Con sentenza del 10 novembre 2020 la Corte europea di Giustizia condanna l’Italia per la violazione della Direttiva 2008/50/CE in materia di qualità dell’aria. Superati i valori limite delle concentrazioni di particelle PM10, in maniera sistematica e continuata tra il 2008 e il 2017. Inoltre, il nostro Paese non ha dato esecuzione a misure appropriate ed efficaci per rendere il periodo di superamento dei valori limite fissati più breve possibile.
A nulla sono servite le argomentazioni del nostro Paese appuntate sulla diversità delle fonti d’inquinamento dell’aria alcune imputabili altre no (ad esempio quelle che sarebbero influenzate dalle politiche europee di settore, o sulle particolarità topografiche e climatiche di talune zone interessate) o sul tentativo di far valere il superamento in alcune zone e non in altre (basta il superamento dei valori limite nell’ambito di una sola zona per dichiarare un inadempimento alle disposizioni europee, risponde la Corte). Inoltre, l’Italia non avrebbe apprestato per tempo le misure atte ad abbassare i valori di inquinanti e anche gli interventi annunciati o messi in campo -per la maggior parte in tempi estremamente recenti- sottolinea la Corte, sono di fatto tardivi e potranno realizzarsi concretamente in almeno un decennio dall’entrata in vigore dei limiti posti dalla Direttiva sulla qualità dell’aria, vanificando le finalità della direttiva in termini di protezione della salute umana e dell’ambiente.
In questo articolo ripercorriamo dunque:
– Le accuse mosse dalla Commissione europea
– Il giudizio della Corte europea
– Le tappe processuali che hanno portato all’attuale sentenza
Nell'articolo
Violazione del diritto europeo sulla qualità dell’aria. Le accuse della Commissione europea all’Italia
Secondo la Commissione, l’Italia aveva superato, in maniera sistematica e continuata, nelle zone interessate, i valori limite giornaliero e annuale applicabili alle concentrazioni di particelle PM10, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, in combinato disposto con l’allegato XI, della direttiva «qualità dell’aria». Inoltre, non avrebbe adempiuto l’obbligo (contenuto nell’articolo 23, paragrafo 1, in combinato disposto con l’allegato XV della direttiva sulla qualità dell’aria) , di adottare misure appropriate al fine di garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10 nell’insieme delle zone interessate.Il giudizio della Corte europea nel caso di violazione italiana del diritto dell’Unione sulla qualità dell’aria
Nella sentenza pronunciata il 10 novembre 2020, la Corte, riunita in Grande Sezione su domanda dell’Italia, ha accolto il ricorso della Commissione. Rispetto ai motivi di ricorso:Il primo motivo di ricorso: violazione sistematica della Direttiva sulla qualità dell’aria
1. per quanto riguarda la violazione sistematica e continuata della direttiva dal 2008 al 2017, la Corte giudica fondato il ricorso alla luce degli elementi dedotti dalla Commissione per i periodi e le zone oggetto del procedimento, in quanto
– il fatto di superare i valori limite fissati per le particelle PM10 è sufficiente, di per sé, per poter accertare un inadempimento alle summenzionate disposizioni della direttiva «qualità dell’aria».
– il fatto che i valori limite in questione non siano stati superati nel corso di taluni anni durante il periodo considerato non esclude l’inadempimento sistematico e continuato delle disposizioni europee. Infatti, secondo la definizione stessa del «valore limite» di cui alla direttiva «qualità dell’aria», detto valore, al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi sulla salute umana e/o sull’ambiente nel suo insieme, deve essere conseguito entro un dato termine e non essere superato una volta raggiunto.
– è inoltre irrilevante che l’inadempimento risulti dalla volontà dello Stato membro o dalla sua negligenza, oppure da difficoltà tecniche o strutturali cui quest’ultimo avrebbe dovuto far fronte, salvo stabilire l’esistenza di circostanze eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l’uso della massima diligenza.
– Irrilevante la circostanza, invocata dall’Italia, dell’estensione limitata, rispetto all’insieme del territorio nazionale, delle zone sulle quali vertono le censure invocate dalla Commissione.
Il secondo motivo di ricorso: mancata adozione delle misure adeguate per il rispetto dei valori limite
2. Per quanto riguarda la censura della mancata adozione di misure adeguate per garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10, conformemente ai requisiti di cui all’articolo 23, paragrafo 1, da solo e in combinato disposto con la parte A dell’allegato XV della direttiva «qualità dell’aria»– la Corte la giudica parimenti fondata anche questa argomentazione: perché in caso di superamento di detti valori limite dopo il termine previsto per la loro applicazione, lo Stato membro interessato è tenuto a redigere un piano relativo alla qualità dell’aria che risponda ai requisiti della direttiva e che impegni a rendere il superamento di tali valori limite il più breve possibile., ma l’Italia non ha manifestamente adottato, in tempo utile, le misure in tal senso imposte
– giudica il superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per le PM10 sistematico e continuato per almeno otto anni;-sottolinea che le misure previste dai piani per la qualità dell’aria sono state per gran parte previste solo in tempi estremamente recenti, e dichiarano una durata di realizzazione degli obiettivi relativi alla qualità dell’aria che può essere di diversi anni, se non addirittura di due decenni dopo l’entrata in vigore di detti valori limite.
Il terzo motivo di ricorso: la tempistica prolungata delle misure di contenimento delle emissioni
3. Respinge le argomentazioni italiane circa la necessità di disporre di termini lunghi affinché le misure previste nei diversi piani relativi alla qualità dell’aria potessero produrre i loro effetti:– la Corte osserva che ciò si pone in contrasto sia con i riferimenti temporali posti dalla direttiva «qualità dell’aria» e con l’importanza degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente, perseguiti dalla direttiva
– la Corte sottolinea che l’approccio dell’Italia si risolverebbe nell’ammettere una proroga generale, eventualmente sine die, del termine per rispettare tali valori, allorché essi sono stati fissati proprio nell’ottica di conseguire tali obiettivi.
Le tappe processuali che hanno portato acca condanna dell’Italia in materia di qualità dell’aria
• 2014 – avvio del procedimento per inadempimento: la Commissione censura l’Italia per non aver adottato misure appropriate al fine di garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10 nell’insieme delle zone interessate, già dal 2008 superando, in maniera sistematica e continuata, nelle zone interessate, i valori limite giornaliero e annuale.• 2018 – PRECONTENZIOSO: la Commissione ritiene insufficienti i chiarimenti forniti in proposito dall’Italia il ed il 13 ottobre 2018, propone dinanzi alla Corte un ricorso per inadempimento.
• 2020: il giudizio della Corte riunita in Grande Sezione su domanda dell’Italia
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