L’attività di demolizione edifici (o strade) non può essere definita un “processo di produzione” quale quello indicato dalla norma sui sottoprodotti, con la conseguenza che i materiali che ne derivano vanno qualificati come rifiuti e non come sottoprodotti.
Sono le considerazioni emerse nella sentenza della Cassazione penale n. 8848 del 23.02.2018.
Il commento è a cura di S. Casarrubia, tratto dalla rubrica “Rassegna della Giurisprudenza” su Ambiente&Sicurezza sul Lavoro.
Il fatto
Gli imputati sono stati condannati alla pena di giustizia per avere effettuato un’attività di raccolta e stoccaggio di rifiuti speciali non pericolosi senza autorizzazione. In pratica, presso un’area di proprietà della società, depositavano materiali (residui legnosi, rottami metallici e macerie di demolizioni frammiste a residui bituminosi di asfalto) che derivano dalle demolizioni effettuate nei vari cantieri attivi. Si difendono eccependo che trattasi di materiali “destinati al riutilizzo quali materie prime in altri cantieri della società”.
Secondo la Corte
La Corte respinge il ricorso, classificandoli come rifiuti. Gli imputati avevano due strade per andare esenti da responsabilità. Quella del “deposito temporaneo” o quella del “sottoprodotto”.
La prima risultava impraticabile perché i rifiuti non sono stati raggruppati nel luogo in cui erano stati prodotti, venendo così meno un requisito dell’istituto. La seconda, per quando indicato nella massima, risultava altrettanto impraticabile. L’art. 184 bis, co. 1, lett. a), del T.U. Amb. richiede che “la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione”. Per la citata disposizione, difatti, il sottoprodotto deve “trarre origine” – quindi provenire direttamente – da un “processo di produzione”, dunque da un’attività chiaramente finalizzata alla realizzazione di un qualcosa ottenuto attraverso la lavorazione o la trasformazione di altri materiali. Le attività di mera demolizione di manufatti non sono finalizzate alla produzione di alcunché (cfr. Cass. pen. 33028/2015).
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