Il fatto
Il legale rappresentante di una società di costruzioni, che si era occupato del trasporto e dello smaltimento di rifiuti composti da cemento, calcestruzzo e mattoni, è stato condannato dal Tribunale di Como del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) ovvero Gestione dei rifiuti (pericolosi) non autorizzata.
Per questo motivo l’imprenditore ha deciso di proporre ricorso per Cassazione, sostenendo che il materiale edilizio proveniente dalla demolizione, era stato riutilizzato per formare il fondo stradale per il transito dei mezzi pesanti in un altro cantiere.
Dunque, il materiale, secondo il ricorrente, doveva essere ricondotto nel novero dei sottoprodotti perché era stato soltanto frantumato e pertanto non aveva deteriorato l’ambiente; ed anche qualora fosse stato qualificato come rifiuto, bisognava applicargli la disciplina del deposito temporaneo in quanto il raggruppamento dei rifiuti era avvenuto in un luogo nella disponibilità dell’impresa.
Secondo la Cassazione Penale
La Corte di Cassazione Penale, terza sezione, ha ritenuto infondato il ricorso.
Secondo gli Ermellini, non può applicarsi, al caso in esame, la disciplina dei sottoprodotti o del deposito temporaneo, per il fatto che le due discipline comportano l’applicazione di norme di natura eccezionale rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti, con la conseguenza che l’onere della prova spetta a chi ne richiede l’applicazione.
Inoltre, con sentenza n. 29084 del 14 maggio 2015 (Cass. Pen, sez. III), è stato affermato il principio secondo il quale, i materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto destinati all’abbandono, dove l’eventuale recupero è soggetto a precisi adempimenti. L’assoggettamento a una disciplina più favorevole, implica la dimostrazione della sussistenza dei presupposti di legge; ed invece, nel caso in esame non è stata fornita la prova.
Per quanto riguarda la realizzazione del fondo stradale attraverso il trasporto dei residui di demolizione in un altro comune, la Corte ha ritenuto che debba escludersi la natura di sottoprodotto dei residui da demolizione, in virtù dell’art. 184, c. 3, lett. b), del D.Lgs. n. 152 del 2006, che definisce come rifiuti speciali quelli derivanti dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall’art. 184 bis in materia di sottoprodotti, quali i materiali provenienti dalle attività di scavo.
Pertanto, classificare i materiali derivanti da attività di demolizione come sottoprodotti contrasterebbe con l’art. 184, che invece li qualifica come rifiuti, ed inoltre imporrebbe il rispetto di determinate condizioni.
Secondo l’art. 184 bis, infatti, il sottoprodotto corrisponde a qualsiasi oggetto o sostanza che tragga origine da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e che sia destinato ad essere utilizzato, senza alcun ulteriore trattamento, in un successivo processo di produzione che non arrechi danno all’ambiente e alla salute umana.
I giudici di legittimità, per il caso in esame, non ritengono che i materiali utilizzati provenissero da un processo di produzione perché derivanti dalla demolizione di un edificio.
Il sottoprodotto, secondo l’art. 184, c.1, lett. a), deve provenire direttamente da un processo di produzione, attraverso la lavorazione o la trasformazione di altri materiali. Ed invece, l’attività di demolizione non produce nulla, ma si occupa di eliminare l’edificio; ed anche quando la demolizione sia finalizzata a realizzare un nuovo edificio, non può considerarsi un processo di produzione (Sez. 3, n. 42342 del 9/7/2013; Sez. 3, n. 3202 del 2/10/2014; Sez. 3, n. 17823 del 17/1/2012).
Alla luce di quanto esposto, risulta evidente che l’attività di demolizione di un edificio non si possa qualificare come processo di produzione, e che i materiali che ne derivano siano rifiuti e non sottoprodotti.
Quanto al deposito temporaneo, cui fa riferimento il ricorrente, secondo la Corte è pacifico ritenere che l’art. 183, lett. nn), lo individui come il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti e non può riguardare rifiuti prodotti da terzi. Inoltre, il deposito temporaneo è soggetto a limiti quantitativi e temporali, entro i quali i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento.
Il deposito non può avere durata superiore ad un anno e deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute; infine, devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura dei rifiuti pericolosi.
Sulla base di tali requisiti, la Corte ha ritenuto che non ci fossero i presupposti per l’applicazione della disciplina del deposito temporaneo dei rifiuti, il quale è prodromico alla raccolta o allo smaltimento; invece, nel caso in esame i rifiuti erano stati utilizzati come sottofondo stradale per il transito di mezzi pesanti in altro comune, difettando così del requisito del raggruppamento nel luogo stesso di produzione.
Per tutti questi motivi, il ricorso è stato rigettato.
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