L’Italia si è sempre distinta in tutta Europa per la sua tenace volontà di limitare il più possibile l’ambito di applicazione della disciplina ambientale soprattutto negando, con vari artifici, che i rifiuti, specie quelli industriali, siano rifiuti.
Si è così inventata strane categorie di presunti “non rifiuti”, quali “residui” e “materiali quotati in borsa”, ha tentato di ampliare al massima la categoria dei “sottoprodotti” (si vedano le scandalose vicende delle terre da scavo) ecc. Riuscendo solo a meritarsi ampiamente il titolo di paese più condannato dalla Corte di giustizia europea per inosservanza delle direttive comunitarie in tema di rifiuti.
L’Articolo di A. Amendola, che riportiamo in allegato in versione integrale analizza la sentenza della Corte di Cassazione penale (sez III) del 15 ottobre-2 dicembre 2014, n. 50309, la quale, dopo aver riassunto la giurisprudenza europea in materia, trae alcune conclusioni, chiare e semplici, sulla nozione di “rifiuto”
La Cassazione mette l’accento su due punti fondamentali e connessi: da un lato, la questione se si tratta di un “rifiuto” va posta con esclusivo riferimento alla figura del produttore-detentore e dall’altro, la qualifica di “rifiuto” può essere esclusa solo se, – con riferimento, appunto, alla figura del produttore-detentore-, vi è la prova della certezza oggettiva del riutilizzo. E pertanto, proprio in base a questi principi, la suprema Corte considera rifiuti da recuperare “pallets” rotti acquistati da altra ditta per ripararli e reimmetterli sul mercato. Essi, infatti, dal punto di vista del produttore, “costituivano oggetti dei quali non era certa sin dall’inizio la loro destinazione” e dei quali il produttore si sarebbe disfatto se non fossero stati acquistati da questa altra ditta, la quale, comunque, doveva sottoporli a trattamento di recupero onde consentirne la futura commerciabilità.
Conclusione ineccepibile in quanto, in armonia con il principio base che si ricava dalla giurisprudenza comunitaria, è l’unica atta a darci la oggettiva e matematica certezza che una cosa non più utile a chi la detiene non venga considerata un ingombro di cui disfarsi, con conseguente pericolo per l’ambiente.
L’articolo completo è disponibile in allegato
DALLO STESSO AUTORE
Su Ambiente&Sicurezza sul Lavoro 12/2014
Deposito temporaneo, gli orientamenti della Cassazione
a cura di Gianfranco Amendola.
Allegati
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