I rifiuti con codice “a specchio” dopo la sentenza della CGE: un’analisi

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Pericoloso o non pericoloso? Questo è l’eterno dilemma che affligge ogni produttore/detentore di rifiuti!
La domanda non è di secondaria importanza in quanto la classificazione di un rifiuto come pericoloso o non pericoloso, onere di cui si deve far carico il produttore/detentore, determina conseguenze pratiche importanti per un‘azienda posto che a seguito della classificazione del rifiuto come pericoloso varia il regime autorizzativo, varia la destinazione finale, varia la sanzione prevista per il caso di gestione abusiva e varia, soprattutto, il costo di smaltimento!

La questione della classificazione dei rifiuti con cosi detto “codice a specchio”, tema da sempre caro agli addetti ai lavori, ormai da tempo aveva perso i toni della disputa dottrinale per trasformarsi in una vera e propria “guerra di religione” in cui si contendevano il campo due opposte tesi, denominate “teoria della probabilità” (secondo cui la c.d. caratterizzazione analitica dovrebbe riguardare solo le sostanze ritenute “pertinenti”, selezionate dal produttore) e “teoria della certezza” (secondo cui sarebbe sempre necessaria la conoscenza precisa della composizione del rifiuto per escluderne la natura pericolosa).
Dopo un lungo percorso la vicenda raggiungeva il suo culmine nel preciso momento in cui la Corte di Cassazione III sez. penale, con ordinanza del 27 luglio 2017 n. 37460, sollevava questione di pregiudizialità dinanzi alla Corte di Giustizia UE, affinché dirimesse alcuni dubbi interpretativi della disciplina.

L’articolo di Enrico Cappella – Consulente DGSA ed esperto rifiuti pericolosi – www.dgsaconsulenze.com (disponibile in allegato) spiega le due teorie contrapposte per la classificazione dei rifiuti e la cosiddetta ‘terza via’ – La teoria della “certezza scientifica”. Inoltre, analizza il ricorso alla Corte di Giustizia europea del 28/03/2019 n. C:2019:270 e le diverse questioni interpretative sollevate, oltre a riportarne il dispositivo in cui viene rifiutata l’ipotesi interpretativa, troppo a lungo sostenuta con veemenza nel nostro Paese, secondo la quale il produttore del rifiuto sarebbe stato tenuto a rovesciare una presunzione di pericolosità mediante analisi volte a verificare l’assenza di qualunque tipo di sostanza classificata come pericolosa. E’ stato infatti indicato come riferimento il criterio della “ragionevolezza” per la ricerca di eventuali sostanze pericolose, con possibilità di utilizzare campionamenti, analisi chimiche e prove previsti dal Reg. CE n. 440/2008, istitutivo dei metodi di prova ai sensi del Reg. CE n. 1907/206 (REACH).

Redazione InSic

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