Spandimento di fanghi e applicazione della disciplina dei rifiuti

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La Corte di Cassazione, evidenziando la complessità della normativa in materia di acque, ha sottolineato più volte l’opportunità di prevedere interventi di riallineamento delle norme succedutesi nel tempo.
A partire da questo mese, dedicheremo un contributo al mese al tema della tutela delle acque offrendo una panoramica delle principali sentenze in materia, per valutare come la Suprema Corte ha risolto le problematiche interpretative.

I contributi sono a cura di A.Quaranta (Environmental Risk and crisis manager), che le ha raccolte tutte nell’articolo “Tutela delle acque la complessità della materia e il ruolo giocato dalla giurisprudenza” pubblicato sulla rivista Ambiente&Sicurezza sul Lavoro.

L’applicazione della normativa sui rifiuti
Nella sentenza n. 27958/2017, la Corte di Cassazione ha affrontato una molteplicità di argomenti, fra di loro collegati, che riguardano la disciplina dello spandimento dei fanghi e, in particolare: l’individuazione del momento in cui i fanghi da depurazione sono soggetti alla normativa sui rifiuti: “le parole «e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione» vanno lette nel senso che il legislatore non ha inteso restringere, attraverso il riferimento cronologico, l’applicabilità delle disposizioni sui rifiuti, confinandole esclusivamente alla fine del processo di trattamento e disinteressandosi di qualsiasi tutela ambientale nelle fasi precedenti. Ma ha precisato che la disciplina sui rifiuti va applicata al trattamento considerato nel suo complesso e ciò anche in considerazione del fatto che il preliminare trattamento dei fanghi viene effettuato presso l’impianto ed è finalizzato a predisporre i fanghi medesimi per la destinazione finale (smaltimento o riutilizzo) in condizioni di sicurezza per l’ambiente mediante stabilizzazione, riduzione dei volumi ed altri processi, con la conseguenza che la disciplina sui rifiuti si applica anche in tutti i casi in cui il trattamento non venga effettuato o venga effettuato in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio…”.

Normativa generale o speciale?
Quanto ai rapporti fra legge speciale e legge generale: “la regolamentazione dei fanghi di depurazione non è dettata da un apparato normativo autosufficiente confinato all’interno del D.lgs. n. 99/92, ma il regime giuridico dal quale è tratta la completa disciplina della materia deve essere integrato dalla normativa generale sui rifiuti, in quanto soltanto attraverso l’applicazione del D.Lgs n. 152/06 e delle altre norme generali sui rifiuti ][…] è possibile assicurare la tutela ambientale che il sistema, nel suo complesso, esige, in applicazione del principio generale dettato dal D.lgs. n. 152 del 2006, che è in linea con il principio declinato dall’articolo 1 d.lgs. n. 99 del 1992, per cui l’attività di trattamento dei rifiuti deve comunque avvenire senza pericolo per la salute dell’uomo e dell’ambiente, fatte salve, ma in sintonia con tale ultima finalità, espresse deroghe rientranti nell’esclusiva competenza del legislatore statale (art. 117, lettera s) Cost.)”;

Limiti tabellari e bonifiche
Sui rapporti con i limiti tabellari in materia di bonifiche: “l’uso agronomico presuppone … che il fango sia ricondotto al rispetto dei limiti previsti per le matrici ambientali a cui dovrà essere assimilato (e quindi anche quelli previsti dalla Tab. 1, colonna A dell’allegato 5, al titolo V, parte IV, D.lgs. n. 152 del 2006), salvo siano espressamente previsti, esclusivamente in forza di legge dello Stato, parametri diversi siano essi più o meno rigorosi, nelle tabelle allegate alla normativa di dettaglio (decreto n. 99 del 1992) relativa allo spandimento dei fanghi o in provvedimenti successivamente emanati”.
Infine, rispetto ai rapporti con la legislazione regionale: “non vi è controversia in ordine alla prevalenza della legge dello Stato sulle legislazioni regionali in materia di ambiente (articolo 117, lettera s), della Costituzione), materia che è senza ombra di dubbio oggetto di legislazione esclusiva da parte dello Stato”.

La presenza di reflui industriali all’interno delle acque reflue urbane
La Cassazione riporta che : “tali fanghi inoltre non erano ammissibili allo spandimento sul terreno per la loro origine perché essi … derivavano da insediamenti urbani di notevoli dimensioni … Essi perciò non derivavano dalla depurazione delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili come definiti dalla lettera b), articolo 1-quater, legge 8 ottobre 1976, n. 670 … ma derivavano anche dal trattamento di scarichi di insediamenti industriali ed artigianali che insistevano nelle fognature urbane asservite agli impianti di depurazione, considerato anche che si trattava di insediamenti urbani di notevoli dimensioni”.

L’articolo completo è disponibile sulla rivista Ambiente&Sicurezza sul Lavoro n.3/2018, per gli abbonati.

Redazione InSic

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