La compromissione e il deterioramento nel delitto di inquinamento ambientale

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Il delitto di danno previsto dall’art. 452-bis cod. pen. (“Inquinamento ambientale” – al quale è tendenzialmente estranea la protezione della salute pubblica) ha quale oggetto di tutela penale l’ambiente in quanto tale, e postula l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova norma incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 ss. d.lgs. 152 del 2006.
È quanto espresso dalla Cassazione Penale, sez. III, sentenza n. 50018 del 6 novembre 2018. Il Commento è a cura di Andrea Quaranta (Consulente, Natura Giuridica) e tratta dalla Banca Dati Sicuromnia dove è disponibile il testo completo della sentenza.
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Il fatto
Il Tribunale di Napoli ha accolto l’appello di un PM avverso un’ordinanza del GIP e, per tale ragione, ha disposto l’applicazione della misura cautelare del divieto di dimora nella regione Campania ad un signore, in relazione al reato di cui all’art. 452 bis cod. pen.
Nel ricorso, la difesa evidenziava come il Tribunale avesse ritenuto erroneamente il ricorrente concorrente nel delitto di inquinamento ambientale, in realtà ascrivibile al proprietario di una porzione del terreno de quo, l’unico terreno sul quale il c.t. del pubblico ministero avrebbe rilevato la compromissione o il deterioramento, che costituisce evento del reato ipotizzato.

Secondo la Corte di Cassazione
La Corte, osservato che il Tribunale aveva correttamente ricostruito la vicenda dal punto di vista del fatto, smentendo la ricostruzione del ricorrente, ha quindi ricordato che, in tema di inquinamento ambientale, sarebbe errato ritenere che potersi affermare la sussistenza del reato previsto dall’art. 452 bis cod. pen. si debba necessariamente accertare che ci si trovi di fronte ad un sito contaminato, secondo la definizione datane dalla legge (art. 240, lett. e), d.lgs. 152 del 2006, testo normativo i cui concetti, elaborati in un differente contesto e a diversi fini, in assenza di specifica previsione, non possono essere richiamati per definire gli elementi costitutivi del delitto introdotto dalla successiva l. 22 maggio 2015, n. 68).
L’art. 240 d.lgs. 152 del 2006 e le definizioni in esso contenute, infatti, valgono a disciplinare l’attività di bonifica dei siti quale prevista dal Titolo V del decreto, in relazione ai profili di rischio sanitario e ambientale sulla salute umana derivanti dall’esposizione prolungata all’azione delle sostanze presenti nelle matrici ambientali contaminate.
Con riguardo al reato di inquinamento ambientale, invece, deve affermarsi il principio secondo cui il delitto di danno previsto dall’art. 452-bis cod. pen. (al quale è tendenzialmente estranea la protezione della salute pubblica) ha quale oggetto di tutela penale l’ambiente in quanto tale, e postula l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova norma incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 ss. d.lgs. 152 del 2006.
La “compromissione” e il “deterioramento” di cui al nuovo delitto di inquinamento ambientale, infatti, consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, dell’originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata:
– nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e
– nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi.
Ai fini dell’integrazione del reato non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno, essendo sufficiente un evento di danneggiamento della matrice ambientale che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare.

Redazione InSic

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