La Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, con sentenza n. 11029 del 5 febbraio 2015, ha annullato la sentenza del Tribunale di L’aquila che aveva riconosciuto la responsabilità del sindaco del Comune di S. Pio delle Camere e del legale rappresentante di una società subappaltatrice di lavori di messa in sicurezza di cavità ipogee.
Per l’appaltatore, la Corte ha osservato che, con riferimento alle attività di gestione dei rifiuti, nessuna fonte legale individua tali soggetti come gravati da un obbligo di garanzia in relazione all’interesse tutelato, e quindi ha considerato non sussistente la responsabilità in materia di rifiuti.
Quanto al Sindaco, ha ritenuto che il giudizio del Tribunale fosse basato su valutazioni meramente ipotetiche e che non risultasse dimostrato che il Sindaco avesse cognizione del conferimento dei rifiuti, delle modalità con le quali veniva attuato e che fosse direttamente intervenuto nei confronti dell’appaltatore.
Il Fatto
Il Tribunale di L’Aquila ha riconosciuto la responsabilità penale con la pena dell’ammenda, per il reato previsto dall’art. 110 c.p. e dall’art. 256, c. 2, del Codice Ambiente (D. Lgs. 152/2006), in capo al Sindaco del Comune di S. Pio delle Camere e al legale rappresentante di una società subappaltatrice di lavori di messa in sicurezza di cavità ipogee del centro storico, per aver depositato in modo incontrollato cumuli di rifiuti, in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo, costituiti da materiale di risulta del cantiere, giacenti direttamente su terreno vegetale in assenza di protezione del suolo ed esposti all’azione degli agenti atmosferici.
L’attività di deposito era effettuata da un dipendente della ditta appaltatrice dei lavori con mezzi di proprietà della ditta medesima e l’utilizzazione dell’area comunale per il deposito era stata autorizzata dalla stessa amministrazione, in mancanza di sito idoneo all’interno del cantiere.
Il Sindaco, nel ricorso in Cassazione, sosteneva di non aver firmato la bozza di autorizzazione al deposito dei rifiuti ma che era stato il responsabile dell’ufficio tecnico comunale ad assumere personalmente la decisione insieme alla guardia municipale, come ha in seguito dichiarato nel corso della prova testimoniale, che è stata ritenuta dal giudice inverosimile.
Inoltre, il Sindaco ha dedotto il vizio di motivazione del giudice quando nella sentenza si afferma che il responsabile dell’ufficio tecnico e la guardia municipale avrebbero agito isolatamente, nel momento in cui hanno predisposto, il giorno del controllo, la bozza di autorizzazione da far sottoscrivere al Sindaco, per poi ritenere che quest’ultimo fosse corresponsabile dell’illecita gestione.
Il legale rappresentante della società, invece, ha sollevato l’errata valutazione dei fatti e la insussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, sostenendo che il deposito dei rifiuti era finalizzato all’immediato trasferimento presso la sede della società.
La decisione della Corte
La terza sezione della Cassazione Penale ha ritenuto fondati i ricorsi del sindaco de L’aquila e del legale rappresentante della società subappaltatrice di lavori di messa in sicurezza di cavità ipogee.
Per quel che concerne l’appaltatore, la Corte ha osservato che, con riferimento alle attività di gestione dei rifiuti, nessuna fonte legale individua tali soggetti come gravati da un obbligo di garanzia in relazione all’interesse tutelato. Per tale ragione, secondo i giudici di legittimità non v’è alcuna responsabilità in materia di rifiuti da parte della ditta appaltatrice, ai sensi dell’art. 40 c.p., comma 2, come già affermato nelle precedenti sentenze (Sez. 3, n. 25041 del 25/5/2011, Spagnuolo, Rv. 250676; Sez. 3^, n. 40618 del 22/9/2004, Bassi, Rv. 230181; Sez. 3^, n. 15165 del 28/1/2003, Capecchi, Rv. 224706. V. anche Sez. 3^, n. 35692 del 5/4/2011, Taiuti, Rv. 251224).
Peraltro, il contratto di appalto, non consente, di norma, alcuna ingerenza da parte dell’appaltante nell’attività dell’appaltatore, di conseguenza il committente non ha alcun potere giuridico di impedire l’evento del reato di abusiva gestione dei rifiuti commesso dall’appaltatore, poiché ha solo il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori nel suo interesse ai sensi dell’art. 1662 c.c., ma non gli è consentito di interferire sullo svolgimento dei lavori a tutela degli interessi ambientali.
La Corte ha osservato che l’appaltatore, in ragione della natura del rapporto contrattuale, è il produttore del rifiuto, dal momento che compie un’opera o presta un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio; e che, pertanto, su di esso gravano i relativi oneri.
Secondo il Tribunale di L’Aquila, i lavori regolarmente appaltati avrebbero dovuto necessariamente prevedere un piano di smaltimento dei rifiuti, valutazioni che il Collegio ha considerato ipotetiche e che non possono superare il dato concreto rappresentato dalle dichiarazioni del tecnico comunale e dell’istruttore di vigilanza.
Per quel che concerne la figura del Sindaco, invece, il Tribunale di L’Aquila ha affermato che, sebbene l’art. 107 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) distingua tra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, e compiti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, è evidente che il Sindaco, non può semplicemente disinteressarsi degli esiti di tale sua attività, ma deve effettuare un successivo controllo sulla concreta attuazione delle scelte programmatiche effettuate; egli ha, inoltre, il dovere di attivarsi quando gli siano note situazioni che pongano in pericolo la salute delle persone o l’integrità dell’ambiente.
Secondo la Corte, la posizione del Sindaco non è stata compiutamente valutata da parte del giudice del merito, il quale ha fornito una motivazione inadeguata, perché fondata su personali supposizioni e che appare manifestamente carente, in quanto non risulta dimostrato che il Sindaco avesse cognizione del conferimento dei rifiuti e delle modalità con le quali veniva attuato e che fosse direttamente intervenuto nei confronti dell’appaltatore.
Pertanto, la Corte ha annullato la sentenza del Tribunale di L’Aquila e rinviato solo per la determinazione della pena della società appaltatrice.
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