Scarico acque reflue industriali senza autorizzazione: configurazione del reato

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Nella sentenza n. 11349, del 18 marzo 2015, la Cassazione esamina il caso di un’industria operante nel settore chimico farmaceutico che permetteva lo scarico di acque reflue industriali, nonostante l’autorizzazione rilasciata dalla Provincia fosse scaduta di validità.



Secondo la Cassazione, in tema di inquinamento delle acque si configura il reato di cui all’art. 137 del D.Lgs. n. 152/2006, nel caso di provvisorio mantenimento in funzione di uno scarico di reflui dopo la scadenza della autorizzazione e nel caso in cui il titolare non ne abbia tempestivamente chiesto il rinnovo almeno un anno prima del decorso del termine di validità.

Ci devono però essere i presupposti per l’operatività del regime dell’autorizzazione integrata ambientale, previsto dall’art. 9 del D.Lgs. n. 59 del 18 febbraio 2005 che consente di fare istanza di rinnovo fino a sei mesi prima della cessazione di efficacia del titolo abilitativo (così questa sez. 3, n. 19576 del 17.12.2013 dep. il 13.5.2014, Corvo, rv. 260079).

Quindi con riferimento al caso di specie, i giudici hanno ribadito che, ai fini della sussistenza del reato di cui all’imputazione, ciò che deve essere rilevato non è tanto la prova dell’effettivo inquinamento, quanto quella della violazione delle norme che impongono all’utente di richiedere per tempo le autorizzazioni ed i controlli agli enti pubblici preposti alla gestione del territorio, tanto da consentire, sostanzialmente, una provvisoria autorizzazione in attesa del rinnovo, purché siano rispettati i limiti fissati dal cit. D.Lgs., art. 124, Comma 8., che nella fattispecie risultavano invece violati.


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Redazione InSic

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