Studi scientifici mirati hanno evidenziato che nel nostro Paese ogni giorno vengono cementificati circa 100 ettari di superficie libera. Pertanto, dal 1956 al 2010, il territorio nazionale edificato è aumentato del 166 per cento a scapito di quello a destinazione agricola.
L’Italia è un Paese fortemente antropizzato; la densità media è pari a 189 abitanti per kmq, assai superiore alla media europea. Secondo i dati ISTAT, il trend del consumo del suolo nel nostro Paese è cresciuto a ritmi vertiginosi: sono 244 mila gli ettari di suolo che ogni anno vengono divorati da cemento e asfalto.
La perdita di tale superficie, oltre a comportare inevitabilmente una riduzione della produzione agricola, rendendola insufficiente a soddisfare il fabbisogno alimentare nazionale e facendo crescere la dipendenza del nostro Paese dall’estero, snatura e stravolge anche le connotazioni naturalistiche del suolo, non solo ponendo a rischio le nostre bellezze naturali, ma anche e soprattutto spogliando l’ambiente dalle naturali difese contro il rischio idrogeologico.
Le devastanti conseguenze, proprio in questo momento storico, sono sotto gli occhi di tutti.
Non posso infatti non richiamare i recenti eventi alluvionali, la dolorosa perdita di vite umane e gli ingentissimi danni causati al patrimonio, sia pubblico che privato, quali effetti diretti del cattivo uso del suolo iniziato sin dalla prima metà del secolo scorso e tuttora in atto.
Sono dunque queste semplici considerazioni che impongono di garantire il giusto equilibrio, nell’assetto territoriale, tra le zone suscettibili di utilizzazione agricola (e, più in generale, libere da interventi di significativa antropizzazione) e quelle edificate ed edificabili. Il fine è non pregiudicare da un lato la produzione agricola e la sicurezza alimentare e, dall’altro, l’intero ambiente comprese, quindi, le condizioni generali di vita dell’intera popolazione.
Per questo ritengo di sicuro rilievo l’implementazione nel disegno di legge all’esame dell’aspetto relativo allo stretto rapporto esistente tra consumo del suolo e fenomeni di rischio idrogeologico.
L’intervento regolatorio di cui si discute oggi, la “Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo” (A.C. 2039 e Ab.), è lo strumento attraverso il quale si tende a raggiungere l’obiettivo di interrompere le cause del processo di cui si è detto, promuovendo un efficace sistema di controllo e di sviluppo globale e moderno del territorio, attribuendo, in primo luogo alle aree agricole, il ruolo di fattore principale di tutela, in particolare dettando una serie di interventi configurati alla stregua di principi fondamentali della materia.
Ho letto con attenzione l’approfondita documentazione che accompagna il disegno di legge in esame e che reputo una buona ed avanzata base di discussione. Per questo, piuttosto che affrontare nuovamente quanto da essa già emerge con sufficiente chiarezza, desidero soffermarmi su aspetti ancora suscettibili di una ulteriore proficuo approfondimento.
Tutto ciò premesso, in merito alle specifiche tematiche poste dal Comitato ristretto, voglio svolgere alcune considerazioni.
1.1 Sulla definizione di superficie agricola e di consumo di suolo, anche in relazione all’eventuale inclusione delle superfici agroforestali (articolo 2, comma 1, lettera a)
In linea con gli indirizzi e i principi espressi a livello europeo, il consumo di suolo deve essere inteso come fenomeno associato alla perdita di una risorsa ambientale fondamentale, dovuta all’occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale.
Il concetto di consumo di suolo deve, quindi, essere definito come una variazione da una copertura non artificiale (= suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (= suolo consumato).
La copertura del suolo è un concetto collegato ma distinto dall’uso del suolo. Per copertura del suolo si intende, infatti, la copertura biofisica della superficie terrestre e viene definita dalla direttiva 2007/2/CE del 14 marzo 2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio, che istituisce un’infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità Europea (INSPIRE), come la copertura fisica e biologica della superficie terrestre, comprese le superfici artificiali, le zone agricole, i boschi e le foreste, le aree seminaturali, le zone umide, i corpi idrici.
