La violazione contestata riguarda le disposizioni dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999, concernente i valori limite del biossido di zolfo, del biossido di azoto, degli ossidi di azoto, delle particelle e del piombo.
In base al Dispositivo, l’Italia ha omesso di provvedere, per gli anni 2006 e 2007, affinché le concentrazioni di PM 10 nell’aria ambiente non superassero, nelle 55 zone e agglomerati italiani considerati nella diffida della Commissione europea del 2 febbraio 2009.
L’Italia aveva ammesso nelle sue osservazioni, che tali valori limite non potevano essere rispettati entro i termini assegnati dalla direttiva 1999/30 per almeno cinque ragioni: assicurare il rispetto di tali valori limite avrebbe implicato l’adozione di misure drastiche sul piano economico e sociale, nonché la violazione di diritti e libertà fondamentali, quali la libera circolazione delle merci e delle persone, l’iniziativa economica privata e il diritto dei cittadini ai servizi di pubblica utilità.
Ma la Corte ricorda che, in mancanza di modifica di una direttiva ad opera del legislatore dell’Unione allo scopo di prorogare i termini di attuazione, gli Stati membri sono comunque tenuti a rispettare i termini originariamente fissati e così l’Italia era tenuta a seguire i dettati della direttiva 1999/30/CE. Per di più la Corte ricorda che l’Italia non ha eccepito nemmeno che il superamento dei valori limite sia stato imputato ad eventi naturali, i quali danno luogo a concentrazioni che superano notevolmente i normali livelli di fondo originati da fonti naturali, fatto che le avrebbe permesso di dimostrare l’impossibilità di conformarsi agli obblighi europei per causa di forza maggiore.
Secondo la Corte, i rilievi dell”Italia sono troppo generici e imprecisi per poter configurare un caso di forza maggiore che giustifichi il mancato rispetto dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 nelle 55 zone e agglomerati italiani considerati dalla Commissione.
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