Terre e rocce da scavo: una Rivoluzione di facciata?

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Su Ambiente&Sicurezza sul lavoro n.10/2019 torniamo con A.Quaranta (Environmental Risk and crisis manager) sul controverso tema della gestione delle terre e Rocce da scavo all’indomani dell’emanazione del D.P.R. n. 120/2017. Ne estrapoliamo un passaggio relativo al quesito del luglio 2018 che riporta i chiarimenti ministeriali sulla gestione di questi materiali.
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A distanza di due anni dall’entrata in vigore del Decreto, con il quale sono state adottate “disposizioni di riordino e di semplificazione della disciplina inerente la gestione delle terre e rocce da scavo”, cosa possiamo dire sullo stato della normativa, e della prassi, sulle terre e rocce da scavo?
A poche settimane dall’entrata in vigore del DPR, il Ministero ha emanato una circolare (Prot. n. 0015786 del 2017) con la quale ha voluto fornire (ancora!) “chiarimenti interpretativi”, “al fine di uniformare l’azione amministrativa” della PP.AA. coinvolte, con particolare riguardo:
– alla disciplina delle matrici materiali di riporto e
– all’utilizzo che di tali materiali può farsi.
Niente di più, e/ma niente di meno che una mera perifrasi del testo normativo, che non vale la pena di approfondire.
Più interessante, invece, un parere del luglio dell’anno successivo (Prot. n. 0012021 del 19 luglio 2018), di risposta ad un quesito con il quale un’Amministrazione aveva chiesto chiarimenti circa l’interpretazione dell’articolo 7, comma 3 del D.P.R. n. 120/2017 recante la disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo.

Il quesito al Ministero dell’Ambiente

La disposizione di cui all’articolo 7, comma 3, del DPR n. 120/2017 si deve interpretare nel senso che l’omessa presentazione della dichiarazione di avvenuto utilizzo (D.A.U.) entro il termine di validità del piano di utilizzo o della dichiarazione di cui all’art. 21 determini “con effetto immediato” la cessazione retroattiva della qualifica di sottoprodotto – e la conseguente assunzione della qualifica di rifiuto – di tutte le terre e rocce da scavo oggetto del piano di utilizzo o della dichiarazione di utilizzo, sia di quelle già utilizzate che di quelle ancora da utilizzare?
Oppure si deve interpretare nel senso che l’effetto dell’omessa presentazione della D.A.U. entro il termine – ossia il venir meno della qualifica di sottoprodotto e l’assunzione della qualifica di rifiuto – non investe le terre e rocce da scavo utilizzate entro il termine di validità del piano o della dichiarazione di utilizzo (con la conseguenza che sarebbero rifiuto solo quelle gestite dopo il suddetto termine, in quanto non contemplate dal piano o dalla dichiarazione di utilizzo, né oggetto di proroga)?

Il Commento di A.Quaranta su Ambiente&Sicurezza sul Lavoro

Ebbene, dopo aver preliminarmente ricostruito il quadro normativo di riferimento, effettuato un’analisi del dato letterale della norma e puntualizzato che il quesito si riferisce soltanto all’eventuale mancata presentazione della D.A.U. (ferma restando la circostanza che le terre e rocce in questione abbiano tutte le caratteristiche sostanziali richieste dall’articolo 4 del D.P.R. n. 120/2017 per essere qualificate come sottoprodotto), il Ministero ha concluso che “la qualifica delle terre e rocce da scavo come sottoprodotto cessa, con effetto immediato, se la dichiarazione di avvenuto utilizzo non è resa entro il termine di validità del piano di utilizzo o della dichiarazione di cui all’articolo 21, (cfr. art. 7, comma 3). Tuttavia, sin tanto che non si verifica la condizione che determina la cessazione, le terre e rocce da scavo possono essere gestite come sottoprodotti”.
Di conseguenza, occorrerà “accertare se le terre e rocce da scavo, limitatamente ai quantitativi che sono stati effettivamente utilizzati e che in virtù della omessa presentazione della dichiarazione di avvenuto utilizzo hanno cessato la qualifica di sottoprodotto per acquisire quella di rifiuto, non costituiscano un pericolo per la salute dell’uomo, non rechino pregiudizio all’ambiente potendo soddisfare i requisiti previsti dalla normativa ambientale in merito al contenuto di contaminanti. Si tratta, quindi, di escludere la possibilità che la presenza di tali materiali nel suolo o sul suolo possa determinare eventuale contaminazione delle matrici ambientali”.
A tal fine, “occorrerà – conclude il Ministerofornire strumenti probatori idonei a dimostrare la non contaminazione del materiale utilizzato”, e “l’eventuale materiale da scavo che alla data di scadenza del piano di utilizzo fosse in deposito e, dunque, non effettivamente utilizzato dovrà essere gestito come rifiuto”.
Una soluzione logica, finalmente, che pone fine ad un certo atteggiamento delle PP.AA., che nel dubbio erano propense ad attribuire la natura di rifiuto a tutto il materiale, a prescindere dall’effettivo utilizzo, per la mera dimenticanza dell’invio della D.A.U….
Tralasciando, in questa sede, l’analisi della proroga della deroga concessa (negli stessi giorni, con il DL 89/2018) per il deposito intermedio dei materiali da scavo nelle regioni Abruzzo, Lazio, Marche ed Umbria, l’ultima news “degna di nota” riguarda la linea guida nazionale dell’ISPRA sulla gestione delle terre e rocce da scavo” (che viene analizzata nel paragrafo successivo dell’articolo…)

Riferimenti bibliografici

Terre e rocce da scavo: A due anni dalla “rivoluzione di facciata” cosa è successo?
A.Quaranta (Environmental Risk and crisis manager)
Ambiente&Sicurezza sul Lavoro n.10/2019

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