È infatti necessario rafforzare le misure di riduzione dell’inquinamento atmosferico dal momento che circa il 90 % degli abitanti nelle città europee sono esposti a livelli superiori a quelli consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), come confermato dall’ultimo rapporto stilato dalla European Environment Agency (EEA).
Nelle città italiane, il IX rapporto ISPRA sulla Qualità dell’ambiente urbano, indica che, nonostante tutti valori di media annua del PM10 si trovino al di sotto, o poco al di sopra dei 40 µg/m3 previsti dalla normativa, la popolazione è esposta a concentrazioni superiori al valore di 20 µg/m3 consigliato dall’OMS come valore soglia per la protezione della salute umana in quasi tutte le 35 città capoluogo di provincia considerate al 2011. Per il PM 2.5, in nessuna delle 24 città considerate si registra un valore pari o inferiore a quello 10 µg/m3 consigliato dall’OMS, come valore soglia per la protezione della salute umana.
Sul fronte sanitario, nel 2013 sono giunti a conclusione importanti studi sugli effetti cronici dell’inquinamento atmosferico, che hanno coinvolto popolazioni europee, aggiungendo evidenze ulteriori rispetto a quelli effettuati in altre parti del mondo, particolarmente in nord america. Il progetto ESCAPE (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects) ha coinvolto numerosi paesi membri fra cui l’Italia, dove sono stati studiati oltre 40.500 residenti delle città di Torino, Varese e Roma. Lo studio ha valutato gli effetti sulla salute (in termini di incidenza di patologie e di mortalità) dovuti ad esposizioni di lungo periodo agli inquinanti atmosferici, tenendo conto di numerosi fattori confondenti, fra cui il fumo, della esposizione stimata a livello individuale in base alla residenza, di un periodo di osservazione di circa 13 anni.
I risultati relativi al tumore polmonare mostrano che per ogni aumento nell’esposizione di 10 microgrammi per metro cubo di PM10 aumenta il rischio di sviluppare un tumore del 22% e del 18% per ogni incremento di 5 microgrammi per metro cubo di PM2.5 in aria ambiente.
Questi effetti sono più forti per l’adenocarcinoma, che è il tipo di tumore polmonare che si sviluppa anche in un numero sostanziale di non fumatori, e si suggerisce che possano avere un ruolo composti tossici azotati che si formano in aria, come le nitrosamine. Analogamente ai risultati di precedenti studi, non sembra esserci una soglia di concentrazione delle polveri al di sotto della quale l’effetto cancerogeno, per quanto di piccola entità, si annulli.
A seguito dei risultati degli studi, in ottobre 2013 la IARC ha classificato cancerogeni per l’uomo (gruppo 1) l’inquinamento atmosferico outdoor come miscela e il particolato, sulla base di una evidenza sufficiente per l’uomo e per gli animali e di una forte evidenza sui meccanismi di azione. Numerosi studi epidemiologici hanno mostrato infatti un aumento di rischio per il tumore del polmone, più limitatamente per il tumore della vescica, mentre altri hanno mostrato una associazione fra le esposizioni reali all’inquinamento atmosferico e la comparsa di danni genetici di vario tipo in molte specie.
Il fumo rimane il più importante fattore di rischio per il tumore polmonare, insieme al radon. Il rischio associato a inquinamento atmosferico risulta molto più basso di quello che si associa al fumo di tabacco: l’OMS ad esempio ha stimato che nel 2004 il fumo ha causato 5,1 milioni di decessi e il 71% dei tumori polmonari nel mondo, e che l’inquinamento atmosferico ha causato 1,2 milioni di decessi e l’ 8% dei tumori polmonari, nello stesso anno.
La qualità dell’aria ambiente è quindi un importante determinante di salute, che agisce insieme ad altri determinanti, sociali ed individuali, influenzando la comparsa di molte patologie in ampia parte delle popolazioni, con rilevanti ricadute di sanità pubblica ed economiche.
L’OMS su incarico della UE, ha revisionato le evidenze scientifiche disponibili su tutti gli effetti sulla salute degli inquinanti atmosferici regolati dalle direttive europee (progetto REVIHAAP), aggiornando quelle pubblicate dal 2005 (non considerate nelle Air quality guidelines 2005).
Controllare l’esposizione per ridurre il rischio non è significativamente alla portata del singolo individuo ma richiede interventi delle PA a livello regionale, nazionale e internazionale
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