Consiglio di Stato, Sez. IV, nella sentenza n. 5761 del 08.10.2018.
Commento a cura di S. Casarrubia su Ambiente&Sicurezza sul Lavoro.
Il Caso
Sulla base della massima in premessa è risolto il caso che aveva visto una società opporsi ad un’ordinanza che la obbligava a porre in essere le attività di cui all’art. 242 D.Lgs. n. 152/2006.
Nell’ordinanza, in particolare, si sostiene che in un’area, in passato utilizzata come cava di argilla, insistono due siti che, nel corso degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, sarebbero stati impiegati come discarica per rifiuti urbani; nel corso della relativa bonifica, tuttavia, i siti e le sottostanti falde sarebbero risultati contaminati da composti organoclorurati che si ritiene derivare da percolati di scarti di lavorazione industriale del vicino impianto, che ricorre avverso il provvedimento amministrativo.
Secondo la Cassazione
Sulla base del principio di cui alla massima, è rigettata l’eccezione per la quale le norme del D.Lgs. n. 152/2006 non potrebbero applicarsi a fenomeni di inquinamento avvenuti prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto.
Le disposizioni sulla bonifica dei siti contaminati, infatti, non sanzionano, ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è del tutto indifferente.
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