Il fatto
La Provincia autonoma di Trento aveva presentato ricorso per impugnazione dell’art. 7 comma 1, lettera b), numero 2), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive) per violazione di numerosi parametri statutari e di attuazione statutaria.
La norma ha aggiunto all’art. 147 del Codice Ambiente il comma 1-bis: «Qualora gli enti locali non aderiscano agli enti di governo dell’ambito individuati ai sensi del comma 1 entro il termine fissato dalle regioni e dalle province autonome e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla delibera di individuazione, il Presidente della regione esercita, previa diffida all’ente locale ad adempiere entro ulteriori trenta giorni, i poteri sostitutivi, ponendo le relative spese a carico dell’ente inadempiente. Si applica quanto previsto dagli ultimi due periodi dell’articolo 172, comma 4».
Secondo la Provincia, la norma, menzionando anche le «province autonome», accanto alle regioni, tra i soggetti chiamati ad assegnare agli enti locali un termine per l’adesione agli enti di governo dell’ambito territoriale ottimale, sarebbe lesiva delle sue prerogative statutarie in materia di organizzazione del servizio idrico.
Il riparto costituzionale risultante dal complesso delle norme passate in rassegna dalla Pronvincia, fonderebbe la potestà legislativa primaria della Provincia autonoma di Trento di regolare tutti i diversi aspetti del servizio idrico. Ne conseguirebbe l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, la quale presupporrebbe l’operatività di un sistema territoriale e organizzativo del servizio idrico che, secondo la ricorrente, non trova riscontro sul territorio della Provincia autonoma, che lo ha autonomamente e diversamente regolato.
Secondo la Corte
Secondo la Corte, né la clausola di salvaguardia contenuta al comma 9-bis dell’art. 7 del d.l. n. 133 del 2014, con specifico riguardo alla disciplina del servizio idrico integrato, né, a maggior ragione, quella generale contenuta nel successivo art. 43-bis, sono idonee a escludere l’efficacia della norma censurata nei confronti della Provincia ricorrente. Nel merito, la questione è fondata, secondo la Corte.
Lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige attribuisce alla Provincia autonoma di Trento competenza legislativa primaria in materia di «acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale» (art. 8, numero 17), «assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione mediante aziende speciali» (art. 8, numero 19), «urbanistica» (art. 8, numero 5) ed «opere idrauliche» (art. 8, numero 24), nonché competenza legislativa concorrente in tema di «utilizzazione delle acque pubbliche», «igiene e sanità» (art. 9, numeri 9 e 10). L’art. 14 dello statuto speciale prevede, fra l’altro, che l’utilizzazione delle acque pubbliche deve essere realizzata in base ad un Piano generale stabilito d’intesa fra lo Stato e la Provincia autonoma (approvato con d.P.R. 15 febbraio 2006), il quale sostituisce interamente, nel territorio provinciale, il Piano regolatore generale degli acquedotti (art. 10, comma 2, del d.P.R. n. 381 del 1974). In base alle norme di attuazione statutaria contenute nel d.P.R. n. 115 del 1973, la Provincia autonoma di Trento esercita, inoltre, tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità del demanio idrico, ivi compresa la polizia idraulica e la difesa delle acque dall’inquinamento (sentenza n. 137 del 2014).
E la Corte stessa ha riconosciuto in più occasioni in capo alla Provincia autonoma di Trento una competenza primaria in materia di organizzazione del servizio idrico, comprensiva della sua organizzazione e della sua programmazione, nonché dell’individuazione dei criteri di determinazione delle tariffe ad esso inerenti (si veda sentenze n. 137 del 2014, n. 233 del 2013, n. 357 del 2010, n. 412 del 1994).
Tale sistema di attribuzioni – nell’esercizio delle quali la Provincia ha da tempo delineato il quadro organizzatorio del servizio idrico integrato provinciale, «”non è stat[o] sostituit[o] dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell’ambiente”, a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, considerato che “la suddetta riforma, in forza del principio ricavabile dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, non restringe la sfera di autonomia già spettante alla Provincia autonoma” (sentenza n. 357 del 2010)» (sentenza n. 233 del 2013).
Secondo la Corte, dunque il «complesso intreccio di interessi e competenze in cura a diversi livelli istituzionali» in materia di risorse idriche non può comportare alcuna compressione della preesistente autonomia organizzativa della Provincia autonoma in materia.
Su queste basi, la disposizione impugnata – presupponendo l’applicazione del modello di gestione del servizio idrico integrato dettato dal d.lgs. n. 152 del 2006 anche sul territorio delle province autonome – ha senza dubbio invaso un ambito che è precluso all’intervento del legislatore statale in ragione delle richiamate competenze statutarie.
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