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Residui da attività di costruzione e demolizione: cosa sono e come gestirli – Articolo di S.Casarrubia

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Nuovo articolo in PDF dalla rivista Ambiente&Sicurezza sul Lavoro! È possibile acquistare dal sito EPC l’articolo di S.Casarrubia: “Guida operativa per la gestione dei residui di costruzione e demolizione: rifiuti, sottoprodotti, adempimenti, responsabilità” (Ambiente&Sicurezza sul Lavoro, Luglio-Agosto 2022).

L’articolo mette ordine tra i numerosi riferimenti normativi che regolano la gestione dei residui derivati da attività di costruzione e demolizione e fornisce chiarimenti e risposte ai principali quesiti che da tempo investono il settore.

Di seguito un breve estratto dall’articolo, con le considerazioni circa la natura di sottoprodotto per il residuo da costruzione e demolizione.

I residui di un processo di costruzione e demolizione possono essere gestiti come sottoprodotti?

L’art. 184 d.lgs. n. 152/2006 stabilisce che “i rifiuti prodotti dalle attività di costruzione e demolizione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall’articolo 184-bis”, sono rifiuti speciali.

Da qui, pertanto, si potrebbe ritenere che la risposta sia positiva.

Questa conclusione vale senz’altro per le terre e rocce da scavo, per le quali esiste un corpo di disposizioni (quelle contenute nel Titolo primo del D.P.R. 120/2017) dove l’ipotesi è puntualmente disciplinata.

Materiali inerti da costruzione: sono sottoprodotti?

La vicenda, tuttavia, si complica per gli altri materiali inerti (residui di cemento, mattoni, mattonelle etc.), per lo più in passato, talvolta reimpiegati in cantiere previa frantumazione (per esempio, per migliorare un fondo stradale e così facilitare il transito dei mezzi pesanti).

L’orientamento è l’evoluzione (in senso restrittivo) di una giurisprudenza più risalente che inizialmente non escludeva che questi materiali, “in astratto”, potessero essere gestiti come sottoprodotti (salvo poi escluderlo in concreto, perché difettava il requisito della certezza del riutilizzo o quello del riutilizzo tal quale o con trattamento conforme alla normale pratica industriale).

Per la giurisprudenza più recente, pertanto, i residui da costruzione e demolizione, fatta eccezione per le terre e rocce da scavo, non possono per loro “natura” essere gestiti come sottoprodotti.

Conglomerato bituminoso: è considerato come un rifiuto?

Questa interpretazione, tuttavia, è costretta a riconoscere un’eccezione per il conglomerato bituminoso.

Il D.M. n. 69/2018, recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di conglomerato bituminoso, stabilisce infatti che “le disposizioni del presente regolamento non si applicano al conglomerato bituminoso qualificato come sottoprodotto ai sensi e per gli effetti dell’articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” (art. 1, co. 2).

Questo vuol dire che, perlomeno in astratto, il materiale in questione, ancorché derivi da un processo di demolizione (esattamente dello strato superficiale di asfalto), potrebbe essere gestito come sottoprodotto.

Questa conclusione, a parere dell’autore, dovrebbe valere per tutti i materiali che residuano dalle attività di costruzione e demolizione: dovrebbero essere gestiti come sottoprodotti, qualora ricorrano le condizioni previste.

La condizione dell’origine dell’oggetto o della sostanza “da un processo di produzione”, infatti, dovrebbe essere intesa in senso esemplificativo (e non letterale) per descrivere il processo di origine, senza escludere in radice i processi di demolizione.

D’altro canto, lo stesso fresato di asfalto, non escluso “in astratto” dalla candidatura a sottoprodotto, deriva da un processo di demolizione.

Cos’è un sottoprodotto?

È un sottoprodotto e non un rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa le condizioni stabilite dall’art. 184 bis T.U.A.

  1. la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; 
  1. è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; 
  1. la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; 
  1. l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana. 

Se ricorrono tutte le condizioni esposte, l’oggetto non costituisce rifiuto, perché di esso il detentore non si disfa: ai fini del requisito della certezza del riutilizzo, “occorre porsi nell’ottica esclusiva del detentore/produttore del rifiuto, non in quella di chi ha interesse all’utilizzo del rifiuto stesso” (cfr. Cass. pen. 50309/2014). E non ci si disfa di quanto è destinato, con certezza, ad essere riutilizzato. 

Se non è rifiuto, ancora una volta potrà essere gestito al di fuori della normativa e dei relativi adempimenti sui rifiuti. 

Il D.M. n. 264/2016 reca i criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti. 

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