Il fatto
Il Tribunale di Lecce ha rigettato l’istanza di riesame nei confronti del legale rappresentante di un opificio industriale, per i reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 256 e 279, artt. 650 e 674 c.p.
Nella specie, la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, avrebbe riguardato la gestione, in assenza di autorizzazione, dei reflui derivanti dal lavaggio delle betoniere, che venivano raccolti all’interno di una vasca.
A causa del rigetto della domanda, il legale rappresentante della società, ha presentato ricorso per Cassazione, sostenendo che i giudici non avessero considerato la sussistenza di un deposito temporaneo e l’esistenza di un impianto di riciclaggio dei residui di calcestruzzo.
Inoltre, secondo il ricorrente, la condotta addebitata non rientrava nella gestione di rifiuti, essendosi trattato del lavaggio delle betoniere effettuato nel tempo tecnico strettamente necessario alla successiva operazione di totale recupero.
Il ricorrente, ha lamentato anche il diniego alla richiesta d’uso dell’impianto, dato che si era impegnato a regolarizzarlo e ad adottare le misure tecniche per evitare ogni situazione di pericolo, attraverso il ricorso alle migliori tecnologie disponibili.
Secondo la Cassazione Penale
La Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso.
In prima analisi, la Corte ha evidenziato che lo stabilimento sequestrato operava in assenza del titolo abilitativo per effettuare l’attività di gestione dei rifiuti e delle emissioni in atmosfera.
Per quanto riguarda la violazione dell’art. 256 del D.Lgs. n. 152 del 2006, concernente l’assenza di autorizzazione, per la gestione dei reflui derivanti dal lavaggio delle betoniere, gli ermellini hanno ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente analizzato le allegazioni difensive quando hanno dedotto la presenza di un impianto di riciclaggio dei residui di calcestruzzo, e non un deposito temporaneo.
Sulla negata facoltà d’uso dell’impianto, i giudici di legittimità hanno confermato la decisione della Corte territoriale osservando che, la concessione dell’uso dell’impianto è una richiesta del tutto incompatibile con le finalità del sequestro; ciò perché tale autorizzazione avrebbe consentito il proseguimento di attività non autorizzate, non garantendo così le esigenze di cautela tipiche della misura (Sez. 3, n. 16689 del 26/02/2014; Sez. 3, n. 48924 del 21/10/2009; Sez. 3, n. 825 del 4/12/2008 (dep. 2009)).
Proprio in riferimento al caso in esame, il sequestro di un insediamento industriale che opera in assenza di qualsivoglia titolo abilitativo, permette l’interruzione della condotta in atto, impendendo così ulteriori conseguenze per la salute delle persone e l’integrità dell’ambiente derivanti dall’esercizio di un’attività non controllata.
Invece, la concessione della facoltà d’uso dello stabilimento, senza alcuna particolare precauzione, consentirebbe la ripresa dell’attività illecita interrotta dall’apposizione del vincolo.
In conclusione, gli Ermellini hanno affermato che la finalità del sequestro preventivo, di un insediamento industriale o di un singolo impianto senza titolo abilitativo, è proprio quella di evitare l’aggravarsi e il protrarsi delle conseguenze di un reato.
Tale finalità, risulta incompatibile con la facoltà d’uso dell’impianto proprio perché sarebbe in contrasto con l’obiettivo della misura cautelare.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione Penale ha rigettato il ricorso del legale rappresentante della società di calcestruzzi.
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