L’impermeabilizzazione del suolo costituisce la forma più evidente di copertura artificiale. Le altre forme di copertura artificiale del suolo vanno dalla perdita totale della “risorsa suolo” attraverso l’asportazione per escavazione (comprese le attività estrattive a cielo aperto), alla perdita parziale, più o meno rimediabile, della funzionalità della risorsa a causa di fenomeni quali la contaminazione e la compattazione dovuti alla presenza di impianti industriali, di infrastrutture, manufatti, depositi permanenti di materiale o passaggio di mezzi di trasporto.
L’idea che descrive questi concetti può dunque essere efficacemente sintetizzata nel consumo di suolo netto, risultante dal bilancio tra il consumo di suolo e l’aumento di superfici agricole, naturali e seminaturali dovuto a interventi di recupero, demolizione, de-impermeabilizzazione, rinaturalizzazione.
Ritengo quindi che alla definizione di superficie agricola, di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) del disegno di legge, debba essere affiancata la definizione di superficie naturale e seminaturale, affinché l’impianto normativo risulti funzionale anche in un ottica di prevenzione e di gestione dei rischi connessi al dissesto idrogeologico – quale aspetto stringente della più ampia categoria della manutenzione del suolo – così completando, in termini di tutela globale, la già fondamentale valorizzazione della destinazione agricola dei terreni.
Propongo, in particolare, di valutare l’utilizzazione delle seguenti definizioni:
«superficie agricola, naturale e seminaturale»: tutte le superfici, anche in area urbanizzata, allo stato di fatto non impermeabilizzate, dove lo strato superficiale del suolo non sia stato coperto artificialmente, scavato o rimosso;
«consumo di suolo»: l’incremento annuale netto della superficie affetta da impermeabilizzazione del suolo, interventi di copertura artificiale, scavo o rimozione del suolo;
«impermeabilizzazione del suolo»: tutte le aree dove il cambiamento della natura o della copertura del suolo fa sì che esso si comporti come un mezzo impermeabile, anche attraverso la sua compattazione dovuta alla presenza di infrastrutture, manufatti, depositi permanenti di materiale o passaggio di mezzi di trasporto;
«copertura artificiale del suolo»: la copertura permanente della superficie terrestre con materiali artificiali o la sua alterazione biofisica per la realizzazione di edifici, capannoni, infrastrutture di trasporto, piazzali, parcheggi, piste, banchine, moli, cortili, altre aree pavimentate, impermeabilizzate o in terra battuta, campi fotovoltaici, aree estrattive non rinaturalizzate, discariche, cantieri, interventi di scavo o di rimozione del suolo.
Poiché, in base al meccanismo delineato dall’art. 3 del disegno di legge, i Comuni sono chiamati a svolgere un ruolo fondamentale in vista del concreto raggiungimento degli obiettivi quantitativi di riduzione che saranno stabiliti a livello statale con la mediazione regionale, ritengo opportuno, inoltre, valutare l’estensione della categoria qualificante del “consumo del suolo” alla complessiva attività di programmazione del territorio comunale, come individuato dagli strumenti urbanistici o, nei limiti in cui sia possibile comprenderle in una sicura categorizzazione giuridica, dalle destinazioni di fatto.
1.2 Sulla definizione del diritto edificatorio in considerazione del disposto costituzionale di cui all’articolo 42
Con riferimento ai diritti edificatori, ritengo che all’interno della pianificazione urbanistica debbano trovare spazio le esigenze di interesse pubblico alla tutela ambientale, tra le quali emerge con forza la necessità di evitare un’ulteriore indiscriminata attività edificatoria e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi.
In particolare, la programmazione del suolo a fini edificatori non può non essere pervasa da una particolare, essenziale direi, considerazione delle funzioni del suolo in grado di assicurare i servizi:
– di approvvigionamento (prodotti alimentari e biomassa, materie prime, etc.);
– di regolazione (regolazione del clima, cattura e stoccaggio del carbonio, controllo dell’erosione e dei nutrienti, regolazione della qualità dell’acqua, protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi, etc.);
– di supporto (supporto fisico, decomposizione e mineralizzazione di materia organica, habitat delle specie, riserva genetica, conservazione della biodiversità, etc.);
– culturali (servizi ricreativi, paesaggio, patrimonio naturale, etc.).
