La vicenda
Il Tribunale di Vicenza, con sentenza del 12.10.2012 ha riconosciuto la responsabilità penale di due amministratori e legali rappresentanti di una società i quali, senza essere in possesso delle prescritte autorizzazioni, effettuavano lo scarico di acque reflue industriali provenienti dall’attività di caseificio con recapito nella fognatura bianca ed in acque superficiali.
Il giudice del merito ha riportato gli esiti di un accertamento svolto dal personale dell’ARPAV che segnalava la presenza di chiari segni di inquinamento di un corso d’acqua superficiale (il torrente Battibò) rappresentati dalla colorazione biancastra e dall’odore di “grasso irrancidito” e documentati con fotografie acquisite agli atti.Individuata l’origine del fenomeno nello stabilimento degli imputati, il successivo sopralluogo aveva evidenziato la presenza di due scarichi non autorizzati e gli esiti dello stesso sono stati puntualmente analizzati dal Tribunale, considerando le dichiarazioni rese dai verbalizzanti e da un dipendente dell’azienda controllata, nonché i contenuti della documentazione prodotta.Il Tribunale aveva anche verificato la possibile sussistenza, con riferimento ad uno dei due scarichi, del caso fortuito, perché lo sversamento di reflui non depurati nella condotta delle acque meteoriche sarebbe stato determinato dalla rottura delle tubazioni conducenti all’impianto di depurazione, conseguente all’eccessivo calore dei reflui immessi. Ma secondo il giudice di merito -considerando anche i lavori di adeguamento, successivamente effettuati mediante sostituzione delle tubature in PVC con altre, più resistenti, in gres ceramicato, precedute da una vasca in acciaio per il preventivo raffreddamento – l’evento verificatosi era comunque conseguenza della mancata considerazione, da parte dei prevenuti, delle temperature dei reflui scaricati.
Il giudizio della Corte
La Corte di Cassazione conferma sostanzialmente le conclusioni del giudice di merito e chiarisce che “il caso fortuito è rappresentato da un avvenimento non previsto e non prevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione di un soggetto, cosicché in nessun modo, neppure a titolo di colpa, lo stesso possa essere ricondotto all’attività psichica del soggetto medesimo“. E con riferimento a fenomeni di inquinamento addebitabili ad inconvenienti di natura tecnica, la giurisprudenza della stessa Corte ha escluso l’applicabilità dell’art. 45 cod. pen. con riferimento alla rottura di un tubo (Sez. 3 n. 11410, 7 ottobre 1999; Sez. 3 n. 5863 del 10 maggio 1999; Sez. 3 n. 6954, 9 Iugliol996), al guasto ad una pompa che determini il cattivo funzionamento di impianti di depurazione (Sez. 3 n. 7497, 12 luglio 1991), alla rottura di una guarnizione o alla mancanza di energia (Sez. 3 n. 3954, 12 aprile 1995), alla bruciatura di una resistenza (Sez. 5 n. 9134, 11 settembre 1991), alla corrosione di canalette di adduzione dei reflui conseguente all’acidità dei reflui medesimi (Sez. 3 n. 1814, 12 febbraio 1998), all’intasamento di un depuratore per la presenza di scorie all’interno (Sez. 3 n. 10153, 26 settembre 1998) ed al piegamento di un tubo destinato ad immettere nell’impianto sostanze atte all’abbattimento dei valori di determinati inquinanti (Sez. 3 n. 1054, 14 gennaio 2003). L’insussistenza del caso fortuito è stata ritenuta anche qualora il guasto si sia verificato su impianto che in precedenza non aveva mai manifestato inconvenienti tecnici (Sez. 3 n. 5050, 24 aprile 1987).
Tali principi vengono ritenuti tuttora validi dalla Corte anche in materia di inquinamento idrico e nel caso di specie la Cassazione non ritiene ravvisabili gli estremi del caso fortuito e della causa maggiore nel verificarsi della rottura di una condotta che determini la fuoriuscita dei reflui, trattandosi di accadimento che, sebbene eccezionale, ben può, in concreto, essere previsto ed evitato. La prevedibilità dell’evento era evidente, ben conoscendo gli imputati le caratteristiche dei reflui scaricati, come osservato dal Tribunale ed essendo gli imputati evidentemente venuti meno ad elementari regole di prudenza e diligenza.
Inoltre, la Cassazione sottolinea anche che il Tribunale aveva accertato, all’esito dell’istruzione dibattimentale, attraverso l’esame delle produzioni documentali e dei contenuti dei titoli abilitativi prodotti, che gli scarichi oggetto dell’imputazione non potevano ritenersi debitamente autorizzati.
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Riferimenti normativi:
Cass. pen. sez. III, sentenza n. 24333, del 10 giugno 2014.
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