ILVA: la CEDU riscontra violazione del diritto alla vita privata e familiare

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La Corte europea dei Diritti dell’Uomo con sentenza 24 gennaio 2019 (in allegato) si esprime sul ricorso di 180 ricorrenti (Cordella e altri c. Stato italiano) che avevano denunciato alla CEDU gli effetti delle emissioni dell’industria siderurgica Ilva di Taranto sulla loro salute e sull’ambiente, lamentando una violazione dei loro diritti alla vita, al rispetto della vita privata e a un ricorso effettivo (articoli 2, 8 e 13 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo).
Secondo la Corte, l’Italia ha omesso di assumere le misure necessarie a tutela della salute dei cittadini perché nell’ordinamento interno non esistono rimedi effettivi per l’attivazione di misure efficaci per la bonifica dell’area.La Corte dichiara, dunque che vi è stata violazione dell’articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e dell’art. 13 della Convenzione e ritiene ragionevole accordare la somma di risarcimento di 5.000 EUR per ciascun ricorso per il procedimento dinanzi ad essa.

La Violazione dell’Articolo 8 della Convenzione (Diritto al rispetto della vita privata e familiare)

Il ricorso

I ricorrenti affermano che le autorità italiane hanno omesso di adottare tutte le misure appropriate per proteggere la loro vita e la loro salute. Sostengono di essere colpiti dall’inquinamento e di essere più a rischio di contrarre diverse patologie, come sarebbe stato dimostrato da numerosi rapporti.
Il Governo afferma che i giudici nazionali hanno condotto dei procedimenti imparziali perseguendo i responsabili delle condotte delittuose riguardanti l’ambiente e la salute delle persone e che, secondo un rapporto del ministero della Salute del 2014, il tasso di PM10 sarebbe diminuito. Il Governo ha sostenuto anche che la società Ilva ha sempre condotto la propria attività produttiva adeguandosi alle autorizzazioni accordate dal comune, dalla regione e dalla provincia. Sono stati predisposti dei piani di prevenzione dell’inquinamento e di adozione di misure volte a garantire la qualità dell’aria nel quartiere Tamburi (Taranto). Inoltre, sarebbero state adottate varie misure che permettono un notevole miglioramento della qualità dell’aria.

Secondo la Corte europea dei Diritti dell’Uomo

La Corte rammenta che dei danni gravi arrecati all’ambiente possono compromettere il benessere delle persone e privarle del godimento del loro domicilio in modo tale da nuocere alla loro vita privata e afferma che gli Stati hanno anzitutto l’obbligo positivo, in particolare nel caso di un’attività pericolosa, di mettere in atto una legislazione adattata alle specificità di tale attività, in particolare al livello di rischio che potrebbe derivarne. “Tale legislazione deve disciplinare l’autorizzazione, la messa in funzione, lo sfruttamento, la sicurezza e il controllo dell’attività in questione, nonché imporre a ogni persona interessata da quest’ultima l’adozione di misure di ordine pratico idonee ad assicurare la protezione effettiva dei cittadini la cui vita rischia di essere esposta ai pericoli inerenti al settore in causa”.
È spesso impossibile quantificare gli effetti di un inquinamento industriale importante in ciascun caso singolo e distinguere l’influenza di altri fattori quali, ad esempio, l’età e la professione, precisa la Corte. Lo stesso vale per quanto riguarda il peggioramento della qualità di vita derivante dall’inquinamento industriale, spiega quindi la Corte che la «qualità di vita» sia un concetto molto soggettivo che non si presta a una definizione precisa. La Corte comunque riconosce di non avere il compito di determinare precisamente le misure che sarebbero state necessarie nella fattispecie per ridurre in maniera più efficace il livello dell’inquinamento: ha innegabilmente il dovere di verificare se le autorità nazionali abbiano affrontato la questione con la diligenza voluta e se abbiano preso in considerazione tutti gli interessi coesistenti.
A questo proposito, la Corte constata che, fin dagli anni ’70, vari studi scientifici denunciano gli effetti inquinanti delle emissioni degli stabilimenti Ilva di Taranto sull’ambiente e sulla salute delle persone.
I risultati di tali rapporti, che provengono in gran parte da organismi statali e regionali, non sono peraltro oggetto di contestazione tra le parti. Vengono poi richiamati vari rapporti e studi (fra i quali il rapporto SENTIERI del 2012, che afferma che esiste un nesso di causalità tra l’esposizione ambientale alle sostanze cancerogene inalabili prodotte dalla società Ilva e l’insorgenza di tumori dei polmoni e della pleura, nonché di patologie del sistema cardiocircolatorio nelle persone residenti nelle zone interessate).
Inoltre, al punto 167 la Corte Sottolinea che le misure raccomandate a partire dal 2012 nell’ambito dell’AIA allo scopo di migliorare l’impatto ambientale dello stabilimento non sono state alla fine realizzate al punto di originare una procedura di infrazione dinanzi ai giudici dell’Unione europea. Quanto poi alla realizzazione del piano ambientale approvato nel 2014, vi è stata prorogata al mese di agosto 2023 allungando òa procedura di risanamento che, secondo la Corte, procede con estrema lentezza. Peraltro, il Governo con vari decreti legge «salva-Ilva» ha continuato a garantire la continuazione dell’attività di produzione dell’acciaieria, e questo nonostante la constatazione da parte delle autorità giudiziarie competenti, fondata su perizie chimiche ed epidemiologiche, dell’esistenza di gravi rischi per la salute e per l’ambiente, a cui si aggiunge una situazione di incertezza derivante, da una parte, dal dissesto finanziario della società e, dall’altra, dalla possibilità, accordata al futuro acquirente, di prorogare l’attuazione del risanamento dello stabilimento.
Pertanto, la Corte non può che prendere atto del protrarsi di una situazione di inquinamento ambientale che mette in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, quella di tutta la popolazione residente nelle zone a rischio, la quale rimane, allo stato attuale, priva di informazioni sull’attuazione del risanamento del territorio interessato, in particolare per quanto riguarda i ritardi nell’esecuzione dei relativi lavori.
Constata dunque che le autorità nazionali hanno omesso di adottare tutte le misure necessarie per assicurare la protezione effettiva del diritto degli interessati al rispetto della loro vita privata.
Perciò, il giusto equilibrio da assicurare tra, da una parte, l’interesse dei ricorrenti a non subire gravi danni all’ambiente che possano compromettere il loro benessere e la loro vita privata e, dall’altra, l’interesse della società nel suo insieme, non è stato rispettato e viene pertanto riconosciuta la violazione dell’art.8 della Convenzione.