In sostanza, l’intervento urbanistico e il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi solo come un riconoscimento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono tradursi in un oculato governo dei processi di trasformazione e di tutela che tenga conto, in una prospettiva complementare se non addirittura residuale, delle potenzialità edificatorie dei suoli.
Conseguentemente, tale attività – che identifica uno dei molti volani di sviluppo possibili per il territorio – dovrà essere governata tenendo conto delle effettive esigenze di abitazione della comunità (che possono ridursi nel tempo, come in effetti risultano, allo stato, contratte), delle concrete vocazioni dei luoghi, dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e, quindi, della vita salubre degli abitanti, anche in considerazione dei costi ambientali, delle relazioni con i cambiamenti climatici a livello locale e globale, della possibilità di regolare il deflusso superficiale.
1.3. Sulla definizione di suolo
Nella legislazione italiana, all’art. 54 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (il c.d. testo unico ambientale), il suolo è definito come “il territorio, il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali”, mentre la Strategia tematica per la protezione del suolo, adottata dalla Commissione Europea nel 2006, definisce più “tecnicamente” il suolo come lo strato superiore della crosta terrestre, costituito da particelle minerali, materia organica, acqua, aria e organismi viventi, che rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera.
Questa, secondo me, è una definizione che costituisce una buona base di riflessione per implementazioni e puntualizzazioni del disegno di legge.
2.1 Sulla procedura complessa di individuazione della riduzione progressiva del consumo di suolo e riflessione sull’opportunità di prevedere una semplificazione della stessa procedura (articolo 3)
Ritengo condivisibile la preoccupazione concernente l’opportunità di una semplificazione della procedura di individuazione della riduzione progressiva del consumo di suolo prevista dall’art. 3 del disegno di legge.
Tuttavia non può essere ignorata la complessità di un intervento che va a incidere in una materia, quella del governo del territorio, che vede coinvolti contemporaneamente lo Stato, le Regioni e gli enti locali nell’ambito delle rispettive competenze. Ciò non vuol dire che non si possano apportare al disegno di legge forme di semplificazione delle procedure, valutando ad esempio la semplificazione di organismi di valutazione oggi presenti nel testo del disegno di legge.
2.2 Sulla individuazione dei compiti di ISPRA in tema di perimetrazione
In considerazione dell’importanza e dell’urgenza di attuare il principio della limitazione del consumo di suolo nel nostro Paese, come dimostrano i dati presentati nel Rapporto ISPRA 2014 sul consumo di suolo in Italia, ma come impone anche la frequenza sempre maggiore di eventi di dissesto del territorio, ritengo che le attività di perimetrazione e di monitoraggio potrebbero fare riferimento al sistema ISPRA/ARPA/APPA. Ricordo che la rete di monitoraggio del consumo di suolo, sviluppata da ISPRA in collaborazione con la rete delle ARPA/APPA, rappresenta il riferimento ufficiale a livello nazionale per le informazioni statistiche sul consumo di suolo in quanto presente all’interno del Programma Statistico Nazionale 2014-2016 come specifica indagine. Ritengo, quindi, opportuno valutare di riservare le attività di perimetrazione e di monitoraggio del consumo di suolo quantomeno a ISPRA e alle Agenzie per la Protezione dell’Ambiente di Regioni e Province Autonome;
3. Sul riuso e sulla rigenerazione urbana come alternativa al consumo di suolo, nonché sull’eventuale inserimento di ulteriori disposizioni volte a favorirli (articolo 1, comma 2, articolo 4, e proposte emendative ad essi riferite).
4. Sulla previsione di misure di mitigazione e compensazione del consumo di suolo, previste in alcune delle proposte emendative presentate.
Sui temi di cui ai punti 3 e 4 sollevati dalle commissioni riunite, ritengo opportuna una risposta congiunta, data la stretta connessione che accomuna il riuso e la rigenerazione urbana alla previsione di forme di mitigazione e di compensazione degli interventi inevitabili che comportano consumo di suolo.
