Deposito di rifiuti: la Cassazione chiarisce la differenza fra le ipotesi di reato

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Con la sentenza dell’8 aprile 2014 n. 15659, la Corte di Cassazione ha ribadito che, secondo l’attuale giurisprudenza, c’è una chiara differenza fra le varie ipotesi di reato in materia di deposito dei rifiuti, (art. 1, D.Lgs. n. 152 del 2006); pertanto si chiariscono le fattispecie di deposito temporaneo, di deposito preliminare o stoccaggio e di deposito incontrollato o abbandono di rifiuti.

Deposito temporaneo di rifiuti
Per quanto riguarda la configurabilità del deposito temporaneo ci deve essere la presenza di un raggruppamento di rifiuti effettuato nel luogo della loro produzione, prima della raccolta, intendendo per essa le seguenti operazioni: di prelievo, di cernita e di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto; tale deposito è lecito se vengano rispettate le condizioni, anche di durata temporanea, e di altro genere connesse alla natura dei rifiuti, previste dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, lett. m).
Nel caso tali condizioni non vengano rispettate, il deposito temporaneo va qualificato come “deposito preliminare”, o stoccaggio, attività per la quale sono necessarie l’autorizzazione o la comunicazione in procedura semplificata, previste dal citato D.Lgs., in difetto delle quali il deposito integra un reato.

Deposito incontrollato di rifiuti
Infine ricorre il reato di deposito incontrollato di rifiuti nel caso di l’attività di stoccaggio e smaltimento di materiali eterogenei ammassati alla rinfusa, senza alcuna autorizzazione, su un’area rientrante nella disponibilità dell’imputato. Sez. 3, Sentenza n. 15593 del 24/03/2011. Data tale distinzione, emerge che lo stoccaggio provvisorio, inteso come accantonamento di rifiuti in attesa del loro riutilizzo o smaltimento, è stato equiparato, sul piano sanzionatorio, alla fattispecie criminosa del deposito incontrollato o abbandono di rifiuti in via definitiva, costituendo anche lo stoccaggio un reato ove esso venga effettuato senza le prescritte autorizzazione di legge, che non ammettono equipollenti, non sono implicitamente ravvisabili e devono essere espressamente, formalmente, rilasciate prima dell’inizio dell’attività.

Nel caso di specie…
Ciò posto, è evidente che il ricorrente non possa invocare l’ipotesi dello stoccaggio non avendo fornito, come è dato leggere nella sentenza impugnata, dimostrazione del rilascio delle prescritte autorizzazioni. A tale riguardo la sentenza di secondo grado argomenta correttamente che è onere della parte produrre la documentazione comprovante il conseguimento delle autorizzazioni, la cui sussistenza non si può certo desumere, come pretende la difesa del ricorrente, dal fatto che non è stata acquisita in giudizio la prova dell’assenza di tali autorizzazioni. Non è certo sufficiente la prova negativa della loro assenza dovendosi fornire, a cura della parte su cui grava il relativo onere probatorio, la prova positiva delle condizioni legittimanti l’effettuazione dell’attività di stoccaggio. Discende da ciò l’illiceità del deposito attuato dal ricorrente.

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Riferimenti normativi:
Cass. pen. sez. III, sentenza n. 15659, sentenza dell’8 aprile 2014

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Redazione InSic

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