La violazione dell’Articolo 13 della Convenzione (Diritto ad un ricorso effettivo)

L’articolo 13 della Convenzione garantisce l’esistenza nel diritto interno di un ricorso che permetta all’autorità nazionale competente di esaminare il contenuto di una «doglianza difendibile» fondata sulla Convenzione: lo scopo di tale articolo è fornire un mezzo attraverso il quale le persone sottoposte alla giustizia possono ottenere, a livello nazionale, la riparazione delle violazioni dei loro diritti sanciti dalla Convenzione, prima di dover mettere in atto il meccanismo internazionale di ricorso dinanzi alla Corte.
Sulla base delle conclusioni alle quali è giunta la Corte circa l’esistenza di vie di ricorso utili ed effettive che permettano di sollevare, dinanzi alle autorità nazionali, delle doglianze relative all’impossibilità di ottenere misure che garantiscano il disinquinamento delle aree interessate da emissioni nocive dello stabilimento Ilva, la Corte conclude che vi è stata violazione dell’articolo 13.
La Corte rammenta che una sentenza che constata una violazione della Convenzione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico non soltanto di versare agli interessati le somme riconosciute a titolo di equa soddisfazione, ma anche di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali da adottare nel suo ordinamento giuridico interno per porre fine alla violazione constatata dalla Corte ed eliminarne per quanto possibile le conseguenze. È in primo luogo lo Stato in causa a dover scegliere, fatto salvo il controllo da parte del Comitato dei Ministri, i mezzi da utilizzare nel proprio ordinamento giuridico interno per adempiere ai propri obblighi previsti dall’articolo 46 della Convenzione. Tuttavia, per aiutare lo Stato convenuto ad adempiere ai propri obblighi previsti dall’articolo 46, la Corte può cercare di indicargli il tipo di misure generali che potrebbe adottare per porre fine alla situazione constatata.
Non spetta infatti alla Corte rivolgere al Governo delle raccomandazioni dettagliate e a contenuto prescrittivo, come quelle indicate dai ricorrenti. Spetta al Comitato dei Ministri, che agisce ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione, indicare al governo convenuto le misure che, in termini pratici, devono essere adottate da quest’ultimo per assicurare l’esecuzione di questa sentenza.

I lavori di risanamento della fabbrica e del territorio colpito dall’inquinamento ambientale sono, secondo la Corte, di primaria importanza e urgenti, perciò, il piano ambientale approvato dalle autorità nazionali e recante l’indicazione delle misure e delle azioni necessarie ad assicurare la protezione ambientale e sanitaria della popolazione, dovrà essere messo in esecuzione nel più breve tempo possibile.

Redazione InSic

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