In coerenza con gli orientamenti euro-unitari, ritengo opportuno prevedere misure specifiche per assicurare l’approccio indicato dalla Commissione Europea nelle Linee guida in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo (2012). In proposito, ritengo corretto considerare questo ordine di priorità:
la limitazione, ovvero la riduzione del tasso di conversione e di trasformazione del territorio agricolo, naturale e seminaturale e il riuso delle aree già impermeabilizzate, con la definizione di target realistici, anche in termini percentuali, al consumo di suolo a livello nazionale, regionale e comunale (questione affrontata nell’articolo 3) e di linee di azione quali la concentrazione del nuovo sviluppo urbano nelle aree già insediate; la previsione di incentivi finanziari (come i sussidi per lo sviluppo di siti in zone contaminate) e di restrizioni allo sviluppo urbano nelle aree agricole e di elevato valore paesaggistico;
la definizione e l’implementazione di misure di mitigazione, da attuare quando la perdita di suolo è inevitabile, volte al mantenimento delle funzioni del suolo e alla riduzione degli effetti negativi sull’ambiente, con il rispetto della qualità del suolo nei processi di pianificazione e con l’indirizzo del nuovo sviluppo verso suoli di minore qualità, con l’applicazione di misure tecniche di mitigazione per conservare almeno alcune funzioni del suolo (come, ad esempio, le superfici permeabili nelle aree di parcheggio).
la compensazione ecologica di interventi inevitabili, finalizzata al recupero e al ripristino di aree limitrofe degradate attraverso la de-impermeabilizzazione e il ripristino di condizioni di naturalità del suolo.
5. Sulla destinazione dei proventi dei titoli abilitativi edilizi (art. 8, commi 1 e 2)
L’articolo 8 stabilisce che i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni di cui all’articolo 5 del disegno di legge, nonché quelli delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, siano destinati esclusivamente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, a interventi di qualificazione dell’ambiente e del paesaggio, anche ai fini della messa in sicurezza delle aree esposte a rischio idrogeologico, avuto riguardo alla particolare situazione di rischio che caratterizza larghe parti del territorio nazionale in occasione di eventi calamitosi.
6. Sulla regolamentazione della fase transitoria (articolo 9)
Senz’altro la fase transitoria deve assicurare una sospensione delle trasformazioni che comportano nuovo consumo di suolo, in attesa che i meccanismi disegnati dal disegno di legge entrino pienamente in funzione.
L’articolo 9 e, in particolare, il comma 1, stabilisce che dalla data di entrata in vigore della legge e fino all’adozione del decreto di cui all’articolo 3, comma 1, e, comunque, non oltre il termine di tre anni, non è consentito il consumo di superficie agricola tranne che per la realizzazione di interventi già autorizzati e previsti dagli strumenti urbanistici vigenti e di lavori già inseriti negli strumenti di programmazione delle stazioni appaltanti e nel programma di cui all’articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443. Sono comunque espressamente fatti salvi i procedimenti, in corso alla data di entrata in vigore della legge, relativi ai titoli abilitativi edilizi comunque denominati aventi ad oggetto il consumo di suolo inedificato.
Condivido, come detto, la finalità della disposizione transitoria.
Essa, infatti, tenta la necessaria cristallizzazione della situazione di fatto nel periodo “intertemporale” compreso tra l’entrata in vigore della legge e l’adozione del decreto ministeriale che fissa l’estensione massima della superficie agricola consumabile, facendo ovviamente salve le aspettative già maturate.
E tuttavia, la rigida limitazione temporale della misura di salvaguardia non sembra perfettamente allineata con la finalità appena enunciata e condivisa laddove rischia di trasformarsi, ora in un blocco indiscriminato delle attività, ora in uno strumento di indiretto rallentamento dell’intero sistema procedimentale disegnato dal testo in esame.
Certamente la soluzione non è semplice e, tuttavia, mi sembra necessario superare il dato temporale assoluto, sviluppando una riflessione sulla previsione di meccanismi di salvaguardia per così dire intermedi.
In definitiva, credo che il disegno di legge oggi in esame possa costituire l’occasione imperdibile per un complessivo ripensamento della determinazione degli usi ammissibili del territorio in una nuova e contemporanea prospettiva nella quale il suolo è finalmente visto né come icona separata dal contesto sociale ed economico (dal quale è illusorio crederlo sganciato), né come materiale informe da assoggettare ad usi antropici indiscriminati, ma piuttosto come elemento primo, prezioso e fragile, dello sviluppo sostenibile. L’unico possibile per garantire i diritti delle generazioni future